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Italia 1951, la guerra è finita da circa sei anni, molte istanze di cambiamento della società si sono rivelate effimere; certo c’è la Repubblica al posto della Monarchia, una lenta ricostruzione ha rimarginato le ferite più profonde del conflitto, tuttavia la speranza di vivere in un mondo migliore sembrano ben al di là dall’essere esaudite.
Politicamente è appena iniziata la cosiddetta era del centrismo, ossia una serie di governi a stretta guida democristiana, una stagione che non passerà alla storia per essere stata tra le più innovative; al contrario è tenuta in piedi da un’ideologia conservatrice, imperniata sull’anticomunismo e refrattaria a recepire i sussulti sempre più frequenti di una società in fermento.
In questo clima crepuscolare nasce Bellissima, film sul cinema che chiude il periodo neorealista di Luchino Visconti [1], il quale tra il 1948, anno di La terra trema e Bellissima, si dedica soprattutto al teatro (Un tram chiamato desiderio e Troilo e Cressida con Vittorio Gassman) dove le sontuose messe in scena mostrano un artista capace di allestire spettacoli dalle magnifiche scenografie barocche e fastose, che presto caratterizzeranno anche la sua produzione cinematografica, come dimostrerà Senso, film del 1954.
Bellissima è uno dei pochi film di Visconti non tratti da un libro [2].
Circa l’importanza rivestita da Bellissima all’interno dell’opera di Visconti. Come acutamente osservato da Lino Miccichè, il film completa l’itinerario del regista all’interno del neorealismo: da un lato raggiunge l’apice della poetica neorealistica, dall’altro inizia a distaccarsene. La descrizione, il fare cronaca, il compiere un ritratto di un’epoca contemporanea sono gli elementi tipicamente neorealistici di Bellissima. Viceversa il primo elemento che segnala il superamento in atto del neorealismo è la riscoperta del “personaggio”; evidente il riferimento ad Anna Magnani, che interpreta Maddalena, la protagonista, attrice e diva attorno alla quale è costruito il film.
A cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta Luchino Visconti è tra i primi a capire che il cinema non può essere strumento politico- culturale del cambiamento. Bellissima denuncia infatti la trappola di un’illusione che ha visto nel cinema qualcosa di diverso dal regno dell’illusione (a questo si aggiunga che il mercato cinematografico italiano sta crescendo senza un progetto). Quindi possiamo affermare che Bellissima sia un film sul mondo del cinema, sulla capacità di quest’ultimo di ergersi a sogno popolare. Visconti in questo film mostra chiaramente l’equivoco del cinema non più come mezzo per far sognare e alleviare la durezza della vita, ma come meta (il fare cinema) per cambiare la propria vita.
Di sequenze sul cinema, in Bellissima, ce ne sono almeno tre basilari.
La prima è collocata all’inizio dove una folla attende l’inizio delle audizioni per il casting del film di Blasetti (s’intitola Ieri, oggi, mai!). La seconda, collocata a metà film, mostra Maddalena e il marito Spartaco al cinema all’aperto, mentre vedono Il fiume rosso di Howard Hawks, e infine le sequenze del pre-finale, quelle ambientate a Cinecittà dove Maddalena e la bimba vengono umiliate.
Da sottolineare che se la prima e la terza sequenza rappresentano, con impietosa durezza, la macchina cinema, la seconda è quella più intrigante, perché Visconti ci mostra due diverse percezioni di cinema. Quella di Maddalena che vive la rappresentazione cinematografica come realtà, ignorandone gli aspetti illusionistici (per la donna la sospensione d’incredulità non termina col film, ma continua anche nella vita). Per rafforzare quest’immagine la macchina da presa (mdp) inquadra Maddalena stabilmente seduta, centrale rispetto allo schermo. L’immagine della donna completamente succube dell’illusione di realtà è rafforzata dal fatto che per tutta la sequenza si sventola con un fotoromanzo, un’altra fabbrica dei sogni, almeno in quel periodo. Al contrario Spartaco è conscio dell’aleatorietà della rappresentazione cinematografica, cerca di esorcizzare gli effetti illusionistici, ne sottolinea l’irrealtà e infatti la mdp lo inquadra in piedi e di profilo rispetto alle immagini.
Alla fine del film anche Maddalena prende le distanze dal mondo del cinema, quando rifiuta il contratto che i produttori le propongono per la figlia. Lo spazio in cui è ambientato quest’ultima scena è la cucina della casa di Maddalena. Visconti per sottolineare con più forza la scelta della donna che dopo essere stata rifiutata dal cinema è adesso lei stessa a rifiutarlo, ci mostra Maddalena che abbandona la cucina per andare in camera da letto.
È quindi un epilogo dove la narrazione pone l’accento sull’ineluttabile inconciliabilità dei due mondi rappresentati: quello di Maddalena e della sua famiglia e quello del cinema.
Concludiamo con una citazione di Lino Miccichè, secondo cui: «A ben rileggere Bellissima appare chiaro che il terzo lungometraggio di Visconti costituisce già quel “superamento” del neorealismo di cui il successivo Senso sarà la più alta ed evidente espressione» [3].
In appendice uno “storico” trailer del film proposto da “La settimana Incom”:
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Note
[1] – La trilogia neorealista di Visconti è formata, oltre che da Bellissima, da Ossessione (1943) e La terra trema (1948).
[2] – Il soggetto, che enumera tre stesure, la prima del 1942, è di Cesare Zavattini. La sceneggiatura finale, oltre che da Visconti, è firmata da Suso Cecchi D’Amico e Francesco Rosi.
[3] – Lino Miccichè, Visconti e il neorealismo. Ossessione, La terra trema, Bellissima, Marsilio, Venezia 1990, pag. 208.