Ambiente e Natura

Che diavolo sta succedendo?

di Sandro Vitiello

 

Una ventina di anni fa preparai il mio viaggio in Patagonia cercando di leggere quanto più possibile, per capire meglio i luoghi che andavo a visitare.
C’era ovviamente la bibbia di quel viaggio “in Patagonia” di Bruce Chatwin e poi c’era Coloane e ovviamente Louis Sepulveda.
Sepulveda c’era per tante altre ragioni.
Il mio primo scalo era Buenos Aires e da quelle parti le ferite di una delle peggiori dittature che il continente latino-americano aveva subito, erano ancora tutte aperte.
Sepulveda che ci ha lasciato pochi mesi fa è stato protagonista e testimone delle barbarie commesse in Sudamerica -con la supervisione e complicità degli Stati Uniti d’America- e i suoi libri ci ricorderanno per sempre quanto è accaduto.
Di Sepulveda avevo portato nel mio viaggio il libro “Il mondo alla fine del mondo”.
Ricordiamo che lo scrittore cileno è stato anche un impegnato militante ambientalista.


In quel romanzo raccontava la storia di una vicenda incredibile; una nave baleniera giapponese che pescava di frodo in acque magellaniche era stata pesantemente attaccata da un gruppo di balene.
Erano morti diciotto marinai, diversi erano stati feriti e la nave semidistrutta.
Era il segnale che qualcosa si stava rompendo nel fragile equilibrio tra gli uomini e le altre specie viventi del nostro pianeta.
Gli animali non sopportavano più la prepotenza degli umani, che si impadronivano di tutte le risorse presenti, senza domandarsi se questo era giusto, se le altre specie viventi avessero dei diritti, se per la stessa specie umana questa fosse una cosa buona.
Era un romanzo, era un bellissimo romanzo, era comunque il prodotto della fantasia di un bravissimo scrittore che raccontava la sofferenza del nostro pianeta davanti allo strapotere della specie umana.

Il quotidiano “La Repubblica” di oggi ci parla di qualcosa di simile.


Dal 28 luglio all’11 settembre diverse imbarcazioni sono state attaccate da un branco di orche lungo la costa atlantica della penisola iberica.
Il 28 ed il 29 luglio due diverse imbarcazioni sono state speronate, con gravi danni, davanti alla costa di capo Trafalgar, ad un centinaio di chilometri ad ovest di Gibilterra, in Spagna.
Il 30 di agosto la stessa situazione si ripete davanti alla costa di Vigo, 800 e passa chilometri più a nord.
Quattro giorni fa stessa scena davanti a La Coruńa, 150 chilometri a nord.
Stessa tecnica, forse lo stesso branco, sicuramente lo stesso risultato.
Animali che abitualmente non entrano in conflitto con l’uomo e i suoi mezzi – al di la della retorica cinematografica sulle orche assassine – scelgono volutamente di attaccare barche in navigazione, di farlo con grande aggressività sapendo che non potranno certo mangiarsi il timone o altre parti.


La domanda che sorge spontanea è: perché lo fanno?
La risposta degli esperti interpellati è la stessa del racconto di Sepulveda, anche se con parole diverse.
Tante specie animali, in natura, vedono pesantemente compromesso il loro ecosistema e non trovando più da mangiare, non possono più muoversi nel mare con quella libertà che ne faceva i padroni, quegli animali, soprattutto quelli che riescono ad associare la loro sofferenza con la presenza distruttiva della specie umana, incominciano a ribellarsi.
Certo le cronache non racconteranno mai della rivolta dei gamberi eppure ci sono navi con reti a strascico che in una sola calata mettono a bordo decine di tonnellate di pesce.
Le coste atlantiche del nord-Africa sono in pesante sofferenza perché enormi navi lampara pescano quanto più pesce azzurro possibile per dare da mangiare ai tonni chiusi nelle gabbie al largo di Malta o della costa mediterranea della Spagna.
Quegli stessi tonni che erano anche preda delle orche.


Possiamo scrivere di queste cose nei fatti di cronaca che durano un giorno o possiamo incominciare a farne oggetto di una seria riflessione sui destini del nostro pianeta.
Anche se a volte ce lo dimentichiamo questo nostro mondo è un bene raro e prezioso nell’immensità dell’universo.
Qualche giorno fa un programma scientifico in televisione raccontava che tanta fortuna della Terra dipende anche dal fatto che nel sistema solare abbiamo anche un fratello maggiore che si chiama Giove.
Questo enorme pianeta gassoso riesce ad intercettare gran parte delle comete e degli asteroidi che se ne vanno a spasso dentro e fuori dal sistema solare.
Alcuni di questi oggetti spaziali avrebbero potuto caderci in testa e farci fare la fine dei dinosauri.
Giove è lì a intercettarli con la sua enorme forza attrattiva e intanto ci fa da ombrello.

Cerchiamo di conservarcelo questo pianeta, e stiamo a sentire anche le orche e i tonni e le altre specie viventi.
L’Amazzonia per esempio è una vergogna così come lo sono tante altre iniziative criminali che quotidianamente vengono portate avanti a danno della nostra Terra.
Non ne abbiamo un’altra di riserva e se ci salveremo dovremo farlo insieme ai nostri compagni di viaggio.
Che ci piaccia o no.

2 Comments

2 Comments

  1. Sandro Russo

    15 Settembre 2020 at 15:53

    Molto interessante l’articolo di Repubblica segnalato ieri da Sandro Vitiello; comunque va detto che i rapporti tra gli uomini e le orche – nomen omen – non sono mai stati idialliaci… Lo dimostrano il nome latino di Genere Orcinus che si riferisce all’Orco (per i Romani un dio dell’oltretomba) e la denominazione inglese killer whale (balena assassina).

    L’orca (Orcinus orca LINNAEUS, 1758) è un mammifero marino appartenente alla famiglia dei delfinidi.
    “Le orche sono considerate dei superpredatori all’apice della piramide alimentare, non hanno infatti dei predatori naturali. Presentano tecniche di caccia e di comunicazione che spesso sono tipiche di una singola popolazione e le stesse vengono tramandate da un individuo all’altro” (da Wikipedia).
    Forse tra “superpredatori” la rivalità è naturale! (commento mio).

    Per non parlare della rivalità con i delfini, intorno alla quale è costruito un intero romanzo – e che romanzo! Un librone di 1257 pagine, nella mia edizione Mondadori del 1975!
    Horcynus Orca è un romanzo dello scrittore italiano Stefano D’Arrigo e rappresenta uno dei primi, grandi esempi di postmoderno italiano. Pubblicato nel 1975, il libro è l’esito di più di vent’anni di lavoro, il cui inizio può essere datato intorno al 1950″.

    «Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice della fu regia Marina ‘Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill’e cariddi».
    (Stefano D’Arrigo, incipit di Horcynus Orca)
    “Nelle settimane successive all’armistizio dell’8 settembre 1943, l’esercito italiano si sbanda; più di metà dei militari in servizio nella penisola gettano le armi e cercano di tornare a casa. Tra di loro c’è anche il marinaio Andrea (‘Ndrja) Cambria, che discende la costa calabra con l’intenzione di tornare, dalla base navale di Napoli, alla Sicilia” (da Wikipedia).
    E anche qui – tout se tient – siamo al famoso 8 settembre 1943 di cui abbiamo da poco scritto (leggi qui e qui)

    Per saperne di più, digitare Horcynus Orca – in CERCA NEL SITO: quattro articoli di Tea Ranno e cinque di Sandro Russo, intorno al gran libro di Stefano D’Arrigo, più varie ed eventuali…

  2. Biagio Vitiello

    15 Settembre 2020 at 19:54

    Che le Orche attacchino le barche non è affatto una novità. Mi ricordo di un velista che faceva la traversata dell’Atlantico in solitario, che fu attaccato e affondato da un’Orca. Ne parlarono molti anni fa i giornali, e non era la prima volta che accadeva.

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