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E così, subito dopo aver finito di leggere il romanzo di Romain Gary ho cercato/trovato il modo di vedere su Netflix il film che ne ha fatto Edoardo Ponti con la madre Sophia Loren nel ruolo di Madame Rosà.
Del film avevo sentito parlare e ne avevo anche letto su il Venerdì di Repubblica.
Il servizio in file .pdf si può leggere qui di seguito; l’intervista a Sophia dà molte informazioni sul romanzo e sul film.
Sophia. Intervista di Natalia Aspesi
Il libro lo avevo comprato tempo fa e messo da parte; riprenderlo in mano e rimanerne agganciato è stato tutt’uno. È stata l’avvincente lettura di una settimana di semi-confinamento, davanti al camino.
Il mondo visto con gli occhi di un bambino di 10 anni (o forse di 14?) di una quartiere parigino caleidoscopio di razze e colori, che si chiama Belleville ancor prima di Pennac. Il libro di Romain Gary (alias Roman Kacew, alias Émile Ajar) è del 1975; il ciclo dei Malaussène di Pennac dal 1985 in poi…
Mohammed – ma meglio chiamarlo Momò – è (forse) di origine algerina e di religione musulmana e, per quanto ricorda, è sempre vissuto a casa di Madame Rosà, ex prostituta che tiene, per così dire, ‘a pensione’ i figli delle altre che a causa della “vita” non possono tenerli con sé.
Così si racconta Momò (a pag. 167) in una sua rara esternazione (di solito è un ragazzino di molti pensieri e poche parole):
“Me ne sono rimasto muto come una carpa alla giudea per una mezz’ora col singhiozzo e ho sentito lui che diceva che ero in stato di shock, e la cosa mi ha fatto piacere perché sembrava interessarli. Poi mi sono alzato, gli ho detto che ero costretto a tornare a casa, dato che c’era una vecchia in stato di necessità che aveva bisogno di me, ma la tipa che si chiamava Nadine è andata in cucina ed è tornata con un gelato alla vaniglia che era la cosa più bella che ho mai mangiato nella mia vita schifa, ve la dico proprio come la penso. Dopo abbiamo chiacchierato un po’ perché stavo bene. Quando gli ho spiegato che la persona umana era una vecchia ebrea in stato di necessità che era in corsa per battere il record del mondo assoluto e cosa mi aveva spiegato il dottor Katz dei vegetali, loro hanno pronunciato delle parole che avevo già sentito, come senilità e sclerosi cerebrale e io ero contento perché parlavo di Madame Rosa e questo mi fa sempre piacere. Gli ho spiegato che Madame Rosa era un’ex puttana che era tornata dalla deportazione nelle comunità ebree in Germania e aveva aperto un rifugio per figli di puttane che si possono ricattare con la perdita della patria potestà per prostituzione illecita e sono costrette a nascondere i loro figli perché ci sono dei vicini che sono delle carogne e ti possono sempre denunciare all’Assistenza Sociale. Non so mica perché mi faceva un piacere da matti parlare con loro, stavo seduto in poltrona e lui mi ha offerto perfino una sigaretta e mi ha acceso col suo accendino e mi ascoltava come se fossi importante. Mica per dire, ma capivo che gli facevo effetto. Mi sono anche entusiasmato e non riuscivo più a fermarmi dalla voglia che avevo di sputar fuori tutto, ma questo evidentemente non è possibile perché non sono mica il signor Victor Hugo (…)”
Momò ha una ferita bruciante, costituita dall’assenza della madre – il padre, si sa, per i figli di puttana è meno importante –; è molto sensibile e si è creato un amico immaginario che lo aiuta a prendere sonno. Nel caso suo è una leonessa.
Qui a pag. 51:
“…madame Rosa diceva che le bestie sono molto meglio di noi, perché hanno la legge di natura, soprattutto le leonesse. Era piena di elogi per le leonesse. Quando ero a letto, prima di addormentarmi, certe volte facevo suonare alla porta, andavo ad aprire e c’era una leonessa che voleva entrare per difendere i suoi piccoli. Madame Rosa diceva che le leonesse sono famose per questo e si farebbero ammazzare piuttosto che tirarsi indietro. È la legge della giungla e se la leonessa non difendesse i suoi piccoli, nessuno le darebbe fiducia. Io facevo venire la mia leonessa quasi tutte le notti. Entrava, saltava sul letto e ci leccava la faccia, perché anche gli altri ne avevano bisogno e io ero il più grande, dovevo pensare anche a loro. Solo che i leoni hanno una brutta reputazione perché bisogna pure che si nutrano come tutti quanti, e quando annunciavo agli altri che stava per arrivare la mia leonessa, tutti là dentro cominciavano a strillare e ci si metteva anche Banania, che pure Dio sa se se ne fregava di tutto quello lì, a causa del suo proverbiale buonumore. Mi piaceva molto Banania, che poi è stato preso da una famiglia di francesi che avevano posto e un giorno o l’altro lo andrò trovare.
Alla fine Madame Rosa è venuta a sapere che facevo entrare una leonessa mentre lei dormiva. Lo sapeva che non era vero e che io sognavo soltanto le leggi di natura, ma lei aveva un sistema sempre più nervoso e l’idea che c’erano delle bestie selvatiche nell’appartamento le dava i terrori notturni. Si svegliava urlando perché per me era un sogno ma per lei diventava un incubo e diceva sempre che gli incubi sono i sogni di quando uno invecchia. Ci immaginavamo due leonesse completamente diverse, noi due, ma cosa ci volete fare”.
L’educazione di Momò. Con la saggezza derivata da una vita intensamente vissuta – scampata al campo di concentramento nazista come ebrea e poi per anni “sulla strada” – Madame Rosà è prodiga di insegnamenti per Momò, come questo, a pag. 106:
“Aveva gli occhi pieni di lacrime e sono andato a prendere della carta igienica per pulirglieli.
«Cosa ne sarà di te senza di me, Momò?»
«Cosa volete che ne sia, e poi non è mica ancora detto».
«Tu sei un bel ragazzino, Momò, ed è pericoloso. Non ti devi fidare. Promettimi che non ti guadagnerai la vita col culo».
«Ve lo prometto».
«Giuramelo».
«Ve lo giuro, Madame Rosa. Per questo potete stare tranquilla».
«Momò, ricordati sempre che il culo è la cosa che un uomo ha di più sacro. Il suo onore sta lì. Non lasciar mai che nessuno ti prenda il culo, anche se ti paga bene. Anche se muoio io e a te non ti resta altro al mondo che il tuo culo, non ti devi far convincere».
«Lo so, Madame Rosa, è un mestiere da donna. Un uomo deve farsi rispettare».
Siamo rimasti così un’ora, tenendoci per mano e questo le faceva meno paura”.
Nella seconda parte dirò del film – anzi dei due film – che dal romanzo stati tratti e del perché libro e film hanno linguaggi diversi – anche se rappresentano la stessa storia -, e non si dovrebbero comparare.
[La vita davanti a sé. Il libro e il film con Sophia. (1) –> (2). Continua qui]