Ambiente e Natura

Ieri era Pasquetta. Facciamo il punto (2)

di Tano Pirrone

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Per l’articolo precedente, leggi qui

Pasquetta è dietro le spalle. Piove, lento, come piace alle piante, che assaporano l’acqua pian piano, senza consumo di terra; l’acqua risale senza fatica nei rami più alti, fino alle punte estreme dei rami. Alimenta e purifica, come la scrittura, che risistema negli scaffali i ricordi…

Televisione e giornali ci danno notizie tutto sommato confortanti sia sull’andamento della curva dei contagi che sull’irrequietezza nazionale a fuggire dalle mura domestiche. Invece, pazientemente, la stragrande maggioranza degli italiani, consapevolmente, ha scelto di rimanere a casa.

Fra le eccezioni voglio ricordare quando accaduto ieri all’inizio di via del Mare, a Roma: una pattuglia della polizia municipale ha fermato – nello svolgimento delle funzioni di controllo e sorveglianza, opportunamente adeguate nei giorni di Pasqua e pasquetta – una parlamentare, ex 5S, tale Sara Cunial, espulsa e inquadrata nel misto, che nella bella mattinata del lunedì dell’Angelo se ne andava in auto alla volta di Ostia. All’obbligata richiesta di chiarimenti su destinazione e motivazioni del viaggio, la Cunial ha dichiarato che nelle sue funzioni di parlamentare andava al mare ad Ostia. Non ci voleva molto a far scattare la sanzione di 248 € prevista dal decreto. Espletati i riti previsti, la parlamentare, invece di tornare sui suoi passi ha continuato per Ostia. Ora potrebbe scattare la denuncia penale. Speriamo.
La nota alla notizia è questa: la signora, di Bassano del Grappa, è una convintissima no vax (libertà di culto, per carità) e fu dai probiviri pentastellati gentilmente invitata ad alzare i tacchi allorquando, su un social definì i vaccini come “genocidio gratuito”. Se tanto mi dà tanto…

Con il nuovo decreto governativo sono svariate le attività che è permesso svolgere; di seguito il link con la sezione Ateco di Infocamere per individuarle con certezza: http://ateco.infocamere.it/ateq20/#!/home


Selezione dei soggetti e ventilatori meccanici

Senza mascherine per tutti, l’epidemia potrebbe riesplodere in poche settimane. Ma per gli esperti altra mossa chiave per riaprire con successo sarà quella di tenere separati, finché non si trova cura o vaccino, i soggetti più giovani da quelli più a rischio. Cioè anziani e categorie immunodepresse.
Ipotesi di questo tipo sono state già fatte non solo dai governi di Israele, Usa e Gran Bretagna che ipotizzavano una circolazione delle classi produttive per realizzare un’immunità di gregge, ma (per il post lockdown) anche da alcuni tecnici che siedono nel nostro Comitato tecnico-scientifico.
I motivi sono due. In primis, l’isolamento protegge chi – colpito dal coronavirus – ha più probabilità di subire dalla malattia conseguenze gravi. In secondo luogo, le terapie intensive oggi sono – soprattutto al Nord – in gran parte occupate da over 65: si potrà uscire in sicurezza solo quando saranno svuotate, e quando i letti potranno accogliere chi potrebbe ammalarsi dopo essere tornato a lavorare.
Non sarà facile far passare provvedimenti restrittivi per fascia di età, la Costituzione lo vieta. «Ma è necessario pensare a soluzioni alternative» chiosa una fonte autorevole dell’esecutivo. Che sottolinea come il numero di ventilatori meccanici non è ancora sufficiente per una riapertura generalizzata. E che bisogna attrezzarsi per quadruplicare il numero dei posti letto delle Terapie Intensive in tempi record. All’inizio dell’emergenza erano 5.300. In un mese sono cresciuti, dicono Giuseppe Borrelli e Arcuri, del 68 per cento. «Oggi sono quasi 9.000. Un risultato straordinario che il nostro sistema è riuscito a raggiungere in un arco temporale brevissimo».
Non bastano ancora, però. In Germania ce ne sono, per fare un esempio, 28 mila. E Angela Merkel pensa di aggiungerne altri 6.000 entro la fine di aprile: un’abbondanza che consente oggi alle industrie tedesche di lavorare quasi a pieno regime.
A oggi, nessuno stabilimento italiano si è riconvertito per produrre nuove macchine salvavita. La piccola azienda bolognese Siare Engineering resta l’unico produttore del settore. Grazie al personale mandato dall’esercito, e all’aiuto di Fca e Ferrari, la capacità di produzione è raddoppiata, e dovrebbero sfornare nei prossimi due mesi 2.000 macchine. Solo al Sud, però, ne servirebbero il triplo. «Abbiamo moltiplicato anche i caschetti “Cpap” (Continuous positive airway pressure) – NdR) per le subintensive. E contiamo molto», spiegano esperti che lavorano con Borrelli «anche sulla “Omnidermal”». Una società che è riuscita a modificare i palloncini manuali “Ambu”, in ventilatori da usare soprattutto quando i pazienti sono in fase di recupero post-intensiva, in genere usati sulle ambulanze. Attraverso una nuova valvola si potrà usare una sola macchina per due persone, raddoppiando in teoria i pazienti ricoverabili. Ma garantire il fabbisogno di ventilatori resta obiettivo chiave: la fine del lockdown potrebbe mandare in terapia intensiva un numero costante (seppur molto più basso di quello attuale) di pazienti in caso di un contagio di ritorno. Solo se c’è certezza che il servizio sanitario possa prendersi cura con efficacia di tutti gli ammalati la vita potrà tornare quasi normale.

Caccia alla cura

Sarà la curva degli infetti e il fattore R0 (1) a dirci quando sarà davvero possibile. Le scuole riapriranno con ogni probabilità a settembre. Il governo, però, programmerà nuove regole in merito all’accesso su mezzi di trasporto come metropolitane, treni, aerei e bus. E norme ad hoc sull’uso dei luoghi pubblici.
Che fare nei prossimi mesi in cui il virus circolerà per cinema, teatri, ristoranti, discoteche e stadi?
In Cina, Hong Kong e Corea del Sud hanno acquistato milioni di termoscanner per controllare la temperatura personale all’ingresso. L’Italia non ancora. E poco o nulla è stato fatto per attrezzarsi a tracciare asintomatici positivi e immuni. Altro passo essenziale riguarda gli investimenti sui farmaci. «In ogni emergenza la scienza dà il meglio di sé, c’è uno sforzo collettivo dei ricercatori mai visto prima», dice Cristina Mussini, professore di Malattie infettive al Policlinico di Modena, dove si sperimenta il “Tocilizumab”, un medicinale per l’artrite reumatoide, che ora è stato usato per combattere le complicazioni da Covid-19.


La sperimentazione procede spedita. Il gruppo di ricerca, guidato dal Centro tumori di Napoli e del quale fanno parte 27 strutture ospedaliere, sta studiano gli effetti su un campione di 330 contagiati. «Posso dire con certezza che quella sul “Tocilizumab” è estremamente promettente, non sarebbe etico non somministrarlo», si limita a dire Mussini. Trapela più di un filo d’ottimismo, il numero di guariti con il prodotto della Roche è alto. Avere un farmaco approvato dall’Aifa davvero efficace, permetterebbe una riapertura con un’arma in più. Oltre al “Tocilizumab” sono in corso altri studi. Sulla rivista scientifica “International journal of Antimicrobial Agents” è stato pubblicata una ricerca francese sugli effetti del “Plaquenil”, nome commerciale dell’idrossiclorochina. Un farmaco antimalarico che, secondo gli scienziati, abbinato all’antibiotico azitromicina (usato per la polmonite batterica) potrebbe guarire molti pazienti in una settimana. Il tentativo sta suscitando grande dibattito nella comunità scientifica. Non tutti concordano sui benefici, mentre altri esperti, come il professore Roberto Burioni del San Raffaele di Milano, sono possibilisti sull’efficacia del “Plaquenil” per prevenire l’infezione polmonare. E comunque l’Aifa ha messo in guardia i medici di base dal prescriverlo senza precauzioni.
Poi c’è il “Remdesivir”, già testato per Ebola, Sars e Mers. Il test sull’efficacia dell’antivirale è in corso in numerosi ospedali: dal Sacco di Milano allo Spallanzani di Roma passando per l’azienda ospedaliera di Padova, quella di Parma e il policlinico di Pavia. Anche in questo caso i risultati lasciano ben sperare. Sempre a Pavia si sta sperimentando l’utilizzo del plasma dei pazienti guariti come anticorpo da iniettare nei malati in terapia intensiva. Un metodo che in Cina ha dato buoni risultati. Il governo nazionale e il Comitato tecnico scientifico che lo consiglia osservano impazienti. C’è molta attesa anche per il vaccino.

Tracce di virus

Altro obiettivo da perseguire presto, insieme a quelli appena citati, è l’implementazione immediata dei sistemi di tracciamento. Che – nonostante i se e i ma degli «azzeccagarbugli della Costituzione», come li ha definiti Gustavo Zagrelbesky – hanno avuto il via libera pure del Garante della privacy Antonello Soro: «Sì alle misure eccezionali per far fronte all’emergenza, purché siano proporzionate e limitate nel tempo» ha dichiarato. In Corea del Sud l’uso di applicazioni informatiche per controllare i movimenti dei contagiati e ricostruire i loro spostamenti ha permesso di delimitare le aree contaminate in pochissimo tempo. È vero che il governo coreano aveva già un piano anti-pandemia dopo le esperienze con Sars e Mers. Ma l’Italia è ancora indietro. Una “app” di Stato non è ancora stata scelta. Eppure i vantaggi della tecnologia sono immensi. Le modalità di controllo a distanza sono essenzialmente tre. Si va dalla telemedicina, chiesta a gran voce da Galli, per l’assistenza ai quarantenati: serve a instaurare un dialogo con chi è contagiato e non può uscire di casa, ed è utile a evitare nuovi focolai incontrollati. Il reparto malattie infettive di Modena per esempio ha creato un data-base che permette di comunicare giornalmente con i pazienti positivi sintomatici in cura domiciliare. «Un diario quotidiano, dove il malato può segnalare l’insorgenza di sintomi più gravi: fame d’aria, febbre alta, tosse in aumento», spiega Giovanni Guaraldi, professore di malattie infettive del policlinico: «Nel momento in cui dovesse verificarsi un peggioramento il paziente verrebbe portato subito in ospedale». Senza un controllo a distanza rischiano di arrivare in nosocomio troppo tardi, ingolfando il sistema sanitario di casi che potrebbero essere curati in tempo minore.
La seconda modalità di controllo è il “contact tracing”: un’applicazione che misura e registra i nostri spostamenti e permette di riscontrare rapidamente con quante persone è entrato in rapporto un nuovo contagiato e in quale zona della città. Le persone a rischio individuate verrebbero avvertite da un alert che li invita a fare il tampone. Infine, esiste un tracciamento effettuato tramite le celle telefoniche: permettono di localizzare un numero identificativo (che corrisponde alla singola utenza) in un determinato luogo. Potrebbe rivelarsi utile per ricostruire l’anamnesi degli spostamenti di un contagiato così da capire quante persone hanno frequentato gli stessi luoghi del positivo e sottoporle a tampone.
Il tracciamento elettronico è fondamentale per circoscrivere la cerchia di amici e conoscenti entrati in contatto con il malato. Così da poter eseguire su di loro tamponi rapidi. In questo modo le statistiche sarebbero tra l’altro più affidabili, soprattutto sulla letalità del virus: con più tamponi, infatti, aumenterebbe di molto il numero di contagiati, ma si abbasserebbe sensibilmente il tasso di letalità.
«Tamponi, tamponi, tamponi», ordina l’Oms. Ma ad oggi il governo e le regioni sembrano muoversi senza una strategia comune. Per riaprire serve un’organizzazione migliore, e implementare laboratori privati dedicati e il personale addetto. Il contrasto tra Roma e enti regionali finora non ha aiutato a cercare soluzione comune. L’identificazione rapida di positivi e immuni è poi possibile anche con analisi del sangue e test anticorpali. Tre virologi veterinari del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Torino hanno per esempio avviato una ricerca per un test sierologico made in Italy col fine di «identificare i soggetti che hanno superato l’infezione asintomatica e potrebbero risultare immuni da successive infezioni». In una lettera inviata al quotidiano Avvenire hanno annunciato l’inizio della sperimentazione «con gli istituti zooprofilattici della Lombardia e dell’Emilia e in collaborazione con alcuni ospedali, potrebbe dare risposte nelle prossime settimane». Ecco: se fosse confermata l’ipotesi dell’immunità per quei soggetti guariti dopo l’infezione, si potrebbe immaginare un ritorno scaglionato alla vita sociale e lavorativa partendo proprio da questa fetta della popolazione che ha sviluppato gli anticorpi. Il lavoro preliminare da fare in vista di una ripartenza è dunque mastodontico. L’Italia è in netto ritardo, ed è necessario, se si vuole evitare il fallimento di una riapertura caotica, darsi una mossa.
Programmare la fine del lockdown senza un piano potrebbe essere disastroso. Perché una seconda ondata di Sars-CoV 2 causerebbe più danni della prima.

 

Note

(1) – Il valore R0 (“erre con zero”) è l’indice di contagiosità. È quello che indica quante persone possono essere contagiate da parte di un infetto. A seconda del numero riportato, segnala dunque quante persone un contagiato può infettare a sua volta. È un indice variabile, nel senso che molto influiscono nella realtà dei fatti la densità della popolazione di un determinato luogo dove circola l’epidemia. Di conseguenza, più è affollata e trafficata un’area, e più alto sarà il numero di persone suscettibili al contagio. Per interrompere la circolazione del virus bisogna scendere al di sotto di un contagiato per persona positiva. Dal punto di vista matematico sarà possibile ritenere di averla avuta vinta contro il coronavirus soltanto quando il valore dell’R0 sarà inferiore a 1”.

(2) La traccia dello scritto è come per ieri l’articolo di Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian sul n° 15 del settimanale L’Espresso del 5 aprile scorso.

 

[Facciamo il punto (2) – Fine]

1 Comment

1 Comments

  1. Tano Pirrone

    17 Aprile 2020 at 18:54

    Lorenza mi scrive su WA, pregandomi di inserire il suo brevissimo commento: «Grazie mille per questi articoli super utili e per la tua sintesi/analisi impeccabile, ben condita da intermezzi in terrazza. Aspettiamo nuovi sviluppi.»
    Grazie a te, Lorenza, e a tutti quelli che seguono Ponza Racconta, soprattutto su questi argomenti e in questi giorni di turbolenza inaudita.

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