di Sandro Russo
Sono un lettore de la Repubblica da svariati decenni, forse anch’io fin dal primo numero, seppur con qualche intermittenza; dotato di media capacità di comprensione e una certa curiosità.
Molto allarmato dal molto fumo che si sta alzando intorno al quotidiano più letto del paese (e quindi per traslato, sul futuro dell’intero paese). Perché, in mancanza di partiti di riferimento cui dare completa fiducia, moltissimi di noi vagamente “libertari di sinistra”, si erano riconosciuti e ritrovati in un “partito di Repubblica”. Era in qualche modo il termometro delle forze sane del paese (ovviamente il termine è autoriferito, ma esisteva).
Da qualche giorno sta succedendo di tutto e soprattutto in modo poco chiaro.
Il fulmine a ciel sereno, almeno per i non addetti ai lavori, è stato il licenziamento – “su due piedi” -, del direttore (da un anno) Carlo Verdelli (succeduto a Mario Calabresi che a sua volta aveva sostituito Ezio Mauro, dopo la lunga direzione di Scalfari, il padre fondatore).
Venerdì 24 aprile in edicola Repubblica non c’era; il sito on-line non era aggiornato – per sciopero dei giornalisti – si leggeva da qualche parte.
La cosa grave (gravissima per dei giornalisti) è che le motivazioni dello sciopero non erano indicate.
In apertura del giornale on-line si poteva leggere una lettera di Carlo Verdelli, con il commiato ai Lettori (accorata, ma non esplicativa: leggi in fondo a questo articolo).
Bisognava aspettare i giornali del giorno dopo – altri giornali, non la Repubblica – per sapere che la Redazione era insorta con uno sciopero alla decisione della proprietà di licenziare Verdelli, mentre la Repubblica di sabato 25 aprile apriva con un editoriale di Maurizio Molinari, il nuovo direttore, dal titolo: “La sfida di un giornale per il riscatto di un paese ferito”, che parlava dei tempi, della responsabilità, che si assumeva e del futuro, ma senza entrare nello specifico dell’avvicendamento in Direzione.
E siamo alla domenica 26, con l’atteso editoriale di Eugenio Scalfari. Il titolo è “Il giornale che ho fondato è un fiore che non appassisce”. Chi cercava spiegazione ha trovato alate parole e fondamentalmente un auspicio di continuità, ma poco altro, sul tema specifico del cambiamento.
Per quel che può significare – forse molto, dato il linguaggio cifrato invalso – lunedì 27 la Repubblica apre con un editoriale di Ezio Mauro dal titolo: “Il virus aiuta gli autocrati”, con una rassegna della deriva autoritaria in atto in tutto il mondo in relazione all’emergenza Coronavirus. Si parla a nuora perché suocera intenda?
Sta di fatto che il lettore “sprovveduto” non capisce cosa sta succedendo; e che sia una sensazione diffusa tra la base dei lettori del giornale, lo testimonia la lettera a Corrado Augias pubblicata ieri martedì 28 aprile, che qui riporto integralmente (anche in file pdf in calce):
La parola libertà dentro un giornale
di Corrado Augias
Gentile Augias, mi sarei aspettato, nel numero del 25 aprile, un saluto di Carlo Verdelli che stimo e al quale invio la mia solidarietà. Invece nemmeno un trafiletto. Ma non è una notizia rilevante? Perché devo leggere altri giornali per capirne qualcosa? Si dice che Repubblica cambierà per assecondare gli interessi dei nuovi proprietari, che sarà più filo-atlantica e meno filo-europea, ma non è solo questo che conta, quanto la mancanza di stile con cui si è fatta la manovra, esautorando un galantuomo che s’è attirato l’odio dei fascisti proprio per il suo lavoro a Repubblica! Il proprietario ha il diritto di portare il giornale dove vuole: i soldi li ha messi lui. Ma almeno ci dica qualcosa, Repubblica è anche “nostra”, di voi giornalisti e di noi lettori, nel tempo si è formata una comunità, quasi una casa comune.
Cirano Testai
(Augias risponde – NdR)
In vent’anni di rubrica non avevo mai ricevuto un tal numero di lettere stimolate dal cambio di direzione. Segno positivo di partecipazione alla vita di questa “casa comune”. Le lettere toccano tre punti principali: rammarico per la partenza di Carlo Verdelli; sconcerto per i modi della decisione; interrogativi sul futuro del giornale. Cito tutte le firme che lo spazio può contenere, scusandomi per le numerosissime esclusioni: Alma Ballini, Predore; Onorato Battistoni; Daniela Bonannni; Maria Rosaria Caliendo; Susana Castagnino; Cristina Cattabriga; Dario Cercek; Pier Paolo Cottignoli; Marcello Croci; Maurizio Davolio; M. Assunta Lingua; Marco Lombardi; Maria Marcelli; Vittorio Melandri; Vito Giovanni Misciagna; Donatella Onesti; Marco Orsenigo; Ruggero Palmieri; Paola Persieri, Maurizio Piano; Paolo Petruzzi; Marilena Pirrelli; Giuliano Rotunno; Pierfelice Todde e altri.
Maurizio Molinari è arrivato a Repubblica forte di un impeccabile curriculum personale, professionale e politico, intendo largamente coincidente con quella che è sempre stata la linea di questo giornale, ribadita domenica scorsa da Eugenio Scalfari.
Secondo: l’editore ha tutto il diritto di nominare un direttore di fiducia. La proprietà di Repubblica è cambiata: la maggioranza appartiene a una holding della famiglia Agnelli — John Elkann presidente. Per conseguenza sono cambiati il CdA e la direzione. Molinari è anche direttore editoriale del gruppo Gedi lasciando intravedere un progetto di maggiore sinergia tra edizioni su carta e su web.
Terzo: i lettori hanno espresso il loro disagio o dissenso per le modalità del passaggio. Lo condivido. È stato un passaggio brusco proprio nel giorno che alcuni fascisti avevano indicato come quello della sua “morte”. Carlo Verdelli è stato un direttore professionalmente efficace, umanamente impeccabile. Mi ha addolorato non poter leggere su carta un suo messaggio di congedo, a causa dello sciopero dei giornalisti.
Sappiamo che il momento è difficile, le scelte saranno severe, speriamo che non diventino drammatiche. Abbiamo bisogno di molte cose tra le quali c’è una stampa libera.
Lavoro in questo giornale dalla fondazione — quasi mezzo secolo fa — ne ho condiviso la vita e la storia. Siamo rimasti in pochi, noi della prima leva. Come tutti i colleghi ho sempre scritto liberamente, sono certo di poter continuare a farlo con il nuovo direttore Maurizio Molinari al quale vanno i miei affettuosi auguri.
[Da la Repubblica del 28 apr. 2020]
Ho presentato finora “I fatti separati dalle opinioni”, secondo la lezione di Lamberto Sechi, storico direttore di Panorama.
Vorrei avviare qui un dibattito per arrivare – almeno tra noi e per nostra chiarezza – ad una miglior definizione di quanto sta accadendo.
Allegati
La lettera di Verdelli ai lettori di Repubblica
Le lettere a Corrado Augias. 28 apr. 2020
Aggiornamento del 23 giugno (crf. Commento di Tano Pirrone): Augias. Repubblica 20 giugno 2020
silverio lamonica1
29 Aprile 2020 at 12:40
Mi limito a riportare un articolo di “Prima Comunicazione on line” del 21 aprile scorso, sulla libertà di stampa nel mondo. L’Italia figura al 41° posto (guadagnando 2 posizioni). Ma in Italia, la libertà di stampa è condizionata anche dalla mafia, con diversi giornalisti sotto scorta.
Poi ciascuno può trarre le conclusioni che crede …
https://www.primaonline.it/2020/04/21/305453/liberta-stampa-rsf-italia-sale-di-2-posizioni/
Enzo Di Fazio
29 Aprile 2020 at 18:30
Anche io, come Sandro, sono un vecchio lettore di Repubblica, praticamente da quando nel 1976 Eugenio Scalfari, già direttore dell’Espresso, ebbe l’idea di fondarlo coinvolgendo nell’iniziativa i suoi più fedeli collaboratori del tempo, tra cui ricordo i nomi di Giorgio Bocca, Barbara Spinelli, Natalia Aspesi, Corrado Augias, Giuseppe Turani, firme alcune delle quali ancora oggi sono presenti nella vita del quotidiano.
In effetti approdavo a Repubblica proprio perché conoscevo fin dai tempi universitari, l’Espresso che, famoso per i servizi di approfondimento e reportage, all’epoca si distingueva anche per il suo noto formato lenzuolo.
Nel tempo, pur consapevole dell’esistenza di un legame del giornale con gli ambienti economici (prima Olivetti, poi De Benedetti e più recentemente Agnelli), che sicuramente in alcune circostanze hanno influenzato la linea editoriale, ho preferito la lettura di questo quotidiano ad altri per la costante attenzione verso i problemi del paese e del mondo e la capacità di trattarli dal punto di vista sociale, antropologico, storico, economico, maniera molto vicina al mio modo di pensare. Mi sono riconosciuto anche io, come dice efficacemente Sandro, nel partito di Repubblica non avendone trovato uno più efficace nella realtà politica.
Non a caso non mi perdo mai gli editoriali di Scalfari, l’Amaca di Michele Serra, i servizi di Ilvo Diamanti, Francesco Merlo, Stefano Folli, Federico Rampini, Paolo Rumiz (per citarne alcuni) come le “incursioni” periodiche di firme importanti di politologi, economisti, sociologi di fama internazionale.
C’è da chiedersi ora se tutte queste prestigiose firme continueranno a fornire il loro contributo professionale come hanno fatto finora. Anche alla luce del taglio agli organici annunciato marginalmente nello sciopero del 24 aprile scorso. L’arrivo di Maurizio Molinari, proveniente dalla Stampa (giornale storicamente molto vicino agli Agnelli), non potrà evitare il cambio di passo della linea editoriale delle tre testate (la Repubblica, la Stampa e Huffington Post) di proprietà della famiglia torinese, tutte coinvolte nel cambio dei direttori, voluto e deciso in un momento particolare del paese e della vita di Carlo Verdelli.
Va ricordato che il caso delle intimidazioni all’ex direttore di Repubblica è finito al Consiglio di Europa all’attenzione dell’organizzazione internazionale cui aderiscono 47 paesi nel mondo e che si preoccupa di difendere i diritti umani e promuovere la democrazia.
L’organizzazione ha inserito il nome di Verdelli nella piattaforma con cui si segnalano e monitorano i giornalisti oggetto di violenze, abusi o intimidazioni (Fabio Tonacci – la Repubblica del 28 marzo 2020).
Le minacce a Verdelli sono cominciate il 15 gennaio, il giorno in cui su Repubblica è apparso il titolo “Cancellare Salvini”, riferito ai decreti sicurezza; il suo licenziamento è avvenuto proprio il giorno in cui le minacce (prima attraverso una falsa pagina di Wikipedia, poi con un finto manifesto funebre), fissavano la data della sua morte (Aldo Torchiaro – Il Riformista del 24 aprile 2020). Dalla metà di marzo Verdelli, per disposizione del Viminale, è sotto scorta.
Questi i fatti.
Eugenio Scalfari, nel suo editoriale di domenica si è dichiarato, in quanto fondatore, garante e vigile del mantenimento dell’anima liberal-socialista che ha sempre avuto il giornale e che è fatta di due valori essenziali, la libertà e l’uguaglianza, aggiungendo che a questi valori devono costantemente ispirarsi i giornalisti che lo dirigono.
Il tempo potrà dirci il resto.
Sandro Vitiello
30 Aprile 2020 at 10:59
Faccio fatica a comprendere quanto succede ad un quotidiano che, come Sandro, Enzo e tanti altri, seguo sin dall’origine.
E’ un dato di fatto che la famiglia Agnelli è stata sempre partecipe delle vicende di questo giornale.
Ricordiamoci che Marella, moglie di Gianni Agnelli, di cognome faceva Caracciolo.
E Carlo Caracciolo è stato il padre di Repubblica, insieme a tanti altri.
In tanti momenti della storia del nostro paese la voce della Fiat e degli interessi della famiglia Agnelli ha trovato ospitalità dalle pagine dei Repubblica.
Dove si trovavano anche le voci critiche, del mondo sindacale soprattutto.
Mi auguro che quel giornale possa continuare a svolgere un ruolo importante di informazione e di riflessione e che come scrive Enzo, le sue autorevoli firme non facciano mancare il proprio apporto.
E’ stata comunque una schifezza aver sostituito Verdelli nei giorni in cui era sotto attacco da parte di gruppi neofascisti.
Speriamo bene.
Ps: qualcuno ci racconterà prima o poi le vere ragioni per cui Caracciolo divenne l’editore di Liberation.
vincenzo
9 Maggio 2020 at 08:55
Leggo che Enzo e Sandro come tanti altri aderiscono da tempo al “partito di Repubblica”… certo questo partito cambia segretario senza consultare la base. E quando cambia segretario cambia linea politica senza un minimo di discussione interna. Un partito dove si segue una linea editoriale che detta il padrone che di volta in volta si adegua alle strategia imprenditoriali. Appoggiare il governo quando ci sono dei vantaggi economici, attaccare il governo per fermare riforme non gradite. Non ha a cuore il futuro della gente ma solo i profitti dei nuovi padroni. Le firme accattivanti producono cultura? Educano la gente a formarsi una libera opinione criticando aspramente il sistema dominante? Non credo! Per cui con parole belle e accattivanti si propaganda il Verbo del padrone.
Patrizia Montani
22 Giugno 2020 at 11:03
In aperto disaccordo con la attuale linea de la Repubblica, ho scritto alla rubrica di Corrado Augias
Caro Augias,
da giorni assistiamo, nella sua rubrica, al dibattito fra i lettori di Repubblica che lamentano una svolta violentemente antigovernativa del giornale, mentre Lei che sostiene il contrario.
Sono un’affezionata lettrice da molti anni e non metto in dubbio l’onestà intellettuale della maggior parte dei vostri giornalisti, né la necessità morale di apportare salutari critiche a chi è al potere, ma sono scandalizzata e profondamente offesa quando leggo titoli cubitali in prima pagina come sul giornale del 21 maggio 2020: “Fase 2, 8 milioni di bambini dimenticati”. Bassezze degne di pessima stampa di destra. Come tutti sanno c’è differenza tra “dimenticare 8 milioni di bambini” e descrivere la grave situazione sanitaria che ha sconvolto la vita dei bambini, delle famiglie, degli anziani, dei medici etc, ricercandone le cause ed eventualmente le precise responsabilità.
Tano Pirrone
23 Giugno 2020 at 07:06
La Repubblica. Il tema di cambio di proprietà e dell’immediato conseguente cambio d’indirizzo mi ha molto coinvolto. Ne ho scritto e torno brevemente a scriverne oggi a proposito della lettera dell’amica Patrizia a Corrado Augias, titolare della rubrica di posta. L’avevo letta in anteprima, poco prima della lettera che quel giorno (sabato 20 us) ad Augias aveva scritto un lettore. Lamentele sull’andazzo. Augias che risponde sempre elegante con gran fair play, tirandosi fuori dall’accusa di posizioni preconcette nei confronti del governo. Poi tira in ballo le politiche (?) dell’innominabile presidente yankee e conclude in panoramica sulla democrazia negoziale, prodotto non dell’ultima stagione ma quasi invocato come panacea. Che voglio dire? Voglio confermare la mia impressione: dopo l’impatto violento e poco accorto dei primi giorni, ferma restando la linea della nuova proprietà, cui Molinari fa da valletto, i toni si sono smorzati, poco, quel tanto che permette ad Augias di giustificarsi e tenersi fuori. Sottoscrivo la lettera di Patrizia ed il coro dei bimbi dolenti mi sembra il raglio di un grosso asino. Stiamo a vedere.
La lettera ad Augias di sabato 20 giugno è riportata in file.pdf nell’articolo di base (NdR)