Nell’ultimo decennio la storiografia sul confino politico durante il regime fascista si è molto arricchita grazie ai pregevoli lavori delle storiche Camilla Poesio ed Anna Foa.
La Poesio ha scritto nel 2011 per Laterza. Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime ed Anna Foa (nota personale: sono stato un suo studente di Storia moderna alla Sapienza di Roma nel lontano 1994) nel 2018 per il Mulino Andare per i luoghi di confino, libro vincitore nel 2019 del Premio Internazionale di Giornalismo e Letterario Marzani.
In questo saggio la Foa ritiene fondamentale per la ritrovata libertà italiana le esperienze maturate nel confino di Ponza e Ventotene dalla classe dirigente politica del dopoguerra che ebbe là modo di poter elaborare idee e progetti. “L’Università del confino” fu secondo lei quindi molto formativa ed utile per quei dirigenti politici, futuri leader dell’Italia repubblicana.
Entrambi i saggi sono già stati illustrati nel sito e vorrei invece riportare un articolo del grande giornalista storico e scrittore Giuseppe Mayda (1925-2014) apparso su Storia Illustrata (Mondadori) n. 359 nell’Ottobre del 1987. E’ intitolato “L’Arcipelago Gulag del regime. Leggi, pene e misure restrittive sul confino” e infine segnalare una curiosità ponzese.
Ecco il testo:
Tuttavia lo Stato liberale, che per primo era ricorso a questi procedimenti amministrativi discrezionali dell’esecutivo, cioè estranei al potere giudiziario, per neutralizzare gli avversari politici non perseguibili in base a leggi già in vigore, abolì praticamente il confino nel 1918 e Ponza divenne sede di compagnie militari di disciplina: il fascismo, quattro anni dopo la conquista del potere, lo ripristinò mediante le “leggi eccezionali” per la difesa dello Stato” emanate il 25 novembre ’26 in seguito all’attentato di Anteo Zamboni contro Mussolini, avvenuto a Bologna il 31 ottobre, e ne fece uno strumento di persecuzione politica.
Col varo delle leggi eccezionali, in tutti i capoluoghi di provincia erano state create commissioni speciali (formate dal prefetto, dal questore, dal procuratore del re, dal comandante dei carabinieri e da un ufficiale superiore della milizia fascista) che esaminavano la fondatezza delle proposte di assegnazione al confino avanzate dalla questura: si trattava di uno sbrigativo processo a porte chiuse in cui i commissari giudicavano il comportamento politico dell’inquisito e fissavano la durata della sua pena.
Questa specie di sentenza s’ispirava all’articolo 181 il quale considerava “pericolosi alla sicurezza pubblica” gli ammoniti, i diffidati e non solo coloro che avessero compiuto “atti diretti a sovvertire gli ordinamenti dello Stato”ma anche chi, semplicemente, avesse “manifestato il proposito” di commetterli, criterio, quest’ultimo, che consentiva qualsiasi arbitrio. Come dimostrano i documenti del Tribunale speciale per la difesa dello Stato quasi tutti gli assolti da questa corte (cosa di per sé molto rara) finivano al confino in base a quelle stesse imputazioni per cui il Tribunale speciale aveva ritenuto di procedere.
Benché la legge sul confino dovesse entrare in vigore solo il 25 novembre ’26, già nelle settimane precedenti si erano riunite le commissioni speciali approvando decine di provvedimenti restrittivi sicché fin dal 21 novembre il capo della polizia , Arturo Bocchini (1880-1940), aveva scritto a Mussolini che le prime ordinanze di assegnazione al confino erano giunte da Roma, Bologna, Verona, Bergamo, Perugia, Aquila e Siena relativamente a 68 “politici” e che costoro, nella maggior parte erano stati inviati all’isola di Favignana. Là, come nelle altre colonie, i deportati del regime dovevano sottostare a durissime norme: l’articolo 186, fra l’altro, stabiliva che al confinato potessero essere imposte dalla Direzione sia l’ora di uscita al mattino che quella di rientro a sera, il divieto di frequentare esercizi pubblici, riunioni o spettacoli, l’obbligo di presentarsi a ogni chiamata della polizia e quello, estremamente generico, di mantenere “buona condotta e non dare luogo a sospetti”.
Presto divenne l’isola più “calda” dell’intero Arcipelago Gulag di Mussolini perché Bocchini, ritenendola sicurissima, vi concentrò tutti i “politici” giudicati di “alto grado di pericolosità”: i comunisti Umberto Terracini (1895-1983), Camilla Ravera (1889-1988), Pietro Secchia (1903-1973), Mauro Scoccimarro (1895-1972), Giorgio Amendola (1907-1980), Girolamo Li Causi (1896-1977) ed Altiero Spinelli (1907-1986). Il servizio di sorveglianza in terra e in mare era rigorosissimo: nel luglio ’29, a Lipari, benché vi fossero 377 agenti per sorvegliare 352 confinati, Emilio Lussu (1890-1975, fondatore del Partito Sardo d’azione), il liberale Francesco Saverio Nitti (1868-1953) e il teorico del “socialismo liberale” Carlo Rosselli (1899- assassinato nel 1937 da fascisti francesi) erano riusciti ad evadere clamorosamente con un motoscafo: così l’anno dopo, nell’aprile del ’30, i 250 “politici” erano tenuti d’occhio da ben 367 guardiani. Un deportato definito nei documenti“particolarmente pericoloso“, il socialista Sandro Pertini (1896-1990), su ordine del direttore di Ponza, Capobianco, fu addirittura pedinato a vista, giorno e notte, per timore di una fuga (e quando il futuro presidente della Repubblica, il 5 maggio ’37, protestò con Capobianco per quella misura vessatoria, venne denunciato e arrestato).
Il confino di Ponza, dopo undici anni esatti, venne soppresso dalla Direzione generale di polizia nel luglio del ’39 e tutti i deportati furono trasferiti a Ventotene. Fra loro vi era una figura emblematica, l’ex capitano di artiglieria, ardito di guerra e legionario fiumano Mario Magri, classe 1896, che doveva diventare il deportato con la più lunga pena da scontare: inviato alla colonia di Ponza nel 1926, il massimo del confino (5 anni) gli era stato sempre riconfermato sicché Magri sarebbe tornato libero, dopo ben 17 anni di domicilio coatto, soltanto durante il governo Badoglio del luglio-agosto ’43 ma di lì a pochi giorni, all’indomani dell’8 settembre, sarebbe stato arrestato dai nazisti e fucilato nel marzo ’44 alle Fosse Ardeatine.”
(Foto di Stefano Bricarelli). Gennaio 1938.