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Il tempo è uguale per tutti, la giustizia (sociale) no!

di Tano Pirrone

Il riferimento di questo scritto, non propriamente un commento, è a un articolo pubblicato sul sito il 30 marzo scorso, su come l’epidemia da Covid viene vissuta lontano da noi, a New York (leggi qui), e ai relativi commenti (Cfr) – NdR
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Sono un accumulatore di oggetti; non compulsivo, ma sulla buona strada per diventarlo. Convintissimo che gli oggetti siano uncini dove attaccare ricordi, stento a disfarmene. Tanto più le masse coacerviche di neuroni si distruggono e vuoti improvvisi ed angosciosi si aprono lungo le vie e i viottoli che si percorrono per giungere fino alla “Conservatoria dei nomi, dei volti e dei fatti”, che ha sede in riposti luoghi del mio cervello, tanto più ho bisogno di biglietti, appunti, oggetti che me li ricordino. Una lotta aspra che ha già scritto il suo epilogo: ne uscirò sconfitto, e con la capa fresca assai!

Fra gli oggetti che conservo con cura e lontano dalle voglie conquistatrici di figli, nipoti e amici concupiscenti, c’è una clessidra, conquistata chissà quando e in quale occasione. Ha finissima sabbia dentro, che scende in silenzio, lentamente, nell’esatto dilatarsi di trenta minuti. Non ha ingranaggi, la sabbia non si consuma, l’involucro è integro: la misurazione del tempo, quindi corretta e costante.

La mia sensibilità al trascorrere inesorabile del tempo, sempre allertata, anche quando mi occupo di qualcosa che col tempo direttamente non c’entra, mi ha messo in allarme ieri, allorquando, nella mia visita mattutina a Ponza Racconta – bottega sempre aperta e sempre con nuovi arrivi e merce abbondantemente esposta sugli scaffali –, sono andato a controllare la pubblicazione dell’articolo di Arianna Farinelli “Il lavoro di Malida salverà New York chiusa per virus” ed ho trovato il commento di mr Iodice, di cui ho letto tutto quello che di suo è stato pubblicato sul sito. L’ho letto due volte per evitare qui pro quo ed è lì che m’è venuta in mente la mia clessidra. Sono andato a prenderla nel mio piccolo studio stracolmo di ogni cosa e mi sono seduto a prendere appunti, da cui ora sto ricavando questo articolo, cercando di dargli l’equilibrio che ai miei appunti mancava.

Perché la clessidra? …che c’entra la clessidra con Malida e con mr Iodice? C’entra ed il motivo è rappresentato cripticamente nel titolo: il tempo passa, passa per tutti, ma certe idee e le loro realizzazioni in campo politico e sociale permangono, non cambiano, non prendono insegnamento dalla Storia, dagli avvenimenti, da tutte le manifestazioni che nel mondo e nella vita delle persone dicono ben altra cosa.

M’è parso di trovarmi nel libro “Cuore” del buon De Amicis. Libro che è passato di moda – giustamente –, bruciato, dalle fiamme del Sessantotto, dalle lotte delle donne, dai duri anni delle lotte operaie e dal disfacimento del vecchio regime democristiano e dei suoi accoliti. Poi pian piano è stato recuperato, non più per il messaggio sociale, ma per il quadro di un’epoca, in cui si consolidavano i valori borghesi, di una classe che non è riuscita a prendersi carico della guida del nostro paese, ed è rimasta invischiata nei fanghi del fondo. La mancata epifania dell’“egemonia borghese” (auspicata da Gramsci) ha fatto volare basso la storia italiana invece di permetterle di librarsi e affermarsi.

Di “Cuore” mi sono tornate alla memoria, mentre la sabbia della clessidra lentamente andava a depositarsi nell’altro vaso, le parti più retrive: quelle della carità, del rispetto per i poveri, della pietà per i diseredati e così via con tutto il repertorio delle virtù cristiane. Che sono fondamentali per un vivere civile, ma non si possono sostituire alle regole fondative di una società giusta, basata sulla fraternità, l’uguaglianza e la libertà.

Non basta, amico mio, andare a messa la domenica con l’abito nuovo, la moglie in ghingheri e i figlioletti manichini, non basta: bisogna che nella società vengano rimosse le cause della povertà, della discriminazione, dell’alienazione. I poveracci, qualunque sia l’origine della loro condizione, non possono rimanere tali e attendere che una persona pia faccia loro la carità: i diritti – allo studio, alle cure, ad un lavoro dignitoso, al riconoscimento del loro status, pur diverso per etnia, religione, di genere… i comunque diversi – sono la base di una società giusta e veramente libera.

Invece il pensiero liberista (pensiero trasversale e immutabile nei principi di base): che lo Stato deve farsi i c… propri e favorire l’accumularsi della ricchezza nelle mani di chi è più bravo, più lesto, più scaltro, diciamo anche più fortunato; in modo che poi, a caduta, arrivi qualche dollaro, qualche lavoretto anche a quelli che stanno giù giù, senza speranza; qualche volta, a rompere la monotonia, ci pensa la lotteria o l’ascensore sociale. Ma mi dica la verità: i “negri nelle università ci vanno perché sono intelligenti o perché giocano bene a basket?

Mi accorgo che l’argomento mi vieta di andare dritto, lineare, esponendo con calma le mie ragioni: ma questo non è un saggio, né io sono abbastanza saggio per fare un saggio. È uno sfogo, un’indignazione: non mi piacciono i buonisti, quelli che vanno a messa la domenica con la famigliola, ma poi l’indomani decidono licenziamenti per salvaguardare i margini di utili, i dividendi (remunerazione del capitale a posto del lavoro, che tradotto in parole povere vuole dire: tolgo a chi ha poco o nulla per darlo ai ricchi); oppure opera in borsa comprando e vendendo quelle schifezze che hanno rovinato un mondo. Non mi piacciono quelli che hanno due morali: quella pubblica e quella professionale. Non mi piace che sulla carta moneta compaia il motto: “In God We Trust”. Il dollaro dedicato alla divinità, e divinità esso stesso! Ricorda la storia biblica del “Vitello d’oro”: la statua aurea che Aronne, fratello di Mosè costruì per farlo adorare agli ebrei mentre il fratello, sul monte Sinai, aspettava di ricevere le tavole con i comandamenti (metafora straordinaria perché gli uomini sappiano che le loro leggi – leggi che il potere emana, prima di tutto per rafforzarsi e perpetuarsi – sono di origine divina, appartengono all’Eterno che solo decide della sorta degli uomini!)

E invece no, no mio caro amico, noi siamo soli in questo mondo, e dobbiamo agire con saggezza, prudenza, rispetto, giustizia e fratellanza: non si sganciano bombe atomiche per concludere una guerra già finita, coll’astuto compito di dire alla Russia: zitta e bbona che sennò te sdrumo. E non si danno i premi Oscar ad un furbo regista italiano perché in suo film famosissimo fa entrare gli americani nel campo di sterminio nazista, tradendo la verità storica (furono i russi): questa non gliela perdonerò mai, al regista!

Mi scusi per la foga (…che dio la benedoga!), ma si trattava di far rispettare un diritto di precedenza, anomalo, se vuole: anche se la carità viene da destra deve far passare la giustizia che viene da sinistra.

Immagine di copertina: “Saturno, il signore del tempo e la metafora della clessidra”. Dall’articolo sul web: “Seneca e Andrew Niccol ci aiutano a riflettere sullo scorrere del tempo e sulla durata della vita umana.

Il libro di Lucia Anneo Seneca “De brevitate vitae”, scritto nel 49 d.C.

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