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Era da tempo che non riemergeva questa “antica” questione che, purtroppo, anche di recente ha generato problemi più che culturali, amministrativi.
Conosco da molti anni il dott. Pier Giacomo Sottoriva e per esperienza diretta so bene quanto ha fatto, non solo per le nostre isole, ma per tutta la provincia. Tuttavia sulla questione della toponomastica non mi ha mai trovato d’accordo per una serie di motivi che intendo esporre con serenità, ferma restando la mia sincera stima per la persona e per l’uomo di cultura qual è.
Va necessariamente premesso che la toponomastica ha un peso fondamentale nella ricostruzione storica non solo dei luoghi, ma anche delle vicende, essa infatti rientra tra le fonti basilari della stessa importanza di un documento di archivio o di un reperto archeologico. Grazie ai nomi dei luoghi si sono individuati siti archeologici oramai persi, come per esempio la città di Troia, le fonti di Cuma, oppure le antiche città di Ercolano e Pompei. Infatti i nomi dei luoghi spesso sono la sintesi di secoli di vicende e si tramandano senza mediazioni attraverso la memoria storica degli abitanti.
Il nome del nostro arcipelago si perde nel tempo. La tesi storica – in questi ultimi tempi la più accreditata – è che il nome delle nostre isole non deriverebbe dal greco, ma dall’arabo “buu-nssà” (بعيدا عن الساحل = terre lontane dalla costa) che poi, a seguito di modifiche semantiche spontanee, si è stabilizzato in Ponza, dando il nome a tutto il “gruppo delle isole Ponziane” come lo definisce il Tricoli nella sua “Monografia per le isole del Gruppo Ponziano”.
La storia ci insegna che, di norma, sono i forti sconvolgimenti socio-politici oppure radicate e condivise decisioni popolari a mutare la toponomastica, non certo le iniziative o le tesi di singoli, seppure in buona fede.
Ciò detto, quando è stata la prima volta che le nostre isole sono state chiamate Pontine invece che Ponziane? Quale il vero motivo di tale neologismo? Quale, quindi, lo sconvolgimento politico oppure quali sono state le decisioni condivise ed approvate dalle comunità isolane che lo hanno generato? Ed infine, questo modo nuovo di chiamare l’Arcipelago Ponziano è stato ratificato dagli organi amministrativi preposti? Andiamo per ordine.
Il fascismo aveva la necessità politica di mostrare la sua grandezza, anche inventando nuove città e nuove province. Littoria, fondata su un terreno totalmente bonificato, doveva essere l’esempio per tutte, ma, a parte la palude pontina prosciugata, non aveva territorio, pertanto occorreva ricavare verso nord e, soprattutto, verso sud (a nord c’era l’intoccabile Roma) la sua giurisdizione amministrativa.
Nell’urgenza politica di realizzare a tutti i costi la nuova provincia – fascista per eccellenza , anche a danno della storia e della cultura di un territorio ultra-millenario , furono strappate dalla loro origine storico-territoriale Fondi, Sperlonga, Lenola, Itri e soprattutto Gaeta, Formia, Minturno, Castelforte e Santi Cosma e Damiano.
A dir poco gravissimo fu, inoltre, l’aver inserito in un tale scellerato disegno geopolitico anche le isole Ponziane, di cultura, tradizioni e lingua profondamente campane.
Fu una vera e propria violenza identitaria che, seppur perpetrata nel corso degli anni, di fatto non fu mai accettata dagli isolani. Addirittura si arrivò a tagliare definitivamente i collegamenti marittimi con Napoli ed, infine ma di recente, anche quelli invernali tra le isole di Ponza e Ventotene, pur di far dimenticare agli isolani dell’arcipelago Ponziano le loro comuni origini. Si è giunti finanche a dividerli negli stessi interessi perché, come insegnava uno storico locale, “le isole unite spaventano”.
Per allontanare definitivamente gli isolani dalla storia del loro territorio, l’allora MINCULPOP (Ministero fascista per la Cultura Popolare) pensò bene di mutare anche il nome dell’arcipelago da Ponziano in Pontino e ciò non solo per staccarlo dalla Campania, ma per meglio collegarlo al disegno fascista della “terra pontina redenta dal fango per un futuro di speme e di potenza”.
Per le nostre isole fu questo lo sconvolgimento storico-politico che ne mutò il nome e la regione di appartenenza. Fortunatamente un provvedimento fascista aleatorio e parziale, che almeno nella denominazione non trovò alcuna ratificazione amministrativa né allora e né dopo.
Pertanto, definire inappropriato il neologismo “isole Pontine” non è “pignoleria campanilistica”, ma rispetto per la storia che, viste certe premesse, va maneggiata con molta cura. Infatti le ragioni di un rifiuto politico del nome “Isole Pontine” ci sono tutte, così com’è stato per quello di Littoria.
Tuttavia è negli anni ’60 del Novecento, quando si facevano i primi passi nel turismo, che Ponza diventò “la perla di Roma” e, nello stesso tempo, veniva identificata come “l’isola pontina”. Tale duplice definizione fu coniata più che altro per dargli una connotazione prettamente laziale, in contrapposizione e vanto rispetto alle isole campane.
Intanto Ventotene subiva il ritardo nella nascente economia dei “bagnanti estivi” soprattutto per il marchio di “isola carcere” che si portava addosso per la scomoda presenza del vicino ergastolo di Santo Stefano.
Chiuso il carcere, la prima vera reazione – a quell’inaccettabile ritardo accumulato nel decollo dell’economia turistica che vedeva l’isola di Ventotene ansimare economicamente e sempre troppo subordinata per fama e grandezza a Ponza -, fu quella del grande sindaco Beniamino Verde.
Conoscendolo bene, tutt’altro che fascista, quella sua delibera di proposta di cambiamento del nome dell’arcipelago in “isole Pontine” fu più una provocazione che il frutto di un vero e proprio convincimento storico-sociale.
Provocazione alla quale Ponza puntualmente non rispose, non tanto per strategia politica o campanilismo, ma per indolenza, la solita.
Ed anche questa volta tutto restò immutato.
In conclusione mi piace far notare che nella componente ventotenese della mia famiglia, fusione tra le due comunità isolane di Ponza e di Ventotene, non vi è mai stato alcun risentimento l’appartenere alle isole Ponziane. Inoltre, l’associazione di Protezione Civile operante su tutte e sei le isole, alla quale aderiscono, oltre ai ponzesi, ben 14 volontari ventotenesi residenti, è registrata come Protezione Civile Isole Ponziane e di questo nome sono tutti orgogliosissimi.
A margine di questo scritto, voglio dare una notizia che dimostra che la questione da me criticamente affrontata è perfettamente “in linea con i tempi” e tutt’altro che scontata.
Probabilmente alimentato dai continui disagi dovuti ad una gestione politica regionale “distratta”, sia a Ventotene che a Ponza si sta sviluppando un “comitato spontaneo” per il transito (ritorno) in Campania dell’Arcipelago delle isole Ponziane. A dire dei promotori, non solo sarebbe un legittimo ritorno alle origini storico-culturali stravolte dal fascismo ma, osservando da come sono tenute in considerazione le isole campane e da come funzionano i servizi primari (acqua, luce, gas e rifiuti urbani) ed i mezzi di collegamento marittimi a Ischia, Procida e Capri, sono convinti che ne gioverebbe l’intera economia isolana con un prevedibile, conseguente ripopolamento.
Altro che isole pontine! Con tali presupposti, gli appartenenti al “Comitato Ponziano” (non comitato ponzese) dimostrano, dati alla mano, che nelle isole Ponziane “si stava meglio quando si stava peggio”.
Ma questa è un’altra storia.
La Redazione
26 Settembre 2019 at 12:13
La Redazione tutta concorda con la posizione di Alessandro Romano sulla dizione “Ponziano” da attribuire al ns. arcipelago e la utilizzerà di prassi – negli scritti che compariranno sul sito – come del resto ha sempre fatto in passato.
vincenzo
26 Settembre 2019 at 22:00
Ma da quest’anno c’è una novità: il progetto il mare di Circe ha aggiunto una nuova isola all’arcipelago che lo fanno diventare più Pontino.
Silverio Guarino
26 Settembre 2019 at 23:18
Per completare l’argomento e ricordando che di “pontino” nelle isole Ponziane non c’è proprio nulla, è opportuno aggiungere che mentre la Redazione di Ponzaracconta si è riferita alla parola scritta, nella parola parlata, bisogna assolutamente ricordare che nelle parole “Ponza” e “Ponziane”, la lettera “o” deve essere pronunciata rigorosamente bella larga e la consonante “zeta” deve essere pronunciata rigorosamente bella “dura”, così come ha tenuto a sottolineare ed a precisare Silverio Mazzella, in occasione dell’incontro-disputa tenutosi a “Il Brigantino”.
Tonalità e suoni di una parlata partenopea, come le nostre origini campane e il nostro DNA.
Umberto Prudente
28 Settembre 2019 at 16:38
Mi inserisco nel dibattito sull’esatta denominazione del nostro arcipelago, iniziato dall’articolo su Ponza Racconta del 21 settembre scorso.
Nell’articolo Piergiorgio Sottoriva, notissimo frequentatore di Ponza ed amico di mio padre Ernesto (a tal proposito ringrazio per le belle parole scritte in occasione dell’anniversario della sua morte, che integrerò, nella sede idonea, con le ultime notizie in merito), esponeva le sue considerazioni per affermare che è giusta la definizione di “Arcipelago pontino”.
Nel mio piccolo volevo riferire (con spirito profetico?), di una mail che, il 16 settembre, ho inviato ad un noto giornalista, molto amico di Ernesto, tanto amico che arrivò a Ponza il giorno prima delle esequie.
Al giornalista, noto editorialista, di quotidiano a tiratura nazionale e di trasmissioni televisive, notissimo per avere lingua e penna molto ma molto taglienti, nel rispondere ad un video su Ponza, che aveva realizzato, scrivevo:
…Ernesto, ti avrebbe “cazziato” perché nel titolo scrivi ‘Arcipelago Pontino’. Ernesto ha sempre parlato di Arcipelago Ponziano. Per lui le zone pontine erano le terre intorno a Latina, e noi, storicamente, non abbiamo niente a che fare con quelle zone.
Dall’ultima ripopolazione dell’isola, i nostri legami di sangue e politici sono stati con la Campania, in particolare, come nuclei familiari, Ischia e Torre del Greco.
Per meri motivi politici, rimpolpare la neonata provincia di Littoria, poi Latina, ci hanno accorpati ad essa, prima siamo stati sotto giurisdizione di Napoli e Terra di Lavoro, attuale Caserta.
Ma le nostre radici storiche e culturali sono campane”.
Concordo con mio padre “zio Ernesto”, non perché figlio, ma da appassionato di storia, il cui studio permette di capire le culture, le tradizioni, i culti, i flussi, gli spostamenti che hanno permesso le integrazioni delle popolazioni nel corso dei secoli.
Grazie e saluti
Umberto Prudente