di Giuseppe Mazzella
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Norman Douglas (1868-1952), nato in Austria da genitori scozzesi ed educato in Germania, visita l’Italia per la prima volta a vent’anni e ne resta affascinato. Dopo un periodo di attività diplomatica a San Pietroburgo, torna in Italia per lunghi periodi fino a risiedere stabilmente a Capri nel dopoguerra, dove è sepolto nel cimitero acattolico.
Scrittore inglese di grande cifra stilistica, curioso e sensibile ai miti e alle atmosfere ferme nel tempo che la prima metà del secolo appena trascorso offrivano ancora agli increduli e incantati viaggiatori del nord Europa, ha dedicato al nostro Sud grandi libri come “La terra delle Sirene” (1911), “Vecchia Calabria” (1915), “Vento del Sud” (1917) e “Isole d’estate” (1931), da cui sono tratti i brani che qui si propongono, nell’edizione curata dalla casa editrice ImagAEnaria Edizioni Ischia (2004), nella traduzione di Giorgio Balestriere.
Douglas, quando arriva a Ponza, ha ormai una vasta conoscenza del mondo del Sud, ne apprezza le antiche radici, ne interpreta gli ultimi bagliori in pagine di grande bellezza, vivendole con il cuore più che con la mente. Pur senza dismettere il suo umorismo e un certo disincanto nei confronti degli uomini – fu a causa del suo stile scandaloso di vita e di certe opere come “Certi limerick”, che nel 1937 dovette riparare in Francia – sa cogliere attraverso piccoli quadretti la vita dell’isola alla fine degli anni venti. Stupito per le imponenti testimonianze storiche e archeologiche di epoca romane, si sofferma con maggiore attenzione sulla psicologia degli isolani, dipinti con tratti icastici e profondi, sulle loro case trogloditiche di Le Forme, cosi chiama il villaggio oggi di Le Forna, trascrive con un sorriso le veementi parole del parroco contro il progresso, che prende a pretesto il mal funzionamento accelerato dell’orologio del paese, racconta la storia dei diavoli della Forcina di Palmarola, come a dire: qui vi è un altro tempo e un’altra vita, certo ancora ancorata con un filo rosso ad antiche ritualità. Ad una prima lettura queste pagine appaiono come uno scritto d’occasione, a memoria di una gita. Sono invece rievocazioni in profondità del suo animo e delle opinioni di “un pagano candido e felice” e di un mondo isolano che di lì a vent’anni muterà profondamente e non sempre in meglio.
“…Questi ponzesi non fanno parte di una razza pura e a vedersi sembrano un po’ bruttini, sono napoletani nelle cui vene scorre sangue saraceno, che tuttavia colpiscono per la loro grande onestà, e possiedono un carattere che riuscì ad esaltare la nostra ammirazione. Le loro rustiche e piccole casette sono candide dentro e fuori, ogni settimana le loro facciate vengono imbiancate e spesso sono arricchite da fregi colorati di giallo e di blu, che le danno l’aspetto di tanti allegri quadretti, sparsi tra la distesa dei vigneti.
Durante l’ultimo secolo, gli abitanti di Ponza si sono notevolmente accresciuti, passando da mille agli attuali seimila, credo sia il limite che quest’isola possa sopportare…”.
“…Attualmente a Ponza ci sono circa trecento malfattori condannati, i quali provano un tale piacere a stare su questa stazione climatica che, spesso, finita la loro espiazione commettono un altro reato per ritornarvi. La vita vi è così comoda e il vino è buono e costa poco, che raramente qualcuno tenta di prendere il volo.
I ponzesi per campare sono costretti a lavorare duramente, presto però finiscono per invidiare gli agi dei detenuti i quali ricevono dal governo, oltre all’alloggio gratuito, un sussidio giornaliero e due abiti nuovi ogni anno. In cambio non gli si chiede alcuna prestazione, potrebbero starsene spensieratamente distesi sul letto giorno e notte, invece tutti i dì vediamo le loro losche figure aggirarsi lungo il molo o sbevazzare nelle osterie giocando a carte…”.
“…Il trogloditismo è piuttosto diffuso da queste parti. A Ponza esiste un intero villaggio di case rupestri chiamato Le Forme: dirigendoci sulle alture che lo sovrastano, siamo rimasti sbalorditi di sbattere i piedi contro un comignolo fumante, sbucato all’improvviso dal manto d’erba. Queste abitazioni ricavate nel tufo, sono non solo più economiche di quelle costruite in muratura, ma sono anche più fresche in estate e più calde in inverno, ed altrettanto asciutte. C’è stato possibile visitarne parecchie, e abbiamo che queste dimore sono ben sistemate e confortevoli: l’unico inconveniente è la scarsità di luce, ma quelle che si affacciano sul precipizio si avvantaggiano di una visuale fantastica…”.
“… A Ponza il tempo passa in fretta, almeno a giudicare dal funzionamento dell’orologio del paese. Nel giro di cinque minuti, durante i quali ci limitammo ad osservare i suoi movimenti, le lancette si mossero da mezzogiorno alle sette di sera. Il mio compagno che ha un sicuro talento per l’alta matematica, gentilmente calcolò per me questo tempo, procedendo ad un ritmo così vertiginoso, quell’orologio avrebbe impiegato a percorrere un intero anno (purtroppo ho smarrito il foglietto di quei calcoli).
Un sacerdote che si trovava a passare per caso, inesorabilmente commentò che l’esibizione di tale corsa frettolosa, aveva il proposito di far capire ai ponzesi il significato del termine progresso.
‘Si, signori miei! Questo è il progresso moderno, ecco i suoi metodi e i suoi risultati?.
Potrebbe dirsi che, in aggiunta alle imprese di questo capriccioso orologio e ai galeotti, Ponza ci avrebbe regalato altre curiosità. Purtroppo il tempo che ci restava a disposizione dovevamo dedicarlo alla vitale questione di cosa mangiare e dove.
La vita a Ponza sarebbe più sopportabile per i forestieri, se ci fosse – senza tuttavia sprecarsi in fantasie – un locale identificabile come ristorante. La materia prima tuttavia non manca, e se i futuri ospiti si portassero un cuoco e prendessero in affitto un appartamento munito di cucina, potrebbero sopravviverci indefinitamente.
Di carne fresca, frutta e verdure ce ne sono a sufficienza, il vino è ottimo e i pesci sono a buon mercato, ad esempio, quelli di piccola taglia si vendono appena pochi centesimi al chilo; oltre a ciò Ponza è famosa per le sue aragoste spedite in gran parte d’Italia (i crostacei sono tenuti nell’acqua del porto in grandi cassoni di legno, e quando sono richiesti li spediscono a Roma o a Napoli)…”.