di Sandro Russo
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Il bello è una categoria dell’estetica, che fin dall’antichità ha rappresentato
uno dei tre generi supremi di valori, assieme al vero e al bene,
codificati da Platone e rimasti sostanzialmente validi sino al Settecento,
quando si abbandonarono i canoni fino ad allora in uso,
ammettendo anche il «brutto» come categoria dell’estetica
di cui tener conto, da relazionare dialetticamente al «bello».
[Da Wikipedia]
Questo lungo viaggio attraverso la Bellezza è stato denso di stimoli e doni anche per me che l’ho messo insieme. Ho letto cose, lungo il cammino, scoperto ‘perle’ nascoste in luoghi neanche poi troppo segreti, per rispondere a un quesito importante. Se la Bellezza la si ha dentro o la si può trovare all’esterno; se bisogna educarsi al bello – da vedere, sentire, pensare – o se essa è immanente, nel mondo.
La risposta, direi, è “tutte queste cose insieme”… perché se è vero che una certa predisposizione alla bellezza bisogna averla, ad essa ci si può anche “applicare”, farci attenzione o andarla a cercare; già continuare a leggere queste note è un segno di interesse al riguardo. Pur essendo consapevoli di una certa quota di incostanza, incertezza, mutabilità ad essa collegata. Ne ho scritto giustappunto in “Certe mattine…”.
Poi c’è tutto un altro campo, sterminato, della relatività della Bellezza e delle scale personali…
Un maestro, in questo e in altri campi, è sempre Umberto Eco che esordisce nel suo piccolo Saggio ricordando: “Nel 1954 mi laureavo in estetica con una tesi intitolata al problema del bello, anche se limitato alle poche pagine di Tommaso d’Aquino…”
Solo che – delusione, delusione… – la sua chiave “semiotica” (1) e il suo scritto non sono stati illuminanti come altre volte; per quanto l’altro piccolo saggio “La bruttezza”, qualcosa insegna… Per esempio che l’uomo ha una attrazione per la bruttezza almeno pari, se non superiore, a quella per la bellezza, prova ne sia l’interesse che in ogni epoca si è provata per i “mostri” e per il mostruoso in genere; inoltre, riguardo ai termini per indicarla scrive: “C’è una relazione passionale con ciò che consideriamo sgradevole, repellente, orribile, grottesco, orrendo, ributtante, ripugnante, spaventoso, abbietto, mostruoso, orrido, orripilante, laido, terribile, terrificante, tremendo, da incubo, rivoltante, sgraziato, difforme, sfigurato, scimmiesco, bestiale… (nel dizionario dei sinonimi ci sono più sinonimi per il brutto che per il bello).
Anche di questa certa qual “devianza” insita nella natura umana bisogna tener conto.
Affrontiamo ora delle liste di cose belle – o importanti, fa lo stesso – che ciascuno di noi può stilare su criteri del tutto personali. Ne riporto una, tra le più famose: non in sé, ma per il metodo scelto. E’ quella di Woody Allen nel film Manhattan (ormai un ‘classico’, del 1979, con se stesso anche come attore, Diane Keaton, Meryl Streep e Muriel Hemingway)
Ecco come Allen risponde a suo modo al quesito su quali sono per lui le cose per cui vale la pena vivere:
– An idea for a short story about… um! people in Manhattan who uh are constantly creating these real, uh, unnecessary, neurotic problems for themselves ‘cause it keeps them from dealing with more unsolvable, terrifying problems about, uh, the universe. Um, tsch-it’s, uh… well, it has to be optimistic. Well, alright, why is life worth living? That’s a very good question. Um. Well, there are certain things I-I guess that make it worthwhile. Uh, like what? Okay. Um, for me… uh, ooh, I would say… what, Groucho Marx, to name one thing… uh, ummmm, and Willie Mays and um, the second movement of the Jupiter Symphony, and ummmm… Louie Armstrong’s recording of “Potato Head Blues” …umm, Swedish movies, naturally… Sentimental Education by Flaubert… uh, Marlon Brando, Frank Sinatra… ummm, those incredible apples and pears by Cézanne… uh, the crabs at Sam Wo’s… uh, Tracy’s face.
Idea per un racconto sulla gente a Manhattan, che si crea costantemente dei problemi veramente inutili e nevrotici perché questo le impedisce di occuparsi dei più insolubili e terrificanti problemi universali. Ah, ehm… Deve essere ottimistico. Perché vale la pena di vivere? È un’ottima domanda. Be’, ci sono certe cose per cui valga la pena di vivere. Ehm… Per esempio… Ehm… Per me… boh, io direi… il vecchio Groucho Marx per dirne una…uh, ummmm, e… Willie Mays e… il secondo movimento della sinfonia Jupiter e… l’incisione di Louis Armstrong di Potato Head Blues e… i film svedesi naturalmente… L’educazione sentimentale di Flaubert… Marlon Brando, Frank Sinatra… ummm, quelle incredibili… mele e pere dipinte da Cézanne… i granchi da Sam Wo… il viso di Tracy…
Qualche anno fa (2007) è uscito un film molto bello (con Halle Berry e Benicio Del Toro), della regista danese Susanne Bier, particolarmente dotata e sensibile nel rappresentare il dolore (il film è citato, insieme ad altri, in un articolo sul sito).
Ma non è del film che voglio parlare, quanto del titolo che mi ha subito attratto e ho ricordato a distanza di tempo: “Things we lost in fire” (letteralmente Cose che abbiamo perso nell’incendio, tradotto in italiano come Noi due sconosciuti).
Perché di “cose da salvare dal fuoco” ne ho raccolte tante nel tempo (…non è da ora che questi temi mi interessano)
La Memoria. Cose che vogliamo salvare dal fuoco. (1)
La Memoria. Cose che vogliamo salvare dal fuoco. (2). Il gusto
La Memoria. Cose che vogliamo salvare dal fuoco. (3). L’udito
La Memoria. Cose che vogliamo salvare dal fuoco. (4). L’olfatto
La Memoria. Cose che vogliamo salvare dal fuoco. (5). Il tatto
La Memoria. Cose che vogliamo salvare dal fuoco. (6). Il sogno
***
C’è un altro concetto che abbiamo appreso dai greci antichi ed è quello che la bellezza è associata al giusto.
L’espressione kalokagathìa indica nella cultura greca del V secolo a.C. l’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo (2).
In particolare, il termine καλός per i greci si riferisce non solo a ciò che è “bello” per il suo aspetto sensibile, ma anche a quella bellezza che è connessa al comportamento morale “buono” (ἀγαθός).
Sempre dall’antica Grecia, attraverso i romani, abbiamo mutuato il concetto che ogni essere, per differente che sia, possiede tre caratteristiche trascendentali (cioè sempre presenti; mentre situazione, spazio e tempo sono irrilevanti): ogni essere è unum, verum et bonum.
Sono stati i maestri francescani medievali, come Alessandro di Hales e specialmente San Bonaventura che, prolungando una tradizione venuta da Dionigi Areopagita e da Sant’Agostino, hanno aggiunto all’essere un’altra caratteristica trascendentale: pulchrum, cioè bello. Basandosi sicuramente sull’esperienza personale di san Francesco che era un poeta e un esteta di eccezionale livello, che “nel bello delle creature vedeva il Bellissimo”, hanno arricchito la nostra comprensione dell’essere con la dimensione della bellezza (3).
E veniamo alla famosa frase: “La Bellezza ci salverà”
Sarà vero? Chi l’ha detta poi? …e ci possiamo fidare che ci sia (almeno) un fondo di verità?
È di Fëdor Dostoevskij (1821-1881), dal suo romanzo L’idiota (del 1869):
“È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo? State a sentire, signori,” esclamò con voce stentorea, rivolgendosi a tutti, “il principe sostiene che il mondo sarà salvato dalla bellezza! E io sostengo che questi pensieri gioiosi gli vengono in testa perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato […] Ma quale bellezza salverà il mondo?…” (4).
E qui è venuta qualche sorpresa anche per me, già a partire dall’etimologia della parola bellezza, che non viene dal latino (pulchrum), nel dal greco (kalòs), ma per avventurose traversie dal sanscrito: Bet-El-Za, che vuol dire, “il luogo dove Dio brilla”.
Riprendo questa versione dagli scritti di Leonardo Boff (1938), teologo e pensatore brasiliano (3), che dà alla frase dello scrittore russo una interpretazione del tutto religiosa, cristiana.
“Uno dei grandi estimatori della bellezza è stato Fëdor Dostoevskij (1821-1881). La bellezza era così centrale nella sua vita – ci racconta Anselm Grün (1945), monaco benedettino e grande spiritualista (5) -, che andava almeno una volta all’anno a Dresda, a vedere la bellissima Madonna Sistina di Raffaello. Rimaneva a lungo in contemplazione davanti a quella splendida figura (una citazione del dipinto è presente anche nel suo romanzo del 1866, Delitto e Castigo – NdA). Questo fatto è sorprendente, dato che i suoi romanzi penetrano nelle zone più oscure dell’animo umano. Ma quello che lo spingeva, in verità, era la ricerca della bellezza, e per questo ci ha lasciato la famosa frase: “La bellezza salverà il mondo”. che appare nel libro L’idiota (1869).
La Madonna Sistina (6)è un dipinto a olio su tela (265 x 196 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1513-1514 circa e conservato nella Gemäldegalerie di Dresda
Per Dostoevskij la contemplazione della Madonna di Raffaello era una sorta di terapia personale, perché senza di questa avrebbe disperato degli uomini e di se stesso. Nelle sue opere ha descritto persone perverse; e altre che vivevano immerse negli abissi della disperazione. Ma riusciva a vedere la bellezza nell’anima dei più perversi personaggi. Per lui il contrario di “bello” non era “brutto” ma utilitaristico, lo spirito di usare gli altri e così rubar loro la dignità.
– Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma neanche esistere senza bellezza, è impossibile – ripeteva.
Bellezza è più che estetica; possiede una dimensione etica e religiosa. Lui vedeva in Gesù un seminatore di bellezza. “Lui è stato un esempio di bellezza e l’ha impianta nell’alma delle persone affinché attraverso la bellezza tutti diventassero fratelli tra di loro”. Lui non si riferisce all’amore verso il prossimo; al contrario: è la bellezza che suscita l’amore e ci fa vedere nell’altro un prossimo da amare.
Papa Francesco ha dato speciale importanza alla trasmissione della fede cristiana attraverso la via pulchritudinis (La via della bellezza) [negli scritti del card. C.M. Martini e dei papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco I – (7)]. Non basta che il messaggio sia buono e giusto. Deve essere anche bello, perché solo così arriva al cuore delle persone e suscita l’amore che attrae (Esortazione La gioia del Vangelo, n° 167). La Chiesa non persegue il proselitismo ma l’attrazione che viene dalla bellezza e dall’amore, la cui caratteristica è lo splendore.
La bellezza è un valore in se stesso. Non è utilitarista. E’ come il fiore che fiorisce per fiorire, poco importa se lo guardano o no, come dice il mistico Angelus Silesius. Trovatemi uno che non si lascia affascinare da un fiore che sorride gratuitamente all’universo! Così dobbiamo vivere la bellezza in mezzo a un mondo di interessi, scambi e mercanzie. Dunque essa realizza la sua origine sanscrita Bet-El-Za: “il luogo dove Dio brilla”. Brilla dappertutto e fa brillare anche noi con il bello…”
Così conclude Leonardo Boff, e a noi resta un po’ di delusione – come un senso di esclusione – davanti a questa profusione di splendore. Si capisce bene da tutto ciò, la presa che le religioni hanno sempre esercitato sull’umanità; la loro funzione consolatoria.
Ma cosa rimane a noi, fruitori a-confessionali della stessa Bellezza da cui non riteniamo di dover essere esclusi? “Il senso dei ‘non credenti’ per la Bellezza” è altrettanto vivo, per niente atrofico. Continueremo a goderne e sarà allo stesso modo fonte di consolazione e di esaltazione.
Post-fazione
Mi dispiace dover chiudere con un accordo “in minore”, ma su questi temi importanti, anche nell’approccio personale, la sincerità è d’obbligo.
Questo viaggio “attraverso la bellezza” è farcito di sogni e intuizioni, informazioni scientifiche e sense of wonder che, spero, possano spingere il lettore a continuare la ricerca per proprio conto e – ancora spero – a partecipare a tutti le sue scoperte / conclusioni.
Il mio punto di vista è stato quello del fruitore di bellezza: sono partito dalle mie piante e dai banchi del mercato. Non pensavo neanch’io di sconfinare nei “massimi sistemi” – della fisica e della filosofia o (…Dio ci scampi!) delle religioni – ma poi sono cose che capitano… a giardinieri studiosi e un po’ sognatori.
Note
(1) – La semiotica (dal termine greco σημεῖον semeion, che significa “segno”) è la disciplina che studia i segni e il modo in cui questi abbiano un senso (significazione). Il segno è in generale qualcosa che rinvia a qualcos’altro (per i filosofi medievali aliquid stat pro aliquo), e la semiotica è la disciplina che studia i fenomeni di significazione. Da non confondere con semeiotoica. L’etimologia del termine è identica ma, per consuetudine, la parola “semeiotica” viene utilizzata solo per definire quella branca della medicina il cui oggetto di studio sono i sintomi (soggettivi) e i segni (oggettivi) di malattia, e di come entrambi debbano essere integrati per giungere alla diagnosi. (da non confondere con la semeiotica, disciplina medica);
(2) – καλοκαγαθία – Etimologicamente, il termine si origina dalla sostantivizzazione di una coppia d’aggettivi: καλός κἀγαθός, (kalòs kagathòs), crasi di καλὸς καὶ ἀγαθός, (kalòs kai agathòs), cioè “bello e buono” inteso come “valoroso in guerra” e come “in possesso di tutte le virtù”;
(3) – Leonardo Boff, al secolo Genésio Darci Boff (1938), è un ex frate francescano ed ex presbitero, teologo e scrittore brasiliano; autore del libro: A força da ternura (Il potere della tenerezza); ed. Mar de idéias, Rio 2011. Alcune sue affermazioni – riprese nello scritto – sono dal suo libro più recente: Reflexões de um velho teólogo e pensador; Vozes 2018;
(4) – Fëdor Dostoevskij, L’idiota, traduzione di Eugenia Maini e Elena Mantelli, Mondadori, Milano, (III, 5); 1995;
(5) – Anselm Grün (1945), monaco benedettino e grande spiritualista, nel suo ultimo libro “Bellezza: una nuova spiritualità della gioia di vivere” (Vier Turne Verlag 2014);
(6) – La Madonna Sistina. Giorgio Vasari testimonia come l’opera fosse stata dipinta per il convento di San Sisto a Piacenza, come conferma la presenza dei due beati ivi particolarmente venerati, i santi Sisto e Barbara, confortatrice nell’estrema ora.
Secondo la tradizione settecentesca la Madonna avrebbe le sembianze della Fornarina, S. Sisto quelle di Giulio II (con le ghiande roveresche ricamate sul piviale come simbolo iconografico) e santa Barbara quelle di sua nipote Giulia Orsini;
(7) – http://www.gliscritti.it/blog/entry/3216 .
[La ricerca della Bellezza (5) – Fine]
Per la prima e seconda parte, leggi qui e qui.
Per la terza parte: leggi qui
Per la quarta parte: leggi qui
Liliana Madeo
24 Marzo 2021 at 18:04
La gioia del ricordo, il piacere di scrivere, l’impeto per la comunicazione, il dialogo con sé e con gli altri che riesci a raccogliere e comunicare sono autentici, bellissimi.
Grazie
Liliana
Nazzareno Tomassini
24 Marzo 2021 at 19:23
Salve Sandro
Il tuo articolo sulla Bellezza è una sorta di enciclopedia ambulante su questo concetto (o elemento), parte integrante della nostra vita. Devo rileggerlo almeno altre dieci volte per seguire tutti i sentieri che proponi.
A proposito di Taruffi… ma Ponza la ritroviamo ovunque?! Incredibile come questa isola che a Roma, ai miei tempi, non erano in molti a conoscere, faccia parte della storia italiana.