di Fabio Lambertucci
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Questa messa a punto è centrata sul periodo in cui Gandhi visse in Sudafrica, dove si formò il suo pensiero. Sarà evidente che Gandhi non nasce pacifista, come si crede normalmente; è favorevole alla guerra dell’Impero britannico – giusta o sbagliata che sia, e quella contro i boeri era solo per impossessarsi delle loro miniere d’oro.
Vorrebbe combattere da suddito britannico (ricordo che Gandhi è figlio di un primo ministro del principato di Rajkot ed un avvocato di formazione londinese) e far vedere agli inglesi che gli indiani non sono una etnia inferiore, da loro considerati debole ed imbelle. E’ una rivalsa di “razza”. Gli inglesi, vecchie volpi e veri dominatori, non sono però scemi: per gli indiani ambulanze e barelle vanno bene. Gandhi lo fa e ottimamente.
La Seconda guerra anglo-boera fu un “Vietnam” per l’Impero britannico che reagì malamente alla resistenza di quelle pellacce dure dei boeri: truppe da tutto l’Impero (australiani per primi), sistema dei fortini, treni blindati e soprattutto i primi campi di concentramento e massacri, oltre alle durissime condizioni della popolazione civile boera. Gandhi non condanna tutto ciò, e anche per la rivolta degli zulu (che qualche ragione per ribellarsi ce l’avevano) si ripropone per combattere.
Gandhi, allora, disprezzava i “cafri”, gli africani indigeni, si batteva solo per i diritti della sua gente, gli indiani. Ebbene, dall’esperienza di barelliere decorato due volte, viene fuori cambiato.
Al tempo Gandhi e Churchill erano “giovani” per i nostri canoni: erano in realtà uomini adulti. Gandhi trentenne era avvocato, dirigeva una rivista e aveva moglie e 4 figli, Churchill venticinquenne era già alla sua terza guerra: prima Afghanistan (dove uccide per la prima volta), poi Sudan contro i seguaci del Mahdi (leggi qui) infine in Sudafrica.
Le guerre di Gandhi in Sudafrica (1899-1906)
di Fabio Lambertucci
A chi ha visto il celebre film Gandhi (1982) di Sir Richard Attenborough (1923-2014), vincitore di 8 Oscar, con l’attore anglo-indiano Ben Kingsley la vicenda narrata in questo articolo, ovvero la partecipazione dell’avvocato e giornalista Gandhi (1869-1948) come barelliere volontario nell’esercito britannico alla Seconda guerra anglo-boera (1899-1902) e alla repressione nel 1906 della rivolta dei contadini zulu nello Zululand, risulterà nuova. Nel magnifico film biografico infatti non se ne parla.
Questa lacuna è stata invece colmata in un film indo-sudafricano del 1996 The Making of the Mahatma di Shyam Benegal, tratto dal libro del 1970 The Apprenticeship of a Mahatma della scrittrice sudafricana Fatima Meer (1928-2010) che racconta i ventuno anni vissuti da Gandhi in Sudafrica, periodo fondamentale per la formazione del suo pensiero e della pratica della non-violenza, attuata nella lotta per l’indipendenza dell’India.
Quando nell’ottobre del 1899 scoppiò in Sudafrica la Seconda guerra anglo-boera tra l’Impero britannico e le due repubbliche boere del Transvaal e del Libero Stato dell’Orange, Gandhi, avvocato della comunità indiana a Durban, città portuale sudafricana sull’Oceano Indiano meridionale, dirigeva il suo settimanale “Indian Opinion”.
Dalle sue colonne, per rafforzare la tesi che gli indiani fossero a tutti gli effetti sudditi dell’Impero britannico e avessero quindi gli stessi diritti e doveri degli altri, Gandhi propose alle autorità inglesi che un contingente di indiani partecipasse alla guerra. Naturalmente gli inglesi, credendo di aver facilmente ragione dei 30.000 contadini boeri (“boero” in lingua afrikaans significa contadino; i boeri erano di origine olandese, tedesca, francese e britannica, parlavano l’afrikaans ed erano calvinisti) rifiutarono.
A questo punto Gandhi costituì un reparto di barellieri volontari: risposero in 1.100 tra indù, musulmani e cristiani e l’addestramento, impartito da un medico inglese, venne pagato dagli stessi volontari.
A queste condizioni le autorità inglesi accettarono l’aiuto e al suo comando posero lo stesso Gandhi.
A questa guerra parteciparono, come vedremo con ruoli diversi, due uomini che diventeranno statisti che saranno grandi protagonisti del Novecento: il nostro Gandhi e Sir Winston Churchill (1874-1965).
Nel 1931, difendendo l’integrità dell’Impero britannico, Churchill definirà Gandhi un “avvocato sedizioso che si atteggia a fachiro”. Eppure i due, poco più di trent’anni prima, si erano trovati in Sudafrica, su un campo di battaglia sotto la stessa bandiera.
Churchill a cavallo durante la guerra boera. 1899 (da Wikipedia)
Il venticinquenne Churchill, ufficiale della South African Light Horse e corrispondente di guerra per il londinese “Morning Post”, assistette nel Natal a Spion Kop tra il 23 e 26 gennaio 1900 allo scontro più sanguinoso della guerra per gli inglesi (383 morti e 1.054 feriti contro i 335 morti o feriti boeri).
Nel suo saggio del 2003 (3) lo storico britannico Niall Ferguson scrive: “Il comandante in capo inglese, generale Sir Redvers Buller, forte di 30.000 soldati, era stato mandato in aiuto dei 12.000 soldati inglesi assediati dai boeri a Ladysmith, nella provincia inglese del Natal. A sua volta, Buller diede al generale Sir Charles Warren l’incarico di penetrare le difese boere nei pressi della collina di 300 metri chiamata Spion Kop. Warren ordinò a una forza mista di Lancasters e Uitlanders (immigrati inglesi) di scalare la ripida e rocciosa collina col favore della notte e della nebbia. Incontrarono soltanto un picchetto nemico, che fuggì; sembrava che i boeri avessero ceduto la collina senza combattere. Nella fitta nebbia del mattino, gli inglesi prepararono una sorta di trincea provvisoria, certi di aver riportato una facile vittoria. La posizione britannica era completamente esposta al fuoco dell’artiglieria boera che veniva dalle colline circostanti; a dire il vero, non avevano neppure raggiunto la vetta della collina. Appena la nebbia si alzò, ebbe inizio la strage”.
Churchill scrisse in una lettera a un amico: “I proiettili boeri piovevano al ritmo di sei o sette al minuto e il grosso e continuo fiume dei feriti scorreva verso la retroguardia. Ai piedi dell’altura sorse un villaggio di ambulanze. I morti e i feriti, distrutti dai proiettili, ricoprivano la vetta divenuta una rovina di rocce insanguinate. Le scene a Spion Kop erano tra le più strane e terribili che abbia mai visto”.
E Churchill non era al centro di quella tempesta d’acciaio. Un sopravvissuto ricordò di aver visto i suoi compagni completamente bruciati, spezzati a metà e decapitati; lui stesso aveva perso la gamba sinistra.
La terribile battaglia di Spion Kop è stata raccontata dal grande scrittore di avventure Wilbur Smith (Zambia 1933) nel romanzo del 1966 The sound of Thunder (La voce del tuono), edito in Italia nel 1983 da Longanesi
Ebbene, le ambulanze di cui parla Churchill erano proprio quelle del reparto barellieri volontari del Natal comandato Gandhi. Scrive il suo biografo Yogesh Chadha nella biografia del 1997 Gandhi. Il rivoluzionario disarmato (Mondadori, 1998): “Servirono l’esercito britannico per circa sei settimane, portando via i feriti dai campi di battaglia, e a volte marciando per quaranta chilometri al giorno”. Il generale Buller aveva inviato un messaggio in cui si diceva che, sebbene ai termini dell’arruolamento gli indiani non dovessero accedere alla prima linea, sarebbe stato loro estremamente grato se fossero andati a raccogliere i feriti.
Gandhi ricordò: “Non aspettavamo altro che entrare nella zona pericolosa, non ci era piaciuto restarne fuori”. Gandhi con i suoi uomini, sotto il tiro nemico, raccolsero per tre giorni i feriti.
L’inglese Vere Stent, direttore del “Pretoria News”, scrisse il resoconto di una visita al fronte durante la battaglia di Spion Kop: “Dopo una notte di lavoro, che aveva sfiancato uomini di costituzione ben più robusta, mi imbattei in Gandhi, seduto a prima mattina sul ciglio della strada, intento a sgranocchiare un biscotto d’ordinanza dell’esercito. Tutti gli uomini del reggimento di Buller erano scoraggiati e depressi, e le maledizioni si sprecavano per qualsiasi motivo. Ma Gandhi era stoico nel portamento, di buon umore e fiducioso nelle parole, e aveva uno sguardo affabile. Faceva bene guardarlo”.
La battaglia durò tre giorni e a ondate successive la fanteria inglese cercò di conquistare i sei ordini di trincee tenacemente difese dai boeri. L’ultimo attacco britannico si protrasse per venti ore ma il risultato rimase così incerto che sia gli inglesi che i boeri si ritirarono dall’altura entrambi sicuri della propria sconfitta: furono i boeri a constatare, poco più tardi e per primi, che il nemico aveva abbandonato il campo di battaglia.
Come ricompensa per il servizio reso, Gandhi e altri volontari indiani vennero decorati con la medaglia di guerra e il reparto menzionato nel bollettino.
Il reparto barellieri volontari indiani del Natal nel 1900 con al centro Gandhi. Sotto: particolare
Il 27 novembre 1906 a Londra, l’avvocato Gandhi incontrò di persona, per la prima e ultima volta, il sottosegretario di Stato per le Colonie Winston Churchill. Gandhi era stato inviato in missione a Londra per convincere il Governo di Sua Maestà ad esercitare pressioni sul Governo coloniale del Transvaal per fargli abolire la nuova legge discriminatoria degli asiatici. L’incontro fu cordiale: Churchill promise di fare il possibile. I due, però, non ricordarono la guerra contro i boeri e la battaglia di Spion Kop, a cui entrambi avevano partecipato, sebbene con ruoli diversi.
Forse l’atteggiamento benevolo di Churchill era stato causato da quanto aveva fatto Gandhi all’inizio di quel 1906. Divampata nello Zululand una ribellione di contadini zulu contro le tasse del Governo coloniale inglese, Gandhi, dalle colonne del suo settimanale già citato, aveva esortato, ancora una volta, gli indiani del Natal a combattere a fianco degli inglesi. Sosteneva che gli europei avevano sempre considerato gli indiani paurosi e privi di ardimento guerriero: “Non possiamo controbattere quest’accusa con una replica scritta. C’è solo un modo di smentirla: la via dell’azione”.
Gandhi avrebbe voluto costituire un contingente volontario di reclute indiane ma, anche questa volta, le autorità inglesi rifiutarono e lo autorizzarono invece ad organizzare un piccolo corpo di ambulanza composto da venti uomini. A Gandhi, dal primo ufficiale medico, venne assegnato pro tempore il grado di sergente maggiore; da lui dipendevano un sergente, un caporale e quindici soldati.
La guerra nello Zululand si rivelò una caccia all’uomo, con scorrerie, devastazioni dei kraal (villaggi circolari di capanne con recinti per il bestiame), pubbliche impiccagioni e fustigazioni dei sospetti. Gli indiani di Gandhi vennero aggregati ad una veloce colonna mista di cavalleria e fanteria, cui dovettero stare dietro, a volte per più di sessanta chilometri al giorno, trasportando in spalla le barelle. Conclusa, dopo un mese, la ribellione, Gandhi venne, anche questa volta, decorato.
Nel 1914 Gandhi ripeté l’esperienza a Londra, formando un plotone di ottanta infermieri volontari indiani. Tuttavia non riuscì a guidarlo nella Grande Guerra in Francia perché vinto dal clima londinese dovette rimanersene a letto, affetto da pleurite.
Tornò in India il 9 gennaio 1915 ad iniziare la sua lotta per l’indipendenza dell’India con metodi pacifici.
Fonti
1) – Martin Gilbert, Churchill, 1991, ed. it. Oscar Storia Mondadori, Milano, 1992, Cap. 7 “Sud Africa: avventura, cattura e fuga” e p. 241.
2) – Giuseppe Mayda, La Grande Guerra dei contadini, in “Storia Illustrata”, n. 217 – Dicembre 1975, A. Mondadori, Milano.
3) – Niall Ferguson, Impero: Come La Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno, 2003, ed. it. Oscar Storia Mondadori, Milano, 2009, pp. 227-228.
4) – Yogesh Chadha, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, 1997, ed. it. Oscar Storia Mondadori, Milano, 1998, pp. 90-91.
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Appendice del 15 marzo (cfr. Commenti della Redazione e di Fabio Lambertucci)
Gandhi dal libro di Iodice (2019): “Quando il coraggio era l’essenza della Leadership: Lezioni dalla Storia…
Emilio Iodice. Il coraggio di guidare di Gandhi
La Redazione - Emilio Iodice
15 Marzo 2021 at 08:58
Emilio Iodice ha inviato in Redazione un corposo documento su Gandhi – ricco di citazioni informazioni e foto – che abbiamo trasformato in file .pdf e contemporaneamente inviato in lettura a Fabio Lambertucci.
Grazie e complimenti a Emilio.
Il saggio è stato allegato all’articolo di base a cura della Redazione
Fabio Lambertucci
15 Marzo 2021 at 09:02
Ringrazio Emilio Iodice per il suo saggio “Il coraggio di guidare di Gandhi”. Il giudizio sul pensiero e l’opera di Gandhi è controverso. E’ vero che se fosse riuscito come avvocato non avrebbe cambiato così radicalmente la vita che gli era toccata.
Nel mio articolo “Churchill e Gandhi da giovani” ho voluto sottolineare la sua prima posizione sulla guerra anglo-boera con l’invito agli indiani del Natal a combattere per gli inglesi, nonostante Gandhi fosse filo-boero ed ammiratore della loro società. La scelta di servire come barelliere fu sì conseguenza del rifiuto opposto dagli inglesi, però le esperienze tragiche della guerra fecero germogliare in lui le idee sulla non violenza.
Ora Gandhi viene contestato in alcune parti del suo pensiero, della sua azione politica per l’indipendenza dell’India e per aspetti della vita familiare. Di questo non ho trattato. Anch’io trovo singolari le posizioni sull’arrendersi a Hitler e Mussolini e sono contento che nessuno l’abbia preso sul serio.
Nel mio pezzo ho voluto concentrarmi sul periodo sudafricano perché poco conosciuto dal grande pubblico in quanto escluso dal famoso film. Per quanto riguarda il suo pensiero non mi avventuro a trattarlo perché non sono un filosofo. Posso raccontare però questo episodio: quando in Sudafrica Gandhi decise di fondare una comunità dove praticare il suo credo, gli venne donato un pezzaccio di terra infestato dai velenosissimi serpenti mamba. I seguaci chiesero a Gandhi il permesso di ucciderli. Gandhi sdegnato rifiutò. Poi però ci ripensò: “Va bene, uccideteli ma non me lo fate vedere!”.
Segnalo per chi ama vedere demoliti i miti il film indiano del 2007 “Gandhi, my Father”.