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Patrizia è una vera “romantica”, una delle poche vere romantiche che conosco. Oddio, ce n’è, di romantici e romantiche, ma molti, troppi per persistenti brezze avverse, o fatti inquieti, pudori o per misteriosa diluizione temporale, non lo sono più, o non si nota se lo son rimasti dentro, inguaribilmente romantici. Le radici siciliane – anzi pantesche! -, sono state importanti e, poi, il girare il mondo col padre diplomatico, certo decisivo.
L’ho blandita, incoraggiata ed infine ecco la sua entrée fra le “penne” di Ponza Racconta. Buona lettura
Tano Pirrone
Villa Salem a Salonicco
Numerose e fortuite sono state le tessere con cui pian piano ho ricostruito l’immagine di Villa Salem, antico Consolato d’Italia a Salonicco. Numerosi e incerti i passi che pian piano mi hanno portato fino al 20 di via Vassilis Olgas, dove ancora la Villa resiste al tempo e all’abbandono, dimenticata da tutti, ma non da me, Villa Salem, che ospitò Papagrande: così chiamavo, alla francese, il mio nonno siciliano… di più, pantesco.
La lettura di “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati mi ha spinta ad aprire un vecchio baule e a prendere in mano, per finalmente leggerle, le memorie, private e politiche, di Papagrande, che è stato la figura di riferimento della mia infanzia multilingue e internazionale.
Nel 1924 la sua isola ubriaca, Pantelleria, aveva eletto il nonno, nato nel 1885, deputato del Fascio. Papagrande era un affabulatore: mi chiamava “Concettina” e mi raccontava della sua infanzia nell’isola, mescolando ai suoi ricordi, lo scoprii dopo, alcuni episodi presi in prestito dalle novelle di Pirandello. Mi parlava della sua vita vagabonda, com’è stata poi la mia, in Italia e all’estero. Mi descriveva, soprattutto, una vita di feste e incontri in una villa bianca in riva al mare, a Salonicco, dove era giunto con la sua famiglia, dopo un soggiorno in Francia.
Cercando nei quaderni, foderati di velluto verde scuro, il luogo incantato che mi aveva dipinto, un episodio mi colpì: nominato nel 1927 Console Generale a Tolosa, mio nonno si oppose al segretario del fascio competente, tale ragionier Salteri, che spiegava un’azione subdola prettamente squadrista, improntata a criteri di violenza. Inviò varie segnalazioni a Roma e Mussolini lo convocò, infine, per ascoltare la sua richiesta di allontanare il segretario perché, personalmente, riteneva “non tollerabile un’azione, da parte del fascio, improntata a criteri di violenza” ed in contrasto con la sua. Mussolini lo ascoltò, ma sotto la pressione del Segretario Generale Parini, (1), invece di spostare il ragioniere violento spostò colui che si lamentava, trasferendolo da Tolosa a… Salonicco.
«Pensava di farmi un dispetto» mi diceva ridendo mio nonno «invece mi regalò gli anni più belli della mia vita!».
Salonicco, nel 1928, era una città multietnica, vivace, con vita brillante e molti interessi commerciali. Ed ecco che dai racconti di questa vita emerge il villino bianco accarezzato dai profumi del mare e del grande giardino con veranda. Ecco il grande viale alberato, le ville della comunità ebraica molto presente nella città.
Salonicco in una vecchia cartolina del 1927
Quando si invecchia, si sa, i ricordi ci chiamano con voce da sirena. A dicembre decisi di andare a rincontrare Papagrande a Salonicco: e feci bene, quando potremo viaggiare ancora?
Quando cercai il vecchio Consolato d’Italia appresi che dal 1978 la rappresentanza si trovava ormai ad un altro indirizzo. Nessuno mi sapeva dire dove fosse ubicato il villino.
Cercai nella rete, fiduciosa, ma alla parola Consolato d’Italia, malgrado la data 1928, appariva solo il nuovo, anonimo indirizzo. La descrizione della vivace comunità ebraica – si sa, quasi tutta deportata dai nazisti nei campi di Auschwitz-Birkenau – mi spinse a visitare il museo ebraico della città.
Lì trovai tante foto che corrispondevano alle illustrazioni di mio nonno. Incuriosita, comprai un piccolo libro illustrato, “La Thessalonique juive” e… sorpresa, alla pagina 34, una didascalia, sotto la foto di una villa in rovina, che recita “Hôtel particulier Salem, ancien Consulat d’Italie”. C’era pure l’indirizzo: 20, via Vassilissis Olgas.
Andammo con Silvio, a piedi, nel tardo pomeriggio. Il viale alberato era diventato un brutto viale trafficato; qualche villa era stata salvata e risplendeva, restaurata, tra alti e brutti palazzi.
Villa Salem, costruita nel 1878 per la ricca famiglia ebraica Salem, in seguito acquistata dallo Stato italiano e divenuta sede del Consolato, era lì, davanti a noi, al numero 20.
Abbandonata, protetta da filo spinato, le finestre semi aperte, i vetri rotti, il giardino incolto. Ma era lei, non c’era dubbio, con la veranda intatta come nella foto dell’album che avevo a casa.
Mio nonno, con il figlio a fianco, mi sorrideva: “Sei venuta finalmente! Mi hai trovato”.
Ho saputo solo dopo che Villa Salem è stata teatro di un atto esemplare: durante l’occupazione nazista, finito il tempo delle feste e della cultura, un altro console d’Italia, Guelfo Zamboni, (2) salvò, ospitandoli tra quelle mura tanti ebrei ai quali procurava documenti italiani falsi. Per il suo coraggio dal 2011 è ricordato come “Giusto” al “Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano”.
Ora la villa sta lì, tra il mare ed il rumoroso viale moderno. Aspetta che la burocrazia italiana si decida a liberarla, permettendo alla Grecia, che da tanto ne fa richiesta, di acquistarla e restaurarla.
Sta lì, ma soprattutto, sta nel mio sguardo che la vede nel suo antico splendore.
Note
(1) – Piero Parini (Milano, 13 novembre 1894 – Atene, 23 agosto 1993). È stato un militare, politico e prefetto italiano, podestà di Milano dal 1943 al 1944. Avviato alla carriera diplomatica dal sottosegretario agli Esteri Dino Grandi, nel 1927 fu nominato console d’Italia ad Aleppo, in Siria. Nel 1929 venne nominato Segretario generale dei Fasci all’Estero.
(2) – Guelfo Zamboni. Diplomatico italiano (Santa Sofia, 1897 – Roma, 1994). È stato un diplomatico italiano. Durante la Seconda Guerra Mondiale ricoprì il ruolo di Console dal 1942 al 18 giugno 1943. Pur nel breve periodo riuscì a salvare centinaia di ebrei dalla deportazione. Dopo il suo rientro a Roma, la sua opera fu continuata dal suo successore, Giuseppe Castruccio.
Nota della redazione
Un’operazione analoga, di rivisitazione della presenza coloniale italiana in Egeo, è nell’articolo di Lucia Galli, del settembre 2017:
“Architetture mediterranee. A Rodi, una perla recuperata“
Patrizia Maccotta
24 Aprile 2020 at 16:30
Se Tano mi definisce ‘romantica’ – l’unico a dirlo, in genere mi accusano di essere troppo realista e poco sentimentale! – io definirei Tano ‘generoso’. Oltre a prestare il suo aiuto a persone in difficoltà, condivide amore per il cinema, letture, scrittura, entusiasmo e ti trascina con sé. È grazie a lui che ho scritto questo ricordo che lui ha ‘revisionato’ e arricchito di precisazioni storiche. Ora gli rilancio la sfida: vorrei tanto che lui scrivesse un articolo sulla comunità italiana degli anni trenta (in gran parte ebraica) di questa interessante città che vede – ed è un peccato – poco turismo internazionale.