di Sandro Vitiello
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Sono stato, in gioventù, uno dei tanti che hanno riempito le piazze per protestare contro le centrali nucleari.
All’epoca – parliamo dei primi anni ottanta – anche l’Italia aveva centrali che producevano energia dal nucleare.
La prima venne costruita a Latina, poi un’altra a Sessa Aurunca, in prossimità del fiume Garigliano.
C’era una centrale a Caorso, lungo il Po e ce n’era un’altra a Trino Vercellese.
Era in costruzione un’altra a Montalto di Castro ma nell’87 un referendum bloccò definitivamente tutto.
Le centrali in funzione chiusero e quella di Montalto venne riconvertita a policombustibili.
E pensare che nel 1966 eravamo il terzo produttore al mondo di energia dall’atomo, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.
Si incominciò a parlare con forza di energia alternativa e vennero incentivate le ricerche a favore del solare e dell’eolico.
Senza dimenticare che lungo l’arco alpino italiano c’erano e ci sono decine di dighe che sono fonte di tanta energia idroelettrica.
Nel frattempo quasi tutta l’energia in circolazione nella rete italiana veniva prodotta da carbone, petrolio o gas. Successivamente si ritagliarono un loro spazio anche le centrali che bruciavano biomasse o i forni inceneritori della raccolta differenziata dei rifiuti urbani.
Oltre a quella comperata all’estero prodotta da centrali nucleari.
Ad oggi gran parte delle centrali italiane per la produzione di energia elettrica bruciano gas.
Negli anni ottanta il problema poteva essere quello del prezzo del petrolio e ad ogni crisi nei paesi arabi aumentava il prezzo della benzina.
Oggi la situazione è diventata seria.
La crisi climatica è sotto gli occhi di tutti. I cambiamenti sono significativi e l’accelerazione con cui stanno avvenendo non fa presagire nulla di buono.
Stiamo parlando di intere aree del pianeta che diventeranno inabitabili per l’aridità del suolo, per l’innalzamento del livello del mare, per eventi catastrofici legati alla variabilità delle piogge e dei venti.
Stiamo parlando di centinaia di milioni di persone che dovranno lasciare i luoghi in cui sono vissuti fino ad oggi per spostarsi in altre aree del pianeta.
Parliamo di nuove malattie che saranno parte della nostra vita quotidiana e che non troveranno subito cure adeguate.
Stiamo parlando dello scioglimento del permafrost che copre tante distese artiche e che farà uscire dal suolo enormi sacche di gas che andranno a complicare ancora di più l’equilibrio della nostra atmosfera.
Davanti a questo scenario la risposta dei governi del mondo è insufficiente o negativa.
I cosiddetti sovranisti addirittura mettono in discussione questa situazione.
Il presidente degli Stati Uniti e quello australiano sono i maggiori leader del negazionismo ambientale. Forti di studi prodotti spesso dall’industria del petrolio vanno dicendo in giro che il clima cambia perché ogni tanto cambia. Non dicono che nella storia umana non si è mai visto un processo così rapido di cambiamento che non permette nessun adattamento delle specie viventi sul pianeta al nuovo clima.
Greta Thunberg, la giovane attivista ambientale svedese, ha imposto all’attenzione di tanti – e soprattutto dei giovani – questo grande dramma ma l’ultima conferenza sul clima di Madrid ha dimostrato l’incapacità degli stati presenti a trovare soluzioni.
Non riusciamo a venirne a capo.
L’unico impegno a cui fanno riferimento tante nazioni è “l’accordo di Parigi” del 2015 che alcuni, come gli Stati Uniti con l’ultimo presidente, hanno stracciato.
Allo stato attuale è solo un atto di buona volontà che dovrebbe obbligare i singoli stati a tagliare le emissioni di anidride carbonica e dei gas-serra in generale, con tappe forzate.
Cambiando i sistemi di produzione di energia e riducendo i consumi di questa.
Qualcosa si è fatto ma non basta. Il poco che si è fatto è stato annullato dai maggiori consumi.
Parliamoci chiaro: oggi l’energia prodotta da fonti rinnovabili come l’eolico o il solare, a livello globale vale il due per cento della produzione mondiale di energia.
Nazioni come la Germania e il Giappone hanno deciso di chiudere le ultime centrali nucleari in funzione perché vecchie, perché l’opinione pubblica non le vuole e perché costano tanto.
La maggior parte delle attuali centrali nucleari sono figlie di una tecnologia spesso vecchia di almeno cinquanta anni.
Quella di Chernobyl era stata addirittura progettata nel dopoguerra.
Il problema per quanto riguarda le centrali nucleari è rappresentato dai costi e dai tempi di costruzione. Senza il finanziamento degli Stati sono interventi quasi impossibili.
Il problema maggiore è comunque lo smaltimento delle scorie.
Problema irrisolto fino ad oggi. Come quello degli scarti degli armamenti nucleari.
Eppure malgrado tutti questi limiti ed i disastri provocati dagli incidenti legati all’uso civile del nucleare i morti associati a questa industria sono pochissimi.
L’incidente più grave – Chernobyl – ha avuto trentuno vittime e, si calcola, ci siano stati almeno duemila i morti di tumore dovuti alla contaminazione dell’area irradiata dall’esplosione della centrale.
Tanti morti comunque e tanta miseria in quell’area.
Molti ricorderanno la solidarietà verso il popolo ucraino che si manifestò da ogni parte del mondo.
L’Italia – quell’ Italia dei primi anni novanta – ospitò migliaia di bambini che venivano, per alcuni mesi e per diversi anni, nel nostro paese a rigenerarsi ed allontanarsi da quella terra inquinata.
Tornando alle vittime parliamo comunque di numeri ridotti, nell’economia globale del pianeta.
Statistiche molto serie ci dicono che ogni anno, in tutto il pianeta Terra, muoiono almeno ottocentomila persone a causa dell’inquinamento da combustibili fossili.
Sono numeri senza paragoni.
Ottocentomila ogni anno contro poche migliaia nell’arco di mezzo secolo.
Forse è il caso di ripensare al nucleare.
Ci sono studi e progetti in fase ormai esecutiva portati avanti negli Stati Uniti da una fondazione finanziata da Bill Gates che hanno studiato una centrale nucleare che ha ben poco a che vedere con quelle del passato o attualmente in funzione.
E’ una struttura di dimensioni molto ridotta che utilizza come combustibile gli scarti delle passate centrali nucleari – risolvendo quindi anche quel problema – e che con moderni sistemi di controllo elimina completamente il rischio di incidenti come quelli avvenuti a Chernobyl o a Fukushima.
Sono centrali che riducono significativamente i costi di produzione e anche quelli di gestione.
Non hanno necessariamente bisogno di corsi d’acqua presso i quali essere costruite e soprattutto non immettono nulla nell’atmosfera.
Alla fine del ciclo produttivo non ci sono residui radioattivi da smaltire.
Producono enormi quantità di energia e quella non assorbita dalla rete di distribuzione può essere utilizzata per la produzione di idrogeno. Il carburante del futuro per le auto.
Perché l’altra grande fonte di inquinamento del nostro pianeta sono i mezzi di trasporto che tra gas e polveri sottili ormai sono una minaccia costante al nostro vivere, soprattutto nel periodo invernale.
Consideriamo inoltre che nei prossimi trenta anni il fabbisogno di energia aumenterà del cinquanta per cento a livello globale e che dovremo ridurre contemporaneamente, in maniera significativa, le emissioni attuali.
Io credo che un uso civile e controllato delle centrali nucleari possa essere una grande opportunità per il nostro pianeta.
Non sarà facile fare questa scelta.
Bill Gates aveva trovato nel governo cinese un partner disponibile a sperimentare il suo progetto di centrale nucleare ma è stato bloccato dai veti del governo americano.
Non è solo un problema di egemonia tecnologica.
E’ soprattutto un problema di egemonia economica.
L’industria del petrolio è fonte di ricchezza per aree importanti del pianeta e per grandi agglomerati industriali.
Questi non consegneranno lo scettro del loro potere in nome degli interessi del pianeta e dei suoi abitanti.
Inoltre l’idea del nucleare è ancora associata alla guerra e alle armi, anche se queste nuove tecnologie sono molto lontane da quel mondo.
Negli anni settanta, nel momento del suo massimo splendore, il Giappone propose alle altre nazioni del pianeta di portare la corrente elettrica in ogni villaggio dell’Africa; anche in quelli più sperduti.
Avrebbero finanziato tutto loro.
Gli altri paesi dissero di no.
Non pensavano al benessere dei popoli dell’Africa.
Pensavano che il Giappone avrebbe avuto un vantaggio in quelle terre.
Se quella idea fosse stata realizzata oggi non assisteremmo alle sventure di tanta gente che scappa dalla miseria.
Se avremo la possibilità di avere a disposizione energia non inquinante a prezzi accettabili dovremo comunque pensare anche alle popolazioni del terzo mondo.
E’ gente che usa la legna per cucinare e per scaldarsi. E’ gente che non ha l’energia elettrica per far funzionare una pompa per estrarre l’acqua dal sottosuolo e innaffiare i campi, per far girare le macchine nelle fabbriche, per curare i malati.
Dobbiamo capire che ci si salva tutti assieme o non ci si salva.
Note e dati – Ad oggi il nostro Paese è impegnato nel nucleare attraverso l’Enel che acquista dall’estero energia elettrica e gestisce in partneship centrali in Slovacchia.
La Finmeccanica attraverso l’Ansaldo Nucleare porta avanti progetti di ricerca e produzione di centrali nucleari.
L’Italia ha firmato negli anni passati accordi di collaborazione con la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, presidenza Obama.
Ad oggi ci sono in funzione nel nostro paese quattro reattori destinati alla ricerca: due a Roma all’Enea, uno a Pavia e uno a Palermo.