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Se per gli ami bisognava rivolgersi a Meniello (Carmine) Paesano, per avere a disposizione una canna vera per pescare con il panefformaggio (leggi qui) e il sughero galleggiante, bene, quando avevi otto – dieci anni, il massimo era potersela far prestare da Luigi Pacifico il fotografo ‘i Bafarone.
La teneva nascosta dietro le ante aperte della porta di casa sua che si affacciava su piazza Gaetano Vitiello, prima della salita Scarpellini (dove oggi c’è la boutique Maidiremai). Passando, la intravedevo con grande ammirazione.
Ne era molto geloso e non me l’avrebbe mai prestata se non dopo le insistenze garbate di mio padre, suo grande amico e conoscitore, che lo indusse a cedere la sua canna da pesca a questo imberbe pescatore. Con la promessa di averne grande cura e di non rovinare né filo di seta, né ami, né sughero.
Con religiosa attenzione acquisii quella ghiotta occasione per sperimentare una canna vera di un pescatore vero.
E andai, con il mio panefformaggio lungo la banchina del porto, con papà che mi osservava da sopra il Corso Pisacane e che mi aiutava a tirare, quando le “toccate” malandrine dei cefali mi inducevano ad errori grossolani di interpretazione.
Ricordo ancora le sue parole di incitamento e di tifo ogniqualvolta riuscivo a tirar fuori dall’acqua qualche malcapitato abitante del porto affamato di panefformaggio.
In particolare, da sopra il Corso, davanti la macelleria Di Monaco, ricordo le sue risate e i suoi commenti insieme a Luigi Di Monaco, quando mi vedeva gioire per la pescata.
Altrettanto religiosamente, dopo aver pescato, riportammo la canna al proprietario, Luigi Pacifico il fotografo, ‘i bafarone, che ne apprezzò la ordinata gestione.
La mia verginità di pescatore a panefformaggio l’avevo ormai persa e potevo dedicarmi a questa nobile arte, con altre canne, altre lenze, altri sugheri ed altri ami.