Attualità

La porta sull’estate (2)

di Sandro Russo

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Per la prima parte, leggi qui

Stessa estate (del desiderio), altre porte…
Questa possibilità viene proposta anche da un film. Molto amato.

Il castello errante di Howl è un film d’animazione giapponese del 2004, diretto da Hayao Miyazaki. La fantasia e i mondi evocati da Miyazaki sono geniali e affascinanti [già citato sul sito a proposito delle isole del mito: Laputa, il castello nel cielo (1986)].

 Tra i protagonisti del film, insieme a bizzarri personaggi e geniali invenzioni – il demone del fuoco Calcifer, lo spaventapasseri Rapa, la metamorfosi della Strega delle Lande Desolate, il vecchio cane Heenan, che neanche riesce ad abbaiare – va annoverato proprio il castello errante, la cui porta dall’interno si apre su luoghi fantastici e misteriosi, di volta in volta diversi.
Si apre la porta e ci si trova nella ‘città delle Lande’ o in ‘città imperiale’ o ancora in ‘città di mare’.

Locandina italiana de ‘Il castello errante di Howl’, film di Hayao Miyazaki del 2004, tratto dal romanzo di Diana Wynne Jones: ‘Howl’s Moving Castle’
 (1986) – ‘Il Castello Magico di Howl’; Kappa Edizioni, 2002

Particolari del ‘castello errante’, geniale anche come invenzione visiva, tra l’arca di Noè e la dimora di Baba Yaga – la capanna che si muove su zampe di gallina – delle favole russe

Particolari da Il castello errante di Howl con alcuni dei suoi personaggi

Questi ed altri ariosi – o orridi – paesaggi si aprono dietro una porta: del castello di Howl e della nostra mente. Basta aprirla!

***

Si può seguire allora lungo un filo continuo la ricerca di “una porta per l’estate” tra la fantascienza, il cinema, la letteratura. Ma la realtà? Forse che la ricerca di una porta sull’estate rimane confinata al mondo della fantasia?
E’ di qualche anno fa un libro – ed il film che da esso è stato tratto – che attraverso la storia di tre donne di epoche diverse, ma comunque a noi vicine, racconta gli aspetti impercettibili dell’esistenza, i misteri che si nascondono dietro il paravento della realtà; l’infinita complessità della vita più vera, che è quella dei pensieri.

La copertina del libro di Michael Cunningham The Hours, 1998; Premio Pulitzer e l’edizione italiana (Bompiani,  2001) nella traduzione di Ivan Cotroneo

La locandina del film che dal libro è stato tratto (2002), diretto dal regista inglese Stephen Daldry e interpretato da Meryl Streep, Julianne Moore e Nicole Kidman (premiata con l’Oscar come miglior attrice protagonista)

Il libro ha ovviamente più sfaccettature e dimensioni rispetto al film, concentrato sui volti e sulle atmosfere. In entrambi sono presenti una sottile nostalgia e il senso del tempo che passa…
Il fascino di certi libri è appunto quello di indurre un certo grado di tranfert con i personaggi e fare nostra la ricerca di cui leggiamo…
Lo stato d’animo che più possiamo condividere si ritrova nelle pagine finali, che spiegano anche il titolo: ‘Le Ore’:
“… Viviamo le nostre vite, facciamo qualunque cosa e poi dormiamo – è così semplice e ordinario. [….…] ..C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato…”

A questo punto del libro abbiamo già ben conosciuto i pensieri, le speranze e le vite delle tre donne – Virginia Woolf, Clarissa Waugh e Laura Brown, legate tra loro da un labile filo -; i loro momenti privilegiati.
Ecco per esempio ‘le ore’ di Clarissa Waugh:
“…L’estate dei suoi diciott’anni: sembrava poter accadere qualsiasi cosa, proprio qualsiasi cosa…(…) …Ciò che rimane limpido nella sua mente, più di tre decenni dopo, è un bacio al tramonto su uno spiazzo d’erba morta e una passeggiata intorno a uno stagno, mentre le zanzare ronzavano nell’aria che si scuriva. C’era ancora quella singolare perfezione, ed è perfetto in parte perché sembrava, all’epoca, promettere così chiaramente altro. Ora lei sa. Quello era il momento, proprio allora”.
E ancora più avanti:
“..Clarissa credeva allora e crede oggi che, in un certo senso, la duna di Wellfleet la accompagnerà per sempre. Qualunque cosa accada, avrà sempre quello. Sarà sempre stata su quella duna in estate. Sarà sempre stata giovane e fisicamente indistruttibile…”

Qual è allora, per ciascuno di noi, l’ora cui ci fa piacere tornare? Quale il luogo, il tempo dove la nostra mente si posa e riposa?
“Ore” privilegiate e irripetibili della vita; “porte” per accedervi, per poterci tornare…
Rimarremo vivi fino a quando continueremo a ricordarle, a cercare la nostra personale, dedicata, luccicante porta sull’estate.

Immagine iconica da Eternal sunshine of spotless mind  [film di Michael Gondry per la sceneggiatura di Charlie Kauffman, del 2004, malamente tradotto in “Se mi lasci ti cancello”]. Se avete seguito fin qui avrete capito che la porta sull’estate può aprirsi anche in un’altra stagione, se è la cosa più bella che abbiamo vissuto…

In Big Fish, film di Tim Burton del 2003, Edward da giovane (Ewan Mc Gregor) conquista la donna della sua vita non con un banale mazzo di fiori, ma facendole trovare sotto la finestra un intero campo di narcisi (daffodils) piantati durante la notte.

Dopo il successo mondiale di Un uomo e una donna del 1966 con Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée, Claude Lelouch ha fatto un sequel con gli stessi attori nel 1986: Un uomo, una donna oggi. Al terzo film della serie, I migliori anni della nostra vita (2019) Lelouch fa definitivamente propria la frase di Victor Hugo che dà anche il titolo al film: “I migliori anni di una vita sono quelli ancora da vivere”

[La porta sull’estate (2) – Fine]

Appendice del 3 giugno.

Les portes du ciel?! [foto inviata da Patrizia Maccotta, insieme al suo commento (cfr.)]

2 Comments

2 Comments

  1. Patrizia Maccotta

    3 Giugno 2020 at 10:22

    Caro Sandro buongiorno.
    Mi è piaciuto molto il tuo articolo che apre porte tra libri e film. E di rimando ho pensato a quel bellissimo film francese ‘Les portes de la nuit’ tradotto meno poeticamente in italiano ‘Mentre Parigi dorme’, del 1946. Che nomi! Marcel Carné il regista, Jacques Prévert lo sceneggiatore; musiche di Joseph Kosma. E tra gli attori Montand, Brasseur, Reggiani… ma è ovvio che lo avrai visto!
    Approfitto per inviarti una mia foto in cui il fumo di un fuoco che ho acceso in campagna ha intercettato i raggi del sole: les portes du ciel?!
    Patrizia

    NdR – La foto è stata aggiunta in calce all’articolo di base

    Risponde Sandro
    Nonzì..! Il numero dei film che ho visto è largamente sopravvalutato, dagli amici.
    Comunque giro la segnalazione al mio pusher di fiducia (lo conosci anche tu… Proprio lui!) e troveremo il modo di vederlo (o rivederlo) questa estate in terrazza.
    Le credenziali con cui il film si presenta sono di tutto rispetto (v. sotto, da Wikipedia)
    Quanto all’immagine delle lame di luce tra gli alberi le immagini più belle che ricordo sono quelle filmate da Akira Kurosawa, in Rashomon (1950), durante la corsa nel bosco del protagonista.

    Mentre Parigi dorme (Les portes de la nuit) è un film del 1946 diretto da Marcel Carné, tratto dal balletto Le Rendez-vous di Jacques Prévert, adattato per il cinema dall’autore stesso.
    Rappresenta una sorta di canto del cigno del realismo poetico del regista Carné e dello sceneggiatore Prévert, al loro ultimo film insieme, a parte il successivo La fleur de l’âge (1947), rimasto incompiuto.
    Yves Montand, qui al suo debutto cinematografico, rese celebre la canzone Les feuilles mortes, composta per la colonna sonora da Joseph Kosma su parole di Prévert.

  2. Adriano Madonna

    3 Giugno 2020 at 21:14

    Caro Sandro,
    davvero avvincenti questi tuoi articoli su “Una porta sull’estate”. Affascinante, di certo, il concetto di una porta che dà accesso ad un mondo dove consapevolmente o inconsapevolmente cerchiamo qualcosa, il meglio della vita.
    Ho letto questo tuo scritto con grande interesse perché, guarda caso, anche io sto affrontando questo concetto di “accesso a qualcosa” nell’ambito di un romanzo che avevo iniziato a scrivere anni fa e che da poco ho ripreso; e che spero di terminare, prima o poi, spinto anche dal fatto che ne ho già scritto un bel po’ di pagine.

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