di Francesco De Luca
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A costo di allontanare i quattro lettori che seguono questo scritto voglio palesare la mia opinione sul concetto di sostenibilità. Che sembra appartenere al vocabolario esclusivo degli ecologisti, ma non è così.
La sostenibilità non riguarda soltanto il rapporto fra produzione di beni, consumo energetico necessario alla produzione, impossibilità del pianeta terra a seguire il passo della produzione e del consumo e quindi, inevitabile deterioramento irreversibile del pianeta e, di conseguenza, l’imprescindibilità ad intervenire con interventi correttivi. Quanto detto fotografa e riguarda la produzione di beni. Ma non viene evidenziato il fattore sociale implicato.
Il fattore sociale, ovvero ciò che accade, in fatto di azione e reazione, nelle società umane nella rincorsa al progresso. Concetto questo su cui riflettere giacché rapporta la produzione di beni alla condizione sociale. Dando per scontato che all’aumento di beni derivi un miglioramento delle condizioni sociali. Questo è stato l’assioma. Che ora è messo in discussione giacché tale progresso ha operato divisioni abissali fra i popoli, in merito alla disponibilità dei beni primari, all’abuso delle ricchezze territoriali, alla disparità di conoscenze, tecnologie, condizioni esistenziali.
La sostenibilità non si gioca esclusivamente nel campo ecologico bensì anche in quello sociale. Per cui, considerare il progresso economico (con annesso PIL, debito nazionale, arricchimento patrimoniale) sganciato dalle implicazioni sociologiche che esso progresso comporta, è fuorviante. Non è confacente ad una visione d’insieme che guardi ai fenomeni economici come strettamente legati a quelli sociali.
L’immagine illuminante di quanto affermo sta nel vedere come una frase di Draghi (il nostro Capo del Governo) basti a far schizzare in alto i tassi d’interesse in Borsa (in epoca pandemica), mentre non viene evidenziato altrettanto pomposamente come il tasso di povertà in Italia sia fortemente aumentato, in questo dannato frangente. La volatilità del Mercato è legata al valore monetario attribuito alla politica e alle sue scelte. Tale valore non lo decide la gente o il popolo o i parlamenti delle nazioni bensì il Potere economico, le grandi banche, le lobby multinazionali.
La sostenibilità da perseguire come valore socio-economico-ecologico-politico comporta una ripartizione più equa della ricchezza, una fruizione più equa dei beni, una distribuzione più equa dei profitti, una fruibilità del territorio più consona all’equilibrio ambientale. Significa affermare il primato dell’equilibrio uomo-natura sullo sviluppo produttivo e mercantile.
Non mi annovero fra le ‘cassandre’ sociali ma è da miopi non ravvisare che il divario fra chi, gestendo l’economia, si arricchisce a dismisura, avvenga a danno di chi, subendo l’economia, si impoverisce.
Mettere freni all’accumulo abnorme dei capitali, così come mettere freni all’impoverimento, questo è un corollario della sostenibilità.
Come tale discorso possa trovare coniugazione nella situazione ponzese è un impegno cui mi sottoporrò.
Nei prossimi articoli cercherò di esplicitare le conclusioni. Che non sono né definitive né inscalfibili. Anzi, più si ragiona su queste questioni più possiamo ardire avvicinarci a soluzioni accettabili, e più ci avviciniamo fra di noi, perché ci ri-troviamo accomunati ad un unico futuro.
vincenzo
23 Febbraio 2021 at 18:18
Io mi chiedo: in questo sistema liberista si possono fare politiche economiche sostenibili in assenza di uno stato che può spendere e al contrario in presenza di una politica al servizio della grande finanza?
Se gli Stati devono essere funzionali alla grande distribuzione, che ne sarà dei piccoli centri che hanno un tessuto economico commerciale fatto di piccole e micro imprese?
Per esempio: come distribuire la ricchezza tra i cittadini se l’obiettivo imposto è quello della libera concorrenza?
Come dare ai cittadini servizi pubblici adeguati, se chi vince l’appalto non risponde né alla politica né ai contratti?
In edilizia: come dare una casa ai senza tetto?
Come garantire una attività a chi non ce l’ha, visto che gli spazi economici vengono occupati dai più forti.
La nostra piccola isola è un esempio.
Si fanno gare per i servizi pubblici, trasporti marittimi che sono assolutamente non adeguate alle esigenze degli isolani.
Si fanno grandi carrozzoni come l’Ato4 e Acqualatina che impongono tempi e logiche assolutamente incontrollabili dalla politica.
Chi costruisce a Ponza e in che modo lo fa?
Ogni anno sempre gli stessi imprenditori occupano spazi per fare nuove attività.
Nessuno può impedire di crescere quantitativamente l’offerta di una attività (ogni anno nuove barche oppure nuove auto o motorini, nuove stanze o appartamenti) che creano ulteriore caos e concorrenza sempre più aggressiva.
La parola pianificazione politica-economica è bandita nel regime liberista. L’ambiente naturale è un oggetto al servizio del più forte.
Mi fermo qui sperando che il prof. De Luca ci spieghi come conciliare il liberismo alla sostenibilità. Infatti si parla di resilienza e di distruzione creativa. Termini utili solo alla propaganda dragonesca.