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Il mio Mario Lanza. Il dolce Natale dei ponzesi in terra americana
di Emilio Iodice
La mia passione per Mario Lanza ha una precisa data di inizio: cominciò il 7 di ottobre 1959.
La nostra famiglia, come quelle di tanti altri immigrati dall’Italia, era numerosa ed estesa. Tre cugini vivevano con noi nel nostro appartamento a due piani a New York.
Uno di essi era un raffinato carpentiere, ma studiava anche storia, arte e musica. Gaetano amava l’opera.
Quel giorno venne a casa presto dal lavoro; era appena tornato dalla scuola. Quando passai davanti alla sua camera lo sentii piangere. Era molto addolorato.
Pensai ad un evento straziante, come la perdita di uno stretto familiare o di un amico.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e bussai alla sua porta. La aprì lentamente. Sedetti vicino a lui sul suo letto. Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime.
– Lui è morto – disse.
La sua voce era soffocata e profonda. Ero senza parole
Mi aspettavo che mi avrebbe detto di suo padre o della madre, o di un suo fratello; di qualcuno così stretto da meritare tanto dolore. Potevo vedere che i brividi lo scuotevano; stava tremando.
– Mario Lanza è morto – disse.
Ero confuso. Chi era questo amico, questa persona, questo nome?
– Era la voce più perfetta e il più grande artista di tutti i tempi – disse, trattenendo le lacrime.
– Era un cantante? – chiesi
– Era molto più di questo. Era il più grande tenore che abbia mai udito. Poteva cantare canzoni popolari, incidere dischi spettacolari, tenere magnifici concerti, avere un programma per radio, essere in televisione e fare anche dei film – esclamò. Non c’era nessuno come lui. Aveva superato Caruso, Gigli e tutti gli altri; era andato oltre il limite che altri tenori potevano solo sognare – disse Gaetano. Era inconsolabile.
Nella sua camera aveva un giradischi e una pila di dischi italiani. In cima c’era “Il grande Caruso”. In copertina c’era un giovane affascinante, in smoking, su un palco davanti ad un’orchestra. Gaetano prese l’album dalla pila e se lo tenne stretto al petto. Come se fosse una reliquia sacra. Con cura ne estrasse il disco e delicatamente lo appoggiò sul piatto. Fece partire l’apparecchio e appoggiò la puntina sul disco.
Ne sgorgò una musica come non avevo mai sentito prima. C’erano violini e una moltitudine di strumenti a corda. All’improvviso una voce riempì la stanza. Sembrava come se un’orchestra stesse suonando in essa. Era eccitante. Era forte, giovane e potente. Era melodica, traboccante di una musicalità morbida che mi ricordava le onde del mare per ritmo, potenza, delicatezza e perfezione.
Era la prima volta che ascoltavo Mario Lanza. Era “La Donna è mobile” da “Il grande Caruso”. Sentii venirmi la pelle d’oca sulle braccia e sulle gambe. Il viso mi si arrossò per la meraviglia
Nelle due ore successive Gaetano ed io ascoltammo un disco dopo l’altro.
Era difficile credere che la stessa persona che cantava “Celeste Aida” e “O Sole Mio” con quella intensità, potesse cambiare fino ad entrare nel mondo de “Il principe studente” con “Deep in My Heart Dear” e “Serenade” e veleggiare nelle alte sfere dell’amore con canzoni divertenti come “Love is the Sweetest Thing”, “My Romance”, “If I Loved You” e “Danny Boy”.
Ora capivo quel che Gaetano sentiva. Il mondo aveva perso qualcosa di speciale. Era un talento ricchissimo in grado di dare immenso piacere e gioia. Lanza aveva una voce che ispirava. Era calda ma potente. Era chiara e, se la perfezione esiste, era la cosa più vicina ad essere perfetta che un essere umano può raggiungere.
Fui preso da una fascinazione immediata. Dovevo saperne di più.
Nel teatro vicino casa nostra rappresentavano “For the First Time” [“Per la prima volta”; 1959, per la regia di Rudolph Maté – NdR]. Gaetano ed io andammo a vederlo. Durante tutto lo spettacolo sentivo la gente piangere. Il film era gioioso e Mario era al suo meglio. Non potevo credere che poco dopo la fine delle riprese egli sarebbe morto, a 38 anni. Era incredibile.
Da quel giorno e per sempre io divenni un ammiratore di Mario Lanza.
Nove mesi dopo la sua morte finivo le scuole primarie. Mi ero diplomato con onore. Mio padre mi disse che avrei potuto scegliere qualunque ragionevole regalo avessi desiderato. Si aspettava che chiedessi una bicicletta, o un’enciclopedia; entrambe cose che desideravo. Invece chiesi di visitare un negozio di dischi a Little Italy in Manhattan.
Era su Mulberry Street. Il negozio era pieno di migliaia di dischi. I più in vista erano i lavori di Mario Lanza. Erano dovunque. Come regalo volevo ascoltare Mario Lanza e Caruso. Lasciammo il negozio dopo un’ora. Avevo preso sei album di Lanza che spaziavano dall’opera al pop, alla musica religiosa, ai canti di Natale. La raccolta speciale “Caruso” includeva tre Lp con un centinaio delle sue migliori interpretazioni. Ero al settimo cielo.
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Qui da YouTube una compilation di canti di Natale e carole della durata di 50 minuti. E’ difficile fare una scelta. Un indice è riportato in coda al pezzo su Youtube. Uno dei brani più noti, Silent night, è al tempo 28′ e 20”.
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Nota della Redazione.
Il racconto della prima esperienza di Emilio con la voce di Mario Lanza è estratto da uno scritto più lungo che ci è stato recapitato in inglese e che abbiamo tradotto. Lo alleghiamo qui di seguito in file .pdf:
Knowing Mario for the first time
Sul sito
I link successivi riportano la presentazione del libro di Emilio Iodice su Mario Lanza (del 12 dicembre 2014):
A Kid From Philadelphia, Mario Lanza: The Voice of the Poets
“I sing with all my heart and soul. Each word is important. I sing as though my life depends on it. If ever I stop doing this, then I will certainly stop living” [Mario Lanza].
Il libro di Emilio Iodice su Mario Lanza (del 14 marzo 2015)
“L’ho conosciuto proprio il giorno della sua morte, ero un ragazzino e da lì è cominciato questo interesse profondo per studiare non solo la voce, ma la persona, il carattere” ha spiegato Emilio Iodice, autore del libro “A Kid From Philadelphia: Mario Lanza, The Voice of the Poets”.
Dopo avere studiato il “fenomeno” per cinque decenni, Emilio Iodice racconta il tenore Mario Lanza in un libro
di Riccardo Chioni – venerdì 13 marzo 2015