di Patrizia Maccotta
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Probabilmente c’è uno sbaglio! Mille e una notte! Erano mille e una le notti in cui Sheherazade ha respinto la morte alla quale erano state condannate le sue sorelle… quaranta erano invece i ladroni!
Hai ragione. Ma l’entropia fa parte del nostro universo. Pertanto non c’è alcuno sbaglio. Ammalarsi e morire non sono degli errori. Come il sultano il virus porta un turbante, anzi una corona, e pare ci abbia rubato le nostre arroganti certezze.
E Sheherazade allora?
Vuoi sapere in che modo cercava di rimandare – di rimandare bada bene non di sconfiggere -, la morte che oggi noi cerchiamo di ignorare? Lo sai vero? Dipanando i suoi racconti per sospendere il tempo e la sentenza di Schahyar (*).
Ma le teiere infine?
Ora ti spiego. Fiorella all’inizio del nostro confinamento, dovuto alla presenza di questo imprevedibile virus, mi ha inviato una foto del suo giardino, a me reclusa in un appartamento, scrigno di una sua preziosa colazione: una teiera di porcellana bianca su un vassoio posto vicino ad un glicine. “Il bianco è un modo per ricominciare”. Mi è subito ritornata in mente la frase che chiudeva la storia della porcellana scritta da Edmund de Waal, “The White Road” (**).
A causa della pandemia, che aveva colpito il nostro pianeta e ci aveva posti tra le pagine di una terribile storia di fantascienza, tutto si era fermato. Ci sarebbe stato il tempo, il modo per ricominciare?
Ma quante digressioni!
Le Mille e una notte sono un incastro di storie, digressioni. Come la nostra vita, d’altronde, che vorremmo invano lineare, ben inserita nella cronologia. Non mi dire che non avevi segnato sulla tua agenda incontri, appuntamenti di lavoro, mostre, concerti e viaggi! Bene. Il virus ha fatto cadere i nostri birilli allineati con cura. Ci ha immersi in un tempo senza inizio e senza fine: un tempo a spirale.
Ma vieni al dunque! Quella teiera..!?
Ebbene, sì… quella teiera e la sua bellezza mi hanno fatto pensare al gioco che ho, in seguito, proposto a Fiorella. Mi aveva parlato della sua collezione: quaranta teiere prese in giro per il mondo e poste in salvo su un grande ripiano della sua cucina. Sarebbero bastate? Non per sconfiggere il virus, certo, ma per allentare la sua aggressività e per allontanarlo dal suo ospite umano. Incantandolo appunto! Come fece Sheherazade con la crudeltà del sultano doppiamente ingannato: dal suo desiderio di eternità e di amore assoluto e dalle innumerevoli storie narrate dalla donna che aveva sposato per ucciderla all’alba.
Ogni giorno ho inviato – nella storia appunto del mio telefono cellulare, essenziale contatto con il mondo in questo periodo di allontanamento, di distanziamento dagli affetti più cari -, la foto di una delle teiere che Fiorella preparava con cura, accompagnandola con un piccolo scritto. Quaranta erano le teiere; così abbiamo deciso, meglio forse desiderato, che alla quarantesima teiera il virus avrebbe deposto la sua corona e si sarebbe allontanato dalla specie umana.
Insomma… Sei diventata Sheherazade?!
Un po’ invecchiata mi dirai! Con meno speranza, soprattutto. Meno passione. E con la consapevolezza di vivere, come lei, in un palazzo. Privilegiata, in un appartamento che era un confortevole rifugio, ho potuto dedicarmi ad un gioco estetico senza essere sconvolta dalla paura di perdere il mio lavoro, di non essere capace di sostenere una famiglia; senza dovere vivere in un posto angusto in un clima di tensioni familiari; senza dovere affrontare la morte nella sua brutalità. Il virus è venuto da me mascherato, mi ha lasciato solo le strade deserte, il silenzio e l’incertezza della vita futura. Mi ha privata fisicamente dei miei affetti, ma non della loro voce. Mi ha risparmiato la sua aggressione fisica, la sua brutalità, il respiro che manca, il sangue e le corsie degli ospedali dove i medici lottano insieme ai ricoverati. Mi ha occultato la fatica ed il dolore di colore che lo hanno giornalmente attaccato, serrando i ranghi come una legione. Mi ha lasciata al mio piccolo divertimento.
E come è finito questo tuo gioco? Le teiere hanno vinto?
Che dici? A questo gioco non si vince mai… Si rimanda, si rimanda… Mancano ancora alcune teiere, alcuni giorni alla “fase 2” come l’hanno chiamata. Ancora non hanno capito che il virus sarà sempre in agguato. Lui o un suo simile, che importa? Lui o un altro evento che chiuderà la nostra personale storia. E che forse dobbiamo lasciarci andare, seguire l’onda, senza inizio e senza fine, scivolare lungo la spirale.
Note
(*) – Mille e una notte (in arabo: Alf laila wa laila), titolo di una celebre raccolta anonima di novelle in arabo, ma di lontane origini indo-persiane, conosciuta in Europa ai primi del 18° sec. La storia è nota. Il re di Persia, Shahryar, è tradito da una donna e, persuaso della perfidia femminile, decide di consumare ogni notte un rapporto sessuale con una giovane schiava, per poi farla giustiziare dai suoi sottoposti non appena sorto il sole della nuova giornata. Sheherazade, figlia maggiore del Gran vizir, si offre allora volontaria per tentare di metter fine a quel macabro cerimoniale e escogita uno stratagemma che si rivelerà fruttuoso (da Wikipedia). Potenza della letteratura: a passare alla storia è stata Sheherazade, e non il crudele sovrano, il cui nome pochi conoscono (NdR);
(**) – Edmund Arthur Lowndes de Waal (Nottingham, 1964; contemporaneo) è un artista e scrittore britannico. Il suo primo libro è stato La lepre con gli occhi d’ambra (2010); anche autore di The white road (2015). Molto conosciuto per la sua attività di ceramista, ha ricevuto numerosi premi.