di Rosanna Conte
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Tante sono state le iniziative in molte città italiane per ricordare oggi l’Olocausto, la Shoah, cioè l’uccisione programmata di 6 milioni di ebrei e di altre 5 milioni di persone nei campi di sterminio nazisti, ma anche italiani. Non possiamo dimenticare la Risiera di San Sabba a Trieste.
Certo, la meticolosa organizzazione dello sterminio come la costruzione di strutture ad esso finalizzate fu tedesca, ma gli italiani, fascisti e non, collaborarono a questa strage.
E’ proprio nelle pieghe di queste responsabilità – che possono differenziarsi per numero di persone uccise, ma non per le motivazioni – che si annida il timore di una sua replica da parte di chi conosce le vicende e le ragioni storiche che hanno determinato quegli orrori.
Perché si parla di un unicum?
Nell’arco millenario della storia umana, partendo dalla mitica guerra di Troia, alle guerre sempre sono state associate crudeltà inenarrabili: uccisioni di massa dei nemici, stupri, saccheggi, uccisione dei bambini, umiliazioni del nemico vinto prima di ucciderlo, riduzione in schiavitù…
E’ la guerra in sé che porta odio e rende il nemico un essere da eliminare per la propria salvezza.
E’ per questo che nella nostra Costituzione, scritta da chi aveva visto tutti gli orrori, legati alla guerra, all’articolo 11 c’è scritto: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Ma l’olocausto è qualcosa di diverso.
E’ un progetto di sterminio che parte dall’idea che esiste una “razza umana pura” che debba essere salvaguardata e protetta da contaminazioni.
Un’idea priva, prima di tutto, di qualsiasi fondamento scientifico considerato che nemmeno l’Homo sapiens si è mantenuto puro, anzi, per dirne una, è stato proprio l’incrocio con l’uomo di Neanderthal che gli ha consentito di avere geni per sopravvivere al freddo e raggiungere le latitudini più estreme.
Ma tant’è. Se si sa manipolare l’informazione, si riesce a far passare di tutto, specie nei momenti di crisi socio-economica come quella che viveva la Germania negli anni dell’ascesa di Hitler.
La retorica che si concretizzava in mega-parate inserite in scenografie mozzafiato, soddisfaceva il senso di insoddisfazione e la paura del popolo tedesco che trovava sicurezza nelle affermazioni della superiorità della razza ariana a cui il popolo tedesco apparteneva.
Chi lo spiegava ai tedeschi che non esiste la razza ariana, e se esiste un popolo ariano è quello degli iranici la cui lingua apparteneva al ceppo indoeuropeo da cui discendevano il tedesco e le altre lingue europee?
Non avrebbero voluto sentire, ascoltare e di sicuro l’avrebbero messo a tacere perché osava infrangere la loro speranza che qualcuno, il grande e forte leader Hitler, invece stava coltivando.
Nel mirino ci furono in particolare gli ebrei, ma non solo.
Furono coinvolti disabili, rom, omosessuali, sinti, testimoni di Geova e il carattere di questa politica, al di là delle parole, mostrò la sua crudele realizzazione appena Hitler arrivò al potere, nel 1933.
Sono di quello stesso anno l’apertura del primo campo di concentramento a Dachau, dove mandare gli avversari politici di tutti i colori, ed il programma Aktion T4, che mirava all’uccisione dei bambini con malattie gravi e tare ereditarie. L’escalation delle persone da eliminare fu inarrestabile e per lo sterminio, dal 1941, furono attrezzati veri e propri campi con camere a gas e forni crematori.
Quotidianamente dai treni che arrivavano in questi campi, scendevano migliaia di persone che venivano uccise nella stessa giornata.
Vecchi, donne e bambini… erano “pezzi” che passavano, come nella catena di montaggio da uno stato, quello della vita, all’altro, quello della morte.
In quale guerra è mai accaduto questo?
In questo modo sono morte 11 milioni di persone. Giusto per farsi un’idea circa 200 Stadi San Paolo!
Ma quello che fa rabbrividire è l’assoluta indifferenza di chi eseguiva quelle uccisioni, le registrava, provvedeva a sveltirle senza porsi alcun problema e nemmeno alcuna domanda.
La preoccupazione di chi continua a voler ricordare è che la diffusione dell’indifferenza verso la vita altrui, possa abituare le persone a pensare e compiere azioni che, per spessore di crudeltà, non siano tanto diverse da quelle compiute dai nazisti e dai loro sostenitori come i fascisti italiani, in particolare i repubblichini di Salò, di cui oggi, in giro per l’Italia ci sono tanti ammiratori.
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La Redazione
29 Gennaio 2020 at 08:52
A corollario dell’articolo di Rosanna Conte, proponiamo questo scritto di Enzo Bianchi – 76 anni, saggista e monaco laico, fondatore della Comunità monastica di Bose in Piemonte -, da “La Repubblica” del 27 gennaio 2020:
La memoria a metà
di Enzo Bianchi
È tornato il Giorno della Memoria, ricorrenza istituzionalizzata per non dimenticare ciò che è accaduto, la catastrofe (Shoah) per milioni di persone, soprattutto ebrei, ma anche zingari, scarti della società, quelli che risultavano “diversi”.
Nel fare questa memoria, vissuta in modo sempre più superficiale, si assiste anche a una banale semplificazione: si dice che sono stati solo i nazisti tedeschi, imbevuti di quella folle ideologia, a scegliere il male assoluto. E così si dimentica che alla Shoah hanno contribuito, in modi diversi ma con piena responsabilità, anche gli altri europei, e tra di essi innanzitutto noi italiani. I nazisti non avrebbero potuto realizzare i loro progetti di sterminio se non avessero beneficiato di collaboratori, di quanti cioè denunciavano e spiavano, di quelli che vedevano ma preferivano non dire nulla e lasciare che tutto avvenisse. Se invece si prosegue sulla strada di questa semplificazione, la Shoah rischia di diventare solo narrazione e oggetto di memoria pubblica, un evento da ricordare tra gli altri. E se noi conosciamo l’inferno attraverso le testimonianze, non possiamo dimenticare che gli ebrei, l’inferno, l’hanno vissuto.
Certo, sappiamo bene che stragi, massacri, pulizie etniche e genocidi sono stati perpetrati prima e dopo, anche negli ultimi decenni, ma non dovremmo mai dimenticare l’unicità della Shoah: in essa sono stati sterminati non dei nemici, non dei diversi per etnia, non dei nomadi, ma semplicemente uomini e donne in quanto ebrei, figli di Israele, che anche noi italiani abbiamo imparato a odiare, diventando incapaci di riconoscere e difendere la dignità di ogni altro essere umano in quanto tale. Se in Italia i “giusti tra le nazioni” sono stati riconosciuti in numero di circa cinquecento, quanti sono stati ingiusti perché non dissero nulla ma collaborarono alla catastrofe? Quanti furono i credenti cristiani che, anziché vedere negli ebrei dei fratelli e sorelle nella fede, non vollero accorgersi di nulla, o causa di un viscerale antigiudaismo giudicarono questo sterminio l’adempimento di un giudizio di Dio?
Per questo ritengo sia stolta la domanda «dov’era Dio ad Auschwitz?», che andrebbe piuttosto declinata come «dov’era l’uomo, dov’era l’umanità?».
Il Giorno della Memoria è giorno della vergogna. Non dobbiamo fare domande su Dio, bensì su di noi, e farcele ancora oggi. Nella convinzione che, se c’è qualche speranza, essa può affermarsi solo a partire dall’umanità nella quale continuano ad esservi dei giusti: pochi uomini e donne che, credendo che il male non è onnipotente, sanno opporre resistenza.
Sì, la giornata della memoria dev’essere un’occasione per scrutare e vedere quello che ancora oggi e qui viene perpetrato contro l’insopprimibile dignità degli esseri umani.
Sono nato durante la Shoah e sono cresciuto senza mai dimenticarla. Ma ora, a differenza di ieri, confesso che ho paura: forme inedite, ma sempre nutrite da odio e follia, si affacciano al nostro orizzonte come intolleranza, disprezzo e violenza, verso quelli che giudichiamo “diversi” e indegni di vivere con noi.
[Da la Repubblica del 27 gennaio 2020]
Sandro Vitiello
29 Gennaio 2020 at 18:32
Segnalo l’intervento di Liliana Segre al parlamento europeo, oggi. Una delle ultime testimonianze pubbliche della senatrice italiana deportata insieme alla sua famiglia nei campi di concentramento.
Oggi tra le tante cose che ha detto mi ha colpito una frase “Ho bisogno di fermarmi per dare pace alla bambina che ero. Ancora oggi è troppo forte il dolore della memoria”.
Parole simili a quelle scritte da Primo Levi che ricordava la sofferenza dei sopravvissuti a quell’orrore e si domandava: “Perché?”.
Primo Levi mise fine al rimorso di avercela fatta, suicidandosi in tarda età.
A settantacinque anni da quella tragedia, Liliana Segre è costretta ad avere la scorta perché nella nostra Italia c’è gente che si permette di minacciarla.
https://www.repubblica.it/politica/2020/01/29/news/segre_razzismo_in_politica_c_e_chi_ne_approfitta_-247081873/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1
Sandro Russo
31 Gennaio 2020 at 07:44
Propongo da la Repubblica di oggi 31 gennaio un Michele Serra inusualmente durissimo… Ma la gangrena che stigmatizza merita tutto il suo (e nostro) disprezzo.
L’amaca
Per vedere che faccia ha
di Michele Serra
Che cosa c’è di più schifoso di un aguzzino? C’è la sua claque anonima, i suoi fan che applaudono lo scempio dei corpi, la tortura, l’umiliazione, l’azzeramento umano, e poi la sera danno un bacetto alla mamma, alla moglie, al figlio, una carezza al cane, e mangiano la minestrina nel loro tinello.
Vorrei che ne prendessero almeno uno, di questi tracciatori di svastiche e di scritte nazi sui portoni, per vedere al telegiornale che faccia ha, che nome porta, per sapere di quale vita è vittima, uno così: uno che invoca il rastrellamento, il vagone piombato, il forno, e i corpi che diventano sapone, e se la gode. Lo penso porco, lo penso merda, e chiedo scusa a porco e a merda, e mi vergogno di me stesso, trascinato nell’odio abietto del quale lui è l’attore, io lo spettatore impotente.
Dobbiamo veramente ringraziare Liliana Segre per l’altezza della sua testimonianza.
Leggendo sui giornali di certe scritte, di certe frasi (per esempio il consigliere comunale di Trieste, fascista impunito, che si è detto «offeso» alla notizia che Cristo era ebreo: o gran coglione, credevi forse che a Nazareth nascessero i turchi, i pugliesi, gli islandesi?) mi sento invece basso. Vorrei avere vent’anni, e voglia di menare le mani, e niente da perdere. Mi viene da piangere per la rabbia, considerando gli ometti e le donnette che ancora oggi, nonostante il tempo, nonostante gli innocenti uccisi, le parole dette, il sangue versato, la ferocia organizzata a misura di ometti e donnette, ancora tracciano la svastica e indicano, sul portone, la via dello sterminio.