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La vita davanti a sé. Il libro e i film (2)

di Sandro Russo

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Per la prima parte, che include anche l’intervista di Natalia Aspesi a Sophia Loren, da Il Venerdì di Repubblica, leggi qui

Tanto attraente il tema – il mondo colorato e vitale del quartiere di Belleville nella Parigi degli anni ’70, un’infanzia inconsueta, la vecchiaia e la morte – che già nel 1977 di Una vita davanti a sé era stato fatto un film, con Simone Signoret (1921-1985) per la regia del regista israeliano Moshé Mizrahi, molto fedele al romanzo, quasi didascalico (reperibile per intero su Youtube, in francese con sottotitoli in inglese).

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A Simone Signoret l’interpretazione di Madame Rosa varrà il premio César 1978 come migliore attrice, mentre il film vince l’Oscar al miglior film straniero (Wikipedia).


Simone Signoret (1921-1985), in tre diverse età della vita
(cliccare per ingrandire)

Del film, una critica che condivido totalmente riporta:
“E’ il classico film che troverà nettamente divisi gli ipercritici e gli spettatori normali. I primi, infatti, troveranno che il romanzo omonimo di Émile Ajar (Romain Gary) è molto più vivace per la freschezza e profondità dei dialoghi o delle descrizioni cui tolgono incisività la tecnica delle immagini e dei suoni; noteranno che l’eccellente interpretazione di Simone Signoret è tale da supplire alla semplicità di una sceneggiatura che cammina per quadretti come la lettura di un dialogo autobiografico; concluderanno che ha acquistato notevole statura solo perché portato sulle valide spalle della Signoret interprete e di Ajar scrittore (tra l’altro insignito del Premio Goncourt 1975 per questo suo romanzo). Lo spettatore comune, viceversa, godrà incondizionatamente un film che gli parla con semplicità, che commuove profondamente senza avvalersi di un falso melodramma, che mantiene costantemente un tono equilibrato e pudico” (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 84, 1978).

Con queste premesse pone mano ad una riedizione del film Edoardo Ponti, in omaggio e con il supporto imprescindibile di mamma Sophia (film di recente proposto in visione su Netflix).

A differenza del film del ’77 molte cose sono diverse, in parte semplificate. L’ambientazione è più o meno attualizzata alla Bari dei giorni nostri, nelle strade a reticolo del Quartiere Murat. Momò è un ragazzino senegalese (bravo, Ibrahima Gueye, alla sua prima apparizione sullo schermo); il dottore (Renato Carpinteri), la transessuale Lola (Abril Zamora), il sig. Hamil (Babak Karimi) il commerciante di tappeti presso cui Momò va a imparare un lavoro (nel libro è il suo maestro di arabo e di Corano, quello che fonda la vita su due soli libri, I Miserabili di Victor Hugo e il Corano, appunto); c’è anche una breve esperienza di Momò con lo spaccio di droga…

Il film è stato variamente accolto dalla critica. Alcuni si sono sperticati in ammirazione per la riapparizione di Sophia sullo schermo – a ottantasei anni è quasi un miracolo – dopo vari anni dall’ultimo film [notevole, il cortometraggio (25 min.) La voce umana, sempre per la regia del figlio Edoardo, monologo monstre di Jean Cocteau, che fu il cavallo di battaglia di Anna Magnani (1)].

Qualche critico ha messo in evidenza la mancanza di un’unghiata che innalzasse il film oltre il livello di un buon prodotto commerciale titolando “Edoardo Ponti non è Vittorio De Sica”, evidentemente riferendosi al regista che aveva diretto la Loren ne La ciociara (1960; Oscar 1962 per la miglior attrice protagonista); altri hanno sottolineato il sentimentalismo che pervade la pellicola per l’impegno congiunto di madre e figlio.

Senza eccessi di criticismo il film si può vedere come un onesto tentativo di riproporre il romanzo, spostandone in parte l’essenza, il significato profondo; infatti associa al romanzo di formazione (Bildungsroman) di Romain Gary, un discorso sulla vecchiaia e soprattutto si sente (forse prevale) da parte del regista, l’omaggio alla grande attrice che è sua madre.

Ma è un rischio che ogni film corre quando opera la trasposizione da un libro importante. Per questo, pur conoscendone i rispettivi contenuti e le motivazioni sottostanti, non sono opportuni i confronti troppo stringenti libro-film: la storia narrata può essere la stessa e il significato profondo essere diverso; oppure la storia può essere completamente stravolta, ma l’essenza restare intatta (2).

A riprova, vorrei concludere con un paio di pagine dal libro (pp. 91 e segg.) – credo affascinanti per qualunque cinefilo – un’esperienza che Momò racconta come una delle più intense della sua vita… Ecco (con qualche taglio) il testo:

“L’ingresso del palazzo portava a un secondo palazzo più piccolo, all’interno, e non appena sono entrato, ho sentito degli spari, dei freni che stridevano, una donna che urlava e un uomo che supplicava: «Non mi ammazzate! Non mi ammazzate!» e ho perfino fatto un salto tanto era vicino. Poi c’è stata subito dopo una raffica di mitra e l’uomo ha gridato «No!» come succede sempre quando uno muore controvoglia.
Poi c’è stato un silenzio ancora più tremendo e a questo punto non mi crederete. Tutto è ricominciato come prima, con lo stesso tipo che non voleva essere ammazzato perché aveva le sue buone ragioni e il mitra che non lo stava a sentire. Ha ricominciato per tre volte a morire suo malgrado come se fosse un porco che più porco non ce n’è e bisognasse farlo morire tre volte per dare l’esempio.
C’è stato un altro silenzio durante il quale lui è rimasto morto e poi si sono accaniti su di lui una quarta volta e una quinta e alla fine mi faceva perfino pietà perché in fin dei conti… Dopo lo hanno lasciato tranquillo e c’è stata una voce di donna che ha detto: “Amore mio, povero amore mio», ma con una voce così commossa e coi sentimenti più sinceri che ci sono rimasto di stucco anche se non so nemmeno cosa vuol dire. Sulla porta non c’era nessuno, a parte io e una lampadina rossa accesa.
Mi sono appena riavuto dall’emozione che loro hanno ripreso tutto il casino con «amore mio, amore mio…», ma ogni volta su un altro tono, e poi hanno ricominciato e poi ancora. Il tipo ha dovuto morire cinque o sei volte tra le braccia della sua tizia, da tanto gli dava gusto sentire che c’era qualcuno che gli dispiaceva.
Ho pensato a Madame Rosa che non ci aveva nessuno per dirle «amore mio, povero amore mio» perché non aveva per così dire più capelli e pesava sui novantacinque chili, uno più brutto dell’altro.
A questo punto la tizia si è ammutolita per lanciare un tale grido di disperazione che mi sono precipitato verso la porta e all’interno come un sol uomo. Merda, era una specie di cinema, solo che tutto andava all’indietro. Quando sono entrato la tizia sullo schermo è caduta sul corpo del cadavere per agonizzarci sopra e subito dopo si è alzata, ma alla rovescia, facendo tutto a ritroso come se all’andata fosse stata viva e al ritorno una bambola. Poi s’è spento tutto e si è accesa la luce.

La tizia che mi aveva scaricato stava davanti al microfono in mezzo alla sala, davanti alle poltrone, e quando si è acceso tutto mi ha visto. In un angolo c’erano tre o quattro tipi, ma non erano armati. Dovevo stare come un fesso a bocca aperta perché tutti mi guardavano così. La bionda mi ha riconosciuto e mi ha fatto un immenso sorriso, e questo mi ha un po’ risollevato il morale, le avevo fatto colpo.
«Ma è il mio amichetto!»
Non eravamo amichetti per niente ma non volevo mettermi a discutere”.
(…)
Mi ha spiegato che era quella cosa che loro chiamano una sala di doppiaggio. La gente sullo schermo apriva la bocca come per parlare ma erano le persone nella sala che le imprestavano la voce. Facevano come per gli uccelli, gli infilavano la loro voce direttamente nella gola. Quando alla prima non funzionava e la voce non interveniva al momento giusto, bisognava ricominciare. E qui veniva il bello: tutto si metteva ad andare all’indietro. I morti ritornavano in vita e riprendevano a ritroso il loro posto nella società. Schiacciavi un bottone e tutto si allontanava. Le macchine indietreggiavano alla rovescia e i cani correvano all’indietro e le case che crollavano si raccoglievano e si ricostruivano in un attimo sotto ai tuoi occhi. Le pallottole uscivano fuori dal corpo, ritornavano nel mitra e gli assassini se la davano a gambe e saltavano dalla finestra all’indietro. Se versavi dell’acqua, questa si rialzava e risaliva nel bicchiere. Il sangue che scorreva se ne ritornava nel corpo e non restava più traccia di sangue da nessuna parte, la ferita si richiudeva. Uno che aveva sputato si riprendeva lo sputo in bocca. I cavalli galoppavano all’indietro e un tizio che era caduto dal settimo piano veniva recuperato e rientrava dalla finestra.

Era il vero piano alla rovescia ed era la più bella cosa che ho mai visto nella mia vita schifa.

A un certo momento ho visto perfino Madame Rosa giovane e fresca, con tutte le sue gambe e l’ho fatta andare indietro ancora di più ed è diventata ancora più bella. Avevo le lacrime agli occhi. Mi sono fermato un bel po’ perché non avevo fretta di far niente e come me la sono spassata.
(…)
Le persone presenti si erano accorte che mi divertivo un sacco a questo cinema e mi hanno spiegato che si poteva prendere tutto dalla fine e ritornare fino all’inizio, e uno di loro che aveva la barba ha scherzato e ha detto: «Fino al paradiso terrestre».
Dopo ha aggiunto: «Disgraziatamente, quando ricomincia, è sempre la stessa cosa». La bionda mi ha detto che si chiamava Nadine e quello di far parlare la gente con una voce umana al cinema era il suo mestiere. Ero tanto contento che non avevo voglia di niente.
Pensate, una casa che brucia, e che crolla, e che poi si spegne e si risolleva. Bisogna vederle coi propri occhi queste cose per crederci, perché con gli occhi degli altri non è mica la stessa cosa.

È stato a questo punto che c’è stato un vero avvenimento. Non posso dire che sono risalito all’indietro e che ho visto mia madre, ma mi sono visto seduto per terra e vedevo davanti a me delle gambe con degli stivali alti fino alle cosce e una minigonna di pelle e ho fatto uno sforzo terribile per alzare gli occhi e per vedere la sua faccia, sapevo che era mia madre ma era troppo tardi, i ricordi non possono alzare gli occhi”.

Note
(1) – La voce umana
 (titolo originale: La Voix humaine) è un’opera teatrale dello scrittore francese Jean Cocteau del 1930.
Il monologo fu interpretato da Anna Magnani nel film L’amore, nell’episodio Una voce umana di Roberto Rossellini (film in due episodi distinti, entrambi con la Magnani, del 1948). Mirabile l’incipit (“Pronto… Pronto… Pronto”) e l’explicit (“Ti amo!”).
Nel 2014 il regista Edoardo Ponti realizza una nuova versione con protagonista la madre Sophia Loren intitolata Voce umana sulla base di un testo in dialetto napoletano scritto dallo scrittore Erri De Luca.

(2)  E’ un discorso complesso che richiede una approfondita conoscenza sia del libro che del film: mi riferisco – come esempi emblematici – nel primo caso a La morte a Venezia (Der Tod in Venedig), di Thomas Mann (1912) da cui Luchino Visconti ha tratto Morte a Venezia, film del 1971 (tratto dal romanzo) [sul sito leggi qui e qui]; nel secondo caso a Cuore di tenebra (Heart of Darkness; 1899) di Joseph Conrad trasposto da Francis Ford Coppola in Apocalypse now (1979) (liberamente ispirato a-)

[La vita davanti a sé. Il libro e i film (2) – Fine]

2 Comments

2 Comments

  1. Renzo Russo & Françoise

    13 Dicembre 2020 at 10:51

    Ieri sera abbiamo visto il film di Simone Signoret dal sito di Ponzaracconta. Bellissimo! Dà una pista a quello della Loren..! D’altra parete, per aver vinto l’Oscar come miglior film, dei meriti li doveva avere! Ci ha ricordato un po’ “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” per ambientazione e soggetto.
    Peccato che fosse in lingua originale (con i sottotitoli in inglese). Françoise se l’è goduto più di me.
    Grazie della dritta.

  2. Lorenza Del Tosto

    13 Dicembre 2020 at 16:29

    La vita davanti a sé (libro) non mi aveva particolarmente colpito all’epoca ma adesso, leggendo il passaggio che hai selezionato Sandro, mi sono molto commossa. Certo un tipo di emozione che il film con la Loren non ci ha dato.
    Inutile fare confronti film libro, come ben dici, ma leggendo queste pagine ho individuato la nota stonata: nel film Madame Rosa è vista con gli occhi del regista (si potrebbe dire che è un atto di adorazione del figlio nei confronti della madre), nel libro con gli occhi di Momo e c’è una bella differenza. Il terzo occhio del regista è ingombrante e snatura un po’ le cose.

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