di Sandro Vitiello
Ci ha lasciati questa notte a Bolzano Lidia Menapace; aveva novantesei anni.
Nata in Piemonte, di cognome Brisca, è stata una figura molto importante sulla scena polita ed intellettuale del nostro paese.
Se ne va un altro pezzo di quella generazione che aveva liberato l’Italia dal fascismo e dall’occupazione nazista.
Di quella generazione che ha lottato per favorire nel nostro paese un cambiamento di emancipazione a favore dei lavoratori, delle donne, degli ultimi.
Lidia Menapace aveva una storia personale ricchissima ed ha avuto una vita spesa sempre in prima fila, assumendosi responsabilità di gran lungo superiori a quella esile figura che sembrava essere.
Sin da piccola sua madre impartì a lei e a sua sorella una lezione di vita che amava ricordare con orgoglio: “Trovatevi un lavoro, garantitevi una autonomia economica per non dover chiedere a vostro marito i soldi per le calze. I mariti si possono anche lasciare se si è libere economicamente”.
Era poco più che un’adolescente quando partecipò alla lotta di liberazione e ci teneva a precisare che venne congedata con il grado di sottotenente.
Nel millenovecentoquarantacinque aveva ventuno anni il sottotenente Lidia Menapace.
Studiò all’università Cattolica di Milano dove si laureò a pieni voti.
Insegnò anche in quella università fino a quando, lei cattolica iscritta alla Democrazia Cristiana, si interessò sempre più alla condizione delle classi lavoratrici.
Gli anni Sessanta furono anni in cui l’orizzonte di tante persone cambiò, e di tanti cattolici in particolare.
C’era stato il pontificato di Giovanni ventitreesimo e c’era una Chiesa finalmente capace di guardare oltre l’ortodossia imbalsamata dei sacri testi.
Il Papa Buono – Giovanni Ventitreesimo – con il suo Concilio Vaticano Secondo aveva lanciato una sfida importante e gente come Lidia Menapace non si tirò indietro.
Aderì al movimento dei “Cristiani per il Socialismo” e presto scoprì di vivere una storia in odore di eresia.
Incontrò sulla sua strada altri eretici, provenienti da un’altra Chiesa da cui erano stati cacciati. Si chiamavano Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Lucio Magri ed altri nomi ancora.
Erano stati radiati dal partito Comunista italiano – altra Chiesa con i suoi dogmi – perché si erano permessi di portare nuove istanze al dibattito, figlie della stagione di lotte della fine degli anni sessanta.
Fondarono insieme il giornale “Il Manifesto” e insieme arricchirono il dibattito politico e sociale con riflessioni per niente scontate.
Lei figlia di un mondo antico, combattente partigiana, fu una femminista della prima ora e una pacifista convinta.
Aggiunse al suo impegno intellettuale la partecipazione attiva ai partiti della sinistra; prima con il Pdup – Partito di Unità Proletaria – e successivamente nelle fila di Rifondazione Comunista.
Lei che nel ’64 era stata la prima donna eletta, nella lista della Democrazia Cristiana, al Consiglio provinciale di Bolzano, città in cui aveva scelto di vivere insieme a suo marito Nene Menapace.
Eletta anche in giunta come assessore alla sanità e ai servizi sociali.
La storia degli ultimi settanta-ottanta anni l’ha vista sempre partecipe e protagonista.
Sempre attiva comunque nell’Associazione dei Partigiani d’Italia e nelle associazioni dei diritti delle donne.
Notevole è anche la sua produzione di testi, considerati riferimento importante per capire l’evoluzione della società italiana.
Ho un ricordo personale di tredici anni fa.
Con l’Agenzia per il Turismo e la Cultura della città di Cesano Maderno organizzammo un convegno dedicato ai temi del pacifismo e della solidarietà.
La cercai telefonicamente e da subito mi diede la sua disponibilità.
Ero un po’ preoccupato perché sapevo della sua età ma rimasi stupito dalla vitalità di questa anziana signora, quando andai a prenderla in stazione a Milano. Viaggiava da sola.
Prima dell’incontro serale ci concedemmo una cena non frugale in compagnia di Emilio Molinari – vice presidente del Contratto Mondiale per l’Acqua – e la serata continuò con un incontro pubblico molto partecipato; facemmo molta fatica a chiudere quella serata perché lei aveva la capacità di argomentare, di appassionare chi la ascoltava. Aveva il dono di far arrivare le sue parole al cuore delle persone.
Ma non finì così.
Tornati in albergo, dove avevo il ristorante, le proposi di fermarci ancora un po’ con gli amici che ci avevano accompagnati.
Facemmo molto tardi e malgrado i suoi anni e l’ora non rinunciò ad una fetta di torta e ad un buon bicchiere di vino.
Fu uno di quei momenti della vita che si conservano con maggiore passione.
Dopo poche ore, alle sette di mattina in punto, era pronta per essere accompagnata in stazione per tornare alla sua Bolzano.
Salutiamo Lidia Menapace, conserveremo memoria del suo insegnamento, della sua vita.
Canta il merlo sul frumento. Il romanzo della mia vita (Manni, 2015), di Lidia Menapace, è l’autobiografia della partigiana, politica, femminista e saggista, all’anagrafe Lidia Brisca, protagonista della vita civile e culturale italiana