di Guido Trinchieri. Presentazione di Giuseppe Mazzella
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Guido Trinchieri visse e lavorò in Samip nel 1974 e 1975. In questo scritto, inviato in occasione dello scambio degli auguri pasquali, viene rievocato tutto l’ambiente e il clima del tempo.
Sono stati gli auguri di Pasqua a riportarmi indietro di quarantasei anni, in questo periodo di distanziamento sociale, di fermo forzato delle caotiche convulse attività che, in parte ci investono, ed in parte ci creiamo, forse proprio per evitare ciò che in questi giorni è inevitabile: pensare… e ripensare.
Con Giuseppe e Silverio Mazzella riannodiamo di tanto in tanto quel filo che ha iniziato a dipanarsi tanti anni fa e non si è mai interrotto, probabilmente perché fatto di quella materia semplice e insieme complessa che riguarda stima, affetto, intesa umana, condivisione di cultura, di ricordi, di valori…
Non avevo mai pensato quanto in questo quadro fosse stata presente Ponza, il suo ambiente, la sua gente, la sua socialità… me ne sono reso conto “sfogliando”, su invito di Giuseppe, le pagine di “Ponza racconta”. Ho realizzato come una esperienza di lavoro si fosse trasformata in una esperienza di vita, ricca, piena, coinvolgente… bella. Che tante cose aveva depositato in qualche remoto cantuccio dell’anima.
Approdo sull’isola agli inizi di un mese di marzo testimone d’inverno più che foriero di primavera. La prima sera mi accoglie Ortenzia che ritrovo viva nei ritratti tracciati in “Ponza racconta”. Ero l’unico ospite della pensione, un giovanotto di montagna di ventiquattro anni, ma sentivo un gran freddo nella stanza rigida; mi rannicchio nel letto… allungando pian piano il piede sento uno strano, piacevole tepore, anche il braccio incontra un calduccio gradevole, in breve mi rendo conto che Ortenzia aveva dislocato sotto le coperte tre o quattro borse di acqua calda; da quando ero bambino, dalla nevicata del ’56, non provavo una sensazione simile!
Ortensia
Il primo giorno di lavoro pioveva… prendo “possesso” del laboratorio! uno stanzone disadorno, polveroso, freddo, umido, con i vetri rotti alle finestre; venivo dal prestigioso Poligono Interforze del Salto di Quirra di Perdasdefogu dove, per qualche anno, ero stato ufficiale addetto ai laboratori. La situazione in cui mi trovavo avrebbe dovuto sconcertarmi… preoccuparmi, invece no! mi divertiva, tutto mi incuriosiva e mi stimolava.
Inizia la spola forsennata fra la miniera, lo stabilimento, i piazzali di attivazione ed il laboratorio per verificare, garantire ed eventualmente migliorare la qualità di quel materiale, intrigante solo per un chimico.
In quel primo giorno uggioso la ripida scala che portava dal laboratorio allo stabilimento era resa scivolosa da una poltiglia di bentonite: la scala, prima di girare verso lo stabilimento, era aperta sul vuoto. L’entusiasmo e l’incoscienza con cui avevo accettato il lavoro a Ponza doveva fare i conti proprio con l’inconscio! Così per alcune notti, ossessivamente, feci un sogno dal significato esplicito: scivolavo, lottando per tenermi in equilibrio, giù per quella scala, in fondo alla quale scalpitava un branco di cavalli bleu.
Sentivo chiamare Silve’, Silve’, Silve’: il primo che ebbi modo di chiamare, movimentava la bentonite attivata di un silos, lo chiamai Silvestro, Cigielle mi corresse e mi spiegò! …così conobbi San Silverio, nome che, mi si perdoni l’ignoranza, non avevo mai sentito; del resto anche di Ormisda non ne avevo incontrati, né più ne ho incontrati nella vita.
Dopo qualche giorno occupai una delle stanze della casa che la S.A.M.I.P. destinava agli impiegati, una stanza grande e spartana in quella casa che ho condiviso per un breve periodo con il dimissionario direttore Martinci? Arrivò successivamente l ’ing. Di Noi, nuovo direttore, sostituito poi dal sig. De Dea da Canale D’Agordo la cui moglie era nipote di quel cardinale Luciani Patriarca di Venezia, che sarà Papa Giovanni Paolo I.
Nell’intervallo per il pranzo mi avviavo per Cala Inferno; su quel sentiero si affacciava la casa delle Suore del Preziosissimo Sangue. Si! andando per Cala Inferno si incontravano le suore. Da quella sala da pranzo ho rubato una delle più belle immagini di Ponza! Sedevo da solo ad una tavola apparecchiata, davanti alla finestra aperta verso Palmarola, il giallo dei “guastaccetti” che orlavano l’isola fino alla costa, il sole, la brezza marina… porto tutto ancora con me.
Suor Pacina o la ”presidente” suor Luigina, con un garbo che è solo delle suore, mi servivano il pranzo, veri e propri manicaretti: “montanari” quando suor Giulia tornava dalla sua Agnone carica delle delizie della sua terra, “marittimi” quando gli omaggi dei parrocchiani eccedevano i bisogni della mensa di don Gennaro.
Don Gennaro… che dire di don Gennaro? Suor Luigina mi sollecitava ad andare a messa, ricordo lo sconcerto che mi suscitavano, da ex militante dell’Azione Cattolica, certe prediche da lui esemplificate in modo originale ma in qualche modo efficaci. Era sempre suor Luigina che si preoccupava di passarmi interessanti informazioni criptate del tipo: “Domani si balla a… tu non ci vai vero?”
Don Gennaro Sandolo
Scorrere l’archivio di “Ponza racconta” è stato come passeggiare per corso Pisacane in una dimensione fuori del tempo, rincontrando persone conosciute, volti confusi, storie appena sfiorate… rivedo Cazz’i’rre piccolo dinoccolato, occhietti chiari e furbi… lavorava in miniera, non so che età avesse ma a me al tempo sembrava un vecchietto, mostrava chiaramente una qualche ostilità nei miei confronti… Un giorno mi “affrontò”: riteneva che fossi l’ostacolo ad un suo amore non corrisposto, se Ponza mi avesse allora raccontato del suo “blasone regale” avrei potuto prendere la faccenda con maggior serietà!
Ho conosciuto anche persone di valore che non ho mai incontrato: Gennaro Mazzella. Con Silverio, amico e collega, e con la sua famiglia, accogliente e vicina, vivevamo l’esperienza di elaborazione del lutto per la perdita di un genitore, anch’io avevo perso mia madre nel gennaio di quell’anno (’74). In quella fase si parla molto della persona scomparsa così quella foto con baffoni neri che campeggiava nella sua biblioteca incominciò a parlare e Gennaro a rivelarsi attraverso Silverio e gli altri membri della famiglia.
Gennaro Mazzella
Silverio è stato il mio maestro di cose di mare! Sono stato un allievo in verità poco dotato, nelle uscite a totani finivo spesso steso in fondo alla barca in preda a conati di vomito, spruzzato dai totani che gli altri tiravano in barca. Delle pescate di Silverio io, per imperizia, ero quasi sempre solo spettatore, ricordo un gronco mostruoso che Silverio portò a casa tenendolo di traverso sulle spalle, con la coda che sfiorava il terreno e la testa che gli pendeva sul petto. Nelle immersioni in pieno novembre, Silverio con la muta io senza, mi guadagnai il “titolo” di “pelle ’i ciuccie”.
Un furto di auto a Ponza! Forse le cronache non lo hanno registrato, ma accadde! Un giorno si sparse la notizia che era stata rubata la Cinquecento del comandante del porto; si sprecavano le congetture, si facevano strada le ipotesi più inquietanti. Con Silverio preparavamo gli ami per la pesca (la coffa?) commentando il fatto, eravamo davanti al garage aperto dove si trovava la macchina di una amica che qualche giorno prima avevamo recuperato dall’imbarco. Fu un attimo! E ci rendemmo conto di avere in garage l’auto del comandante del porto.
Quando è affondata la Kastel Luanda? In quella notte di forte vento venni svegliato da ripetuti fischi di sirena, non avevo idea di cosa significassero, avevo appuntamento a Roma per un colloquio di lavoro e quella mattina partii. Per molto tempo ho conservato l’appunto della qualità e quantità della bentonite caricata sulla nave affondata in mezzo a Cala dell’Acqua.
Qualche tempo dopo, l’esito di quel colloquio mi consentì di cambiare lavoro, e la polvere che oggi abbiamo appena un po’ rimosso ha incominciato a depositarsi sui ricordi.