di Tonino Impagliazzo
Qualche tempo fa alcuni giornali della provincia riportarono la notizia di un premio assegnato da Ventotene a Renato Zero per i 5o anni della canzone “Il Cielo” che il cantante aveva scritto quando, appena diciassettenne, si trovava a trascorrere l’estate sull’isola.
L’ evento ha destato i ricordi di Tonino Impagliazzo che, all’epoca, quasi coetaneo di Renato Zero, faceva parte dell’entourage e del gruppo di giovani dell’isola che si accompagnavano al cantante già noto per le sue esibizioni al Piper di Roma.
Tonino ricostruisce, proponendolo in due parti, il clima di quegli anni e le circostanze in cui maturò la creazione della nota canzone.
la Redazione
Renato Zero (a torso nudo) e un’ amica
Renato Zero aveva iniziato l’attività artistica al “Piper di Roma” negli anni 1966/1967 dove si esibiva con brani musicali di chitarra e voce. L’occasione gli consentì di conoscere il “Conte Albert”, direttore Artistico del locale e maturò con lui una buona amicizia.
Il “Conte Albert“ (Marcello Balsamo), aveva scoperto l’isola di Ventotene alcuni anni prima (1962) e ogni anno vi ritornava nel mese di settembre. Sull’isola alloggiava a casa di Filomena e Raffaele Romano in Via Muraglione e tutti sapevano che quando si udivano grossi tuoni o temporali, egli si rifugiava, nonostante la matura età, nel letto matrimoniale di Filomena e Raffaele, come un tenero pargolo in cerca di protezione.
Era conosciuto sull’isola anche con il nomignolo di “Pipistrello”; si era diplomato al liceo Classico e abitava a Roma vicino Piazza Verdi, nello stesso stabile della famiglia Verdini di cui dirò più avanti, ed aveva partecipato con ruoli minori ad alcuni film di Federico Fellini.
Era uomo colto, raffinato, garbato e pieno di stravagante fantasia e trasmetteva agli altri l’amore geniale che nutriva verso un luogo ricco di fascino e di sapori autentici come Ventotene.
Famose le sue lunghe passeggiate nelle viuzze dell’isola, nella zona archeologica di Punta Eolo e quelle dei pomeriggi di settembre, quando sul calar del sole, si recava nella parte bassa di Parata Grande.
Arrivato lì, stendeva sull’ultimo gradino delle scale un grosso foulard di Valentino, vi sistemava sopra una piccola seggiola di legno e, guardando il mare lontano, iniziava a leggere e a recitare nel suo “meriggiare poetico”. Leggeva di Zeus, canterellava di Nettuno e dei poeti Greci e Romani, recitava di brani meravigliosi dell’Antica Grecia, di Leopardi e Manzoni, e poi… tanti racconti di viaggi fantasiosi mai realizzati, frutto della sua smisurata fantasia. In prossimità del tramonto poi, raccoglieva il variegato foulard di soffice tessuto, piegava la seggiolina, riponeva in un delizioso sacchetto di panno le ultime creme e si portava nel cortile della casa di zia Mimì dove lo attendeva un tavolo sempre pronto, posizionato sotto un grande albero di ficus, al riparo dal vento e dalla salsedine, presso il quale sostava per godersi insieme a Mrs. Margareth, una signora inglese dirigente della FAO in Roma, gli ultimi attimi di un giorno che voleva non terminasse mai. E così con la voce errante continuava a raccontare.
Altro personaggio importante di quell’epoca è Manfredo Verdini. Verdini era l’addetto stampa della Ceiad Columbia di Roma. Generoso e disponibile, uomo di compagnia e aperto al dialogo, a volte mi chiedeva di accompagnarlo nei suoi impegni di lavoro, cosa che facevo volentieri. Così capitò di andare da Liz Taylor e Richard Burton in albergo a Roma, in cima alla scalinata di Trinità dei Monti, per la sottoscrizione di un contratto di lavoro, oppure alla Stazione Centrale di Napoli, ad attendere Alberto Sordi, di ritorno da Capri dopo alcune partecipazioni artistiche.
Renato Zero, incuriosito e invogliato dall’amico Albert, venne a Ventotene nel 1967 e vi ritornò nel 1968, con la sorella Maria Pia Fiacchini (alloggiava in casa Balzano –in Piazzetta Posta) e l’amico Tommasino – sarto napoletano -, che alloggiava in camera separata presso “Candiduccia” Romano in Castagna alla Via Muraglione.
La forte sensibilità di cui Albert era dotato, consentì a Renato Zero di avvicinarsi alla natura vergine dell’isola, udire il fruscio delle canne, il sibilo del vento e di assaporare all’ imbrunire l’ultimo tepore di un sole che muore ed il silenzio della notte “nell’immenso firmamento del cielo” senza le luci del paese.
le sorelle Carla e Claudia Verdini, Renato Zero, Paolo De Feo
e, in primo piano, il piccolo Andrea Campanella
Nei primi due anni di soggiorno sull’isola, Renato si aggregò alla nostra compagnia. Il gruppo era composto dall’amico Albert, da Renato, dai ragazzi dell’isola desiderosi di provare nuove emozioni e dalla famiglia Verdini aggregatasi successivamente.
I componenti di quel gruppo erano, in particolare, i fratelli Armando e Roberto Ziccardi, Salvatore Martorano, fratello di Loredana, Paolo De Feo (nipote della zia Mimì), Michele Calano (nipote di Beniamino Verde), Osvaldo Castagna della pensione di Via Muraglione, mio fratello Leopoldo e io, Attilio Romano (di via Chiazzolella), Giovanni Coraggio detto “il capitano” e Manfredo Verdini.
Quest’ultimo incuriosito e incoraggiato dai racconti di Albert, aveva deciso di conoscere l’isola con la famiglia e vi era giunto per la prima volta nel settembre del 1967 con le figlie Carla e Claudia, la nipote Susanna, Enzo Campanella, Andrea Campanella e gli amici Matteo e Francone.
Il piccolo Andrea Campanella sugli scogli del faro
Il gruppo così composto coordinava e realizzava diverse iniziative ed in particolare: raduni, escursioni diurne e notturne e piccole feste sull’isola di Santo Stefano; percorsi notturni nella zona archeologica di Punta Eolo e di Villa Stefania, con la dotazione di “lanterne a petrolio” per scovare antichi reperti e per vivere nuove emozioni; piccole feste in maschera o con personaggi decorati, pranzi a base di pesce locale pregiato cucinato dal gruppo e servito in alcune abitazioni dislocate nelle diverse viuzze dell’isola; serate in musica sugli “scogli del Faro” a raccontare di stelle luminose “del firmamento ” o intercalando il ritmo della musica con qualche prodotto locale arrostito alla brace.
foto di gruppo
In quegli anni sull’isola, la presenza di Albert con il suo modo di essere, le sue passeggiate stravaganti e le sue riflessioni su un territorio intriso di cultura, ebbe a trasmettere ai cittadini, ai giovani dell’isola, agli ospiti e al “gruppo“, la consapevolezza di appartenere ad un territorio magico.
Aiutò a far crescere molti di noi, nella capacità di associare, con garbo e saggezza, al vivere quotidiano il mito antico della poesia, della storia, della cultura e dei sapori forti che ogni territorio seppur piccolo può donare.
E fu lui, in quegli anni, a saper rinvigorire in ciascuno di noi, figli dell’Illuminismo, l’interesse deciso e motivato verso luoghi piccoli ma ricchi di storia e valori inestimabili.
[Renato Zero a Ventotene (prima parte) – continua]