di Marco Cianfanelli, intervistato da Sandro Russo
.
Pubblichiamo una intervista telefonica a Marco Cianfanelli, amico di lunga data e titolare di un (sempre affollato) ambulatorio veterinario a Genzano.
Le solite scempiaggini degli uomini sulla pelle degli animali
– di Sandro Russo
Marco è stato l’angelo custode di tutti i miei gatti, della buonanima del vecchio Pecos (un cagnone di incerta provenienza che aveva adottato il casale con tutto me dentro), e destinatario di tutti i miei quesiti sugli animali (l’ultimo: che fare dei gatti che hanno sgraffignato delle alici crude, che poi ho scoperto con orrore essere parassitate da Anisakis).
Marco Cianfanelli è stato anche coinvolto in Ponzaracconta – suo malgrado, perché dice non gli piace scrivere – Autore prima d’ora di un unico articolo (su un altro incontro e sugli uccelli – leggi qui).
L’occasione della chiacchierata attuale è la questione dei daini del Parco del Circeo.
Abbiamo letto il Bando, che ci ha lasciato alquanto perplessi, e poi, a Commento di quell’articolo, l’intervento di Vigorelli che se possibile ha aumentato, non chiarito, i dubbi.
Per il Parco. Prima ancora di entrare nel merito della questione, ho trovato fuori luogo la postilla sull’uso “ornamentale” (“termine poco rispettoso della dignità animale”), mentre poi subito dopo viene sdoganata la cessione per finalità di caccia (aziende agri-turistico-venatorie), e l’allevamento a scopo alimentare. Almeno si risparmino le considerazioni “etiche”!
Su Vigorelli. Si fa fatica a credere che la sua levata di scudi contro “la mattanza” dei daini non sia strumentale alla sua guerra privata – ma forse lui direbbe “nell’interesse dei ponzesi” – contro l’Ente Parco e non dimentichiamo le sue posizioni (mascherate ma sostanziali) a favore dei cacciatori e l’additamento alla pubblica ignominia di una certa assessora “quasi verde”. Ora sorprendentemente le posizioni si sono invertite: i verdi” – insieme alla suddetta (ora ex-)assessora – sono a interrogarsi realisticamente sulle soluzioni possibili e l’ex sindaco è partito per la “guerra santa” contro “la mattanza” dei daini.
Ce n’è d’avanzo – di perplessità e quesiti – per riportare il discorso ai termini reali, il più possibile scevri da posizioni ideologiche o ambigue.
Il Parco vuole cercare di uscire il più possibile “pulito” da una operazione che è comunque sporca; di Vigorelli abbiamo detto.
Noi vogliamo saperne di più, acquisito che di fatto è stata una leggerezza dei passati gestori del Parco, introdurre quegli animali e non prevedere che si sarebbero moltiplicati a dismisura tanto da creare un grosso problema. Quindi una situazione non ben valutata – come troppo spesso agli uomini succede – che è sfuggita di mano.
Per questo il confronto/intervista con uno che di animali ne sa parecchio e possiamo considerare super partes, ci può essere utile a completare il quadro conoscitivo su questa brutta faccenda.
Grazie a Marco Cianfanelli per la sua disponibilità.
S. R.
Un parere tecnico
di Marco Cianfanelli
Sì. Conosco il problema dei daini, non nello specifico del Parco Nazionale del Circeo, ma per la mia esperienza professionale e anche per conoscenza diretta di quanto è accaduto nel Parco Chigi di Ariccia (Nota 1).
Il daino (Dama dama – Linnaeus, 1758), è un mammifero artiodattilo della famiglia dei Cervidi.
In natura i daini hanno una organizzazione sociale consistente in un maschio dominante che si circonda di un numero di femmine da 7 a 14. Importante questa caratteristica perché la riduzione del numero delle femmine porta a scaricare l’aggressività (non più sessualmente diretta) su altri individui o sui cuccioli.
l periodo degli amori dura tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre
La femmina può ovulare più volte durante la stagione degli amori, tuttavia essa tende ad accoppiarsi e portare avanti la gravidanza (che dura in media 230 giorni) solo al primo estro stagionale.
Viene partorito si solito un solo cucciolo (ma non sono rari i parti gemellari), il quale è in grado di vedere e camminare già poche ore dopo la nascita. In particolare, siccome il cucciolo viene lasciato da solo ed allattato ogni 4 ore circa, per evitare di essere individuato da eventuali predatori rimane perfettamente immobile e confida nel mantello mimetico e nella caratteristica di non emanare odore.
Il cucciolo diviene indipendente a circa un anno d’età.
Il daino è assai versatile in termini di alimentazione, in quanto si comporta indifferentemente da brucatore o da pascolatore.
La sua dieta consiste in erba, foglie, germogli e frutta e certi tipi di funghi. Il daino è un ruminante, cioè un animale che dopo aver ingoiato il cibo lo rigurgita per poi rimasticarlo più accuratamente in luoghi riparati e tranquilli.
Pur senza arrivare ai danni indotti dalle capre, in relazione al numero di animali presenti in una determinata area e alla disponibilità di nutrienti, possono arrivare a mangiare le cortecce degli alberi. In tali condizioni i danni alla vegetazione possono essere ingenti.
Per quanto riguarda il successo di questi animali in parchi e giardini zoologici, determinante è stata l’immagine fornita dal film Bambi [W. Disney (1942)], così come il film “La carica dei 101” (1961) ha moltiplicato la richiesta e le adozioni dei cani di razza dalmata. Il primo comunque in modo più rilevante e di lunga durata, tanto che è invalso l’uso di chiamare comunemente “Bambi” i daini.
In Psicologia è noto come “Effetto Bambi” la reazione che minimizza la morte di un animale esteticamente meno piacevole alla vista, rispetto a quella di uno più piacevole.
Un mio ricordo personale
Da bambino abitavo in un terreno confinante con il parco Chigi di Ariccia e semplicemente scavalcando un muro, avevo accesso a quella enorme estensione di terreno. Ricordo ancora le fioriture primaverili, specie quelle dei ciclamini in primavera: estensioni di fiori a perdita d’occhio, il cui ricordo ancora mi commuove.
Poi negli anni intorno all’85 – ’90? introdussero nel Parco cinque coppie di daini.
Ebbene, in pochi anni si riprodussero in tal numero che ben presto saturarono la possibilità di ricezione del Parco. In quel caso, ricordo, la risoluzione del problema fu fortemente contrastata dai movimenti animalisti e solo tardivamente si riuscì a venirne a capo. Per lo più dandoli in affidamento ad altri Parchi e a privati. È stato stimato che per il recupero dei danni alla vegetazione serviranno dai 50-75 anni.
Il problema della prolificazione incontrollata di animali una volta selvatici si propone sempre più di frequente a causa della crescente antropizzazione del territorio e (più spesso) per errori di valutazione umani. I casi più noti (e studiati) riguardano i cinghiali, le cornacchie, le volpi.
Piuttosto sopravvalutati sono gli allarmi periodici (e strumentali) sulla diffusione del lupo nelle Alpi e anche in certe zone degli Appennini. D’altra parte l’espansione territoriale del lupo è un fenomeno completamente naturale: né sulle Alpi, né in alcun’altra area d’Europa, sono mai stati attuati programmi o interventi di reintroduzione o traslocazione di lupi. La riconquista da parte del lupo, da circa quarant’anni a questa parte, di gran parte delle aree montane e collinari italiane è dovuta a numerosi fattori, ma determinante è stata la disponibilità di territorio e di prede naturali.
Molto reale invece l’allarme per i branchi di cani inselvatichiti e per gli incroci tra lupi e cani selvatici; mentre i lupi hanno una paura ancestrale per gli uomini e cani non l’hanno e gli incroci possono essere sotto questo aspetto particolarmente pericolosi (due interessanti articoli sul lupo riportati in link in calce a questo articolo).
Nella maggior parte dei casi il problema – segnatamente nel caso dei daini con la diffusione incontrollata degli animali – è stato determinato dell’uomo, cui impende ora l’obbligo di risolverlo, senza schieramenti preconcetti, ma valutando serenamente i pro e i contro.
Il fatto è che la Natura non si può interpretare con parametri antropocentrici; considerata sotto questi aspetti appare particolarmente “crudele”(gli esempi sono innumerevoli, a cominciare della soppressione dei cuccioli da parte dei leoni maschi adulti). Non considerare ciò nel giusto rilievo può portare a grossolani errori decisionali.
Le soluzioni possibili
Leggo dall’articolo sui bandi del Parco che le possibilità proposte sono tre:
– Le adozioni “a scopo ornamentale”, riservati a Enti, Associazioni, persone fisiche;
– l’allevamento “a scopo alimentare” (cioè con destinazione alla macellazione);
– l’allevamento all’interno delle Aziende agro-turistiche e venatorie (cioè per le partite di caccia).
Quanto alla prima soluzione potrà riguardare un numero molto limitato di animali, per le note lentezze burocratiche e per le clausole allegate; soprattutto quella della sterilizzazione obbligatoria.
Quanto agli altri due punti, il lavoro che ho scelto, quello di “curare gli animali” – mi impedisce di prendere posizione, ma posso dire che da noi l’introduzione di carni “diverse” (struzzo, daino, anche cinghiale) da non ha avuto successo commerciale, per la propensione degli italiani ad essere abitudinari nei consumi.
Posso invece parlare con cognizione di causa dell’aspetto sterilizzazione.
La pratica è complessa. Richiede la preventiva cattura degli animali (trappole o anestetici “sparati” a distanza con i rischi inerenti, e comunque forte stress per l’animale). L’intervento chirurgico successivo, con relativa anestesia e trattamento antibiotico susseguente sono costosi e impraticabili per alti numeri di animali; comunque, per ciascuno degli “operati”, bisogna provvedere una degenza post-intervento di almeno dieci giorni.
Nè appare praticabile una “sterilizzazione di massa” (come per i piccioni, in cui, a parte che cattura e dislocamento sono più agevoli, si è tentata – pare con successo – la sterilizzazione di interi stormi) data impossibilità di garantire l’assunzione di dose costanti del farmaco estro-progestinico nei diversi esemplari e nel tempo.
Il problema quindi non è di semplice risoluzione e va valutato nei suoi diversi aspetti. Soprattutto cercando di evitare le decisioni avventate e quelle prese sotto una pressione emotiva o di opportunità ‘politica’.
Palazzo Chigi di Ariccia e parte del Parco (cliccare per ingrandire)
Nota
Palazzo e Parco Chigi. Palazzo Chigi ha un’estensione di circa 10.000 metri quadri a cui è annesso un vasto ed antichissimo Parco di 28 ettari.
Iniziato nella seconda metà del sedicesimo secolo dalla famiglia dei Savelli, il palazzo fu trasformato su commissione dei Chigi in una fastosa dimora barocca tra il 1664 e il 1672 su un’idea progettuale di Gian Lorenzo Bernini, che si servì della collaborazione del suo giovane allievo Carlo Fontana.
Il parco chigiano di 28 ettari e definito da Stendhal “il più bel bosco del mondo”.
[da: https://www.palazzochigiariccia.it/ ]
Allegati
Due articoli sul lupo:
– Il ritorno del lupo in Italia
– Come i lupi hanno ridato vita al Parco di Yellowstone
***
Appendice del 17 febbr. h 19,30 (cfr. commento di Piero Vigorelli)
Il Commento di Vigorelli viene qui riportato un file .pdf, insieme alle cinque pagine del TEMPO del 1972 (citate nel commento), riunite anch’esse in unico file .pdf
Commento di Piero Vigorelli sui daini e sul Parco Nazionale del Circeo
TEMPO. Parco Circeo. Vigorelli. Allavena. 2 Apr. 1972
Piero Vigorelli
17 Febbraio 2021 at 19:44
Caro Sandro Russo, ti comunico una notizia importante.
La mia “guerra privata” (come la definisci) contro il Parco del Circeo è datata 2 aprile del 1972, cioè 49 anni fa. Era una denuncia pubblica e all’epoca non ero mai stato a Ponza.
Allora ero un giovane redattore del settimanale Tempo Illustrato (Direttore Nicola Cattedra), un periodico molto prestigioso che ospitava gli “Scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini, le note politiche di Vittorio Gorresio, gli articoli di Ermanno Rea, di Guido Vergani, di Giorgio Bocca e anche la critica letteraria di mio padre, Giancarlo Vigorelli.
Proposi al Direttore un’inchiesta sui quattro Parchi Nazionali (Gran Paradiso, Stelvio, Abruzzo e Circeo) e pubblicai quattro corposi e documentati articoli.
Quello sul Parco del Circeo era intitolato “Un Parco da buttare”. Non lo sostenevo solo io, ma autorevoli ambientalisti quali Fulco Pratesi e Antonio Cederna [il “ritaglio” dal TEMPO del 1972, inviato in redazione, composto di 5 pagg., è stato allegato all’articolo di base, a cura della Redazione].
Fulco Pratesi (poi diventato presidente del WWF): “Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato Parco… Le condizioni del Parco e la sua scandalosa gestione, costituiscono una macchia purulenta che si deve cancellare”.
Antonio Cederna (presidente di Italia Nostra), a proposito delle frequenti uccisioni di animali all’interno del Parco: “Si è giunti a un assurdo: quello che un Ente Pubblico si è trasformato in un ente boscaiolo e sterminatore di animali, come un povero contadino che cerca di difendere il proprio pollaio”.
Da 49 anni fa ad oggi non ho cambiato idea e convinzione.
A fine 2015, il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti mi ha nominato nel Consiglio Direttivo del Parco, che usciva da un’ennesima e lunga gestione commissariale (la “scandalosa gestione” denunciata da Pratesi si è prolungata nel tempo).
Mi sono sempre battuto per tre questioni che segnassero una svolta per un Parco così malmesso da sempre:
(1) Una gestione della spesa per progetti reali di valorizzazione e non per piccole marchette. E NO ai circa 350.000 euro l’anno dati alla Forestale, che è già finanziata dal MinAmbiente. Non avendo avuto riscontri, ho sempre votato contro il bilancio. Per evidenziare la non trasparenza della gestione del Parco, ho portato alla conoscenza del Consiglio Direttivo la relazione della Corte dei Conti al Parlamento, fortemente critica sulla presenza di oltre tre milioni di euro di residui attivi nelle casse dell’Ente. Il presidente del Parco Benedetto e il direttore si erano premurati di tenere la relazione della Corte dei Conti chiusa in un cassetto.
(2) Una valorizzazione dell’isola di Zannone, da anni abbandonata a se stessa dal Parco, che era (ed è tuttora) in una situazione di degrado ambientale, di fatiscenza della Villa di proprietà comunale, di noncuranza della popolazione di mufloni. Questioni poste con forza nella riunione del Consiglio Direttivo che, per la prima e unica volta, si è tenuta a Ponza nel settembre 2016. Poi, vista la protervia del presidente e del direttore del Parco, incuranti anche dei contributi di alcuni membri del direttivo a sostegno delle mie tesi, ho deciso per l’uscita di Zannone dal Parco. E questo anche su suggerimento del Ministero dell’Ambiente.
(3) La contrarietà a qualsiasi forma di “eradicazione” degli animali presenti nel Parco, dai daini ai mufloni. Ho quindi votato contro il Piano di Gestione di controllo del daino nella foresta demaniale, presentato al Direttivo nel febbraio 2017. Un Piano di sterminio, che esclude le soluzioni non cruente e prevede la sola uccisione dei daini, programmata in 350 l’anno. Cosa che, come il Piano rileva, avrebbe creato un’importante filiera alimentare, considerando che si sarebbero “prodotti” circa 14.000 chili di carne pregiata all’anno.
Con il cambio al Comune di Ponza, nel Direttivo sono stato sostituito da Mimma Califano, che quelle battaglie ha abbandonato, riprendendo l’antico tran tran che vedeva il Comune di Ponza genuflettersi al Parco e presentarsi con il cappello in mano per chiedere pochi spiccioli.
Non sono un “verde” e penso sia sbagliato che i “verdi” si ghettizzano in un partito, che in Italia non a caso ha consensi da cabina telefonica. Ritengo che le problematiche verdi debbano essere diffuse, senza etichette e soprattutto senza il fanatismo talebano.
Non sono un anti caccia e ritengo che i cacciatori siano più ambientalisti di alcune organizzazioni anti caccia che agiscono in dispregio delle leggi (come succede spesso a Ponza, e ricordo a Sandro Russo che dalle loro denunce sono stato prosciolto con formula piena).
Riguardo i daini, il problema del sovraffollamento è sopravvalutato. Soprattutto, non è mai stato controllato.
Introdotti nel Parco nel lontano 1957 allo scopo di tutelarne la specie, essendosi rotti i recinti per incuria del Parco, diffusisi nella foresta demaniale alla ricerca di cibo, si presume a lume di naso che i daini siano circa 1.800. Ma nulla è certificato, perché mai il parco ha fatto opera di censimento (e di contenimento).
E così, per risolvere i guai che il Parco ha provocato con la sua pluriennale incuranza, il Parco ha scelto di risolvere la questione con i metodi spicci delle fucilate. Fregandosene del fatto che la legge istitutiva dei Parchi vieta che siano introdotte armi nei territori protetti.
Il Parco che doveva tutelare la specie, adesso diventa il carnefice. Un capolavoro!
Quando, alla vigilia del Capodanno 2019/20, il direttore del Parco, Paolo Cassola, ha iniziato a rendere operativo il Piano di Gestione, ho lanciato l’allarme e promosso la campagna “No alla mattanza dei daini”, che ha fatto conoscere la questione a una quindicina di milioni di persone, tramite carta stampata, social, radio e televisioni.
Il Parco, messo alle strette e con le spalle al muro, prima ha tentato di negare l’evidenza e poi è stato costretto a dire che non avrebbe perseguito le “soluzioni cruente” e che avrebbe dato priorità alle adozioni dei capi in sovrannumero.
Era il febbraio 2020, in un convegno in un’aula di Montecitorio organizzato dall’associazione ambientalista Gaia Ambiente (vicina ai 5 Stelle), con il neo presidente del Parco (gen. Antonio Ricciardi), lo storico ex presidente del Parco d’Abruzzo, Franco Tassi (che ha ben spiegato come i daini non siano una specie aliena e neppure parautoctona, esistendo fin dal paleolitico), e il sottoscritto.
Il gen. Ricciardi disse al convegno che il Parco, grazie alla nostra campagna, aveva già ricevuto centinaia di richieste di “adozione” e che questa era la scelta prioritaria del Parco.
Ovviamente abbiamo tirato un sospiro di sollievo, ma senza sotterrare l’ascia di guerra, – ben conoscendo le ambiguità del Parco e la determinazione talebana della sua dirigenza.
Un anno dopo, in questo febbraio 2021, il Parco ha gettato la maschera buonista e ha prodotto tre bandi per le “adozioni” e un “avviso pubblico” per la formazione degli operatori.
Come correttamente scrive Marco Cianfanelli, il primo bando è per l’adozione “ornamentale”, il secondo per l’adozione presso Aziende “a scopo alimentare” (cioè ingrasso e destinazione macelleria) e il terzo presso gli Agriturismo “a scopo venatorio” (cioè per essere bersagli facili per i cacciatori che non vogliono andar per boschi e faticare per trovare una preda).
Il secondo e il terzo bando sono semplicemente schifosi, perché portano all’uccisione dei daini e consentono al Parco di lavarsi la coscienza, perché saranno altri a ucciderli.
Il primo bando (adozione ornamentale) sarebbe eticamente quello più corrispondente alle promesse del gen. Ricciardi. Ma è una mezza presa in giro.
Infatti, entro il 13 marzo 2021, gli Enti pubblici come gli altri Parchi, le Aziende agricole, gli Agriturismo, le Pro Loco e le persone fisiche che intendono adottare i daini, devono adempiere a numerose incombenze burocratiche che il Parco richiede loro. Ad esempio, un solo daino, per essere da loro adottato, deve avere a disposizione 5.000 metri quadrati di terreno (10.000 Mq per due capi e così via), che dev’essere recintato con reti alte oltre due metri e posate al suolo con base di cemento…
Le adozioni “ornamentali” sono quindi uno specchietto per le allodole, perché concepite proprio per scoraggiare chi vorrebbe adottare i daini.
Il peggio poi viene dall’”avviso pubblico” per formare gli operatori preposti alla cattura dei capi, che devono avere la licenza di caccia e fucili a canna rigata.
Si spiega che queste persone dovranno convogliare nei corral (recinti) i daini, per procedere alla loro cattura. Ma soprattutto, si afferma che i “fucilieri del Parco” possono procedere all’abbattimento diretto dei daini.
Questi i fatti, che mi hanno anche fatto rinverdire bei ricordi (verbo scelto non a caso).
Siamo di fronte a un bando per le adozioni ornamentali, che potrà interessare ben pochi. A due bandi per le adozioni alimentari e venatorie, che si risolvono in una macelleria. E alla conferma, da “avviso pubblico”, che il Parco procederà all’abbattimento diretto dei daini per opera dei suoi fucilieri.
Temo che Mimma Califano non l’abbia capito o – peggio – che l’abbia condiviso.
Non ne sarei sorpreso.
Grazie per avermi dato ospitalità.
Piero Vigorelli