di Sandro Vitiello
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Questa domenica in settembre non sarebbe pesata così,
l’estate finiva più “nature”, vent’anni fa o giù di lì…
“Eskimo” è una canzone scritta da Francesco Guccini e pubblicata nel 1978 all’interno del suo ottavo album: “Amerigo”.
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Per i più giovani spieghiamo che l’eskimo era un giaccone con cappuccio di colore verde scuro e con una finta pelliccia dentro. Che teneva molto caldo. Era la divisa d’ordinanza dei giovani rivoluzionari di casa nostra, nel sessantotto e negli anni successivi.
Divenne tale perché costava poco.
Guccini non aveva scelto un eskimo per fare il rivoluzionario.
L’aveva scelto perché costava poco e teneva caldo, con quella finta pelliccia che lo imbottiva.
Portavo allora un eskimo innocente
dettato solo dalla povertà
non era la rivolta permanente
diciamo che non c’era e tanto fa
Sì, forse rivoluzionario lo era Guccini, ma a modo suo.
Infatti i fiori della prima volta
non c’erano già più nel sessantotto
scoppiava finalmente la rivolta
oppure in qualche modo mi ero rotto
Tu li aspettavi ancora ma io già urlavo che
Dio era morto, a monte, ma però
contro il sistema anch’io mi ribellavo
cioè, sognando Dylan e i provos
Lui non leggeva i sacri testi ma a pelle, prima che fare i rivoluzionari diventasse una regola di vita per tanti giovani, lui stava dalla parte di quelli che non la vedevano giusta.
Se però cerchiamo in questa canzone analisi di un periodo storico o cose simili sbagliamo di grosso.
Eskimo è un inno alla nostalgia per quel tempo passato in cui la passione per i piaceri della vita viene raccontata senza girarci intorno.
Il sesso, quello che domina i pensieri degli anni giovani, viene raccontato con linguaggio scanzonato, con la voglia di domandarsi se era meglio allora, quando lo si faceva nelle stanze fredde a casa di qualche amico o in piedi chissadove.
Forse ci consolava far l’amore
ma precari in quel senso si era già
un buco da un amico, un letto a ore
su cui passava tutta la città
L’amore fatto alla boia d’un Giuda
e al freddo in quella stanza di altri e spoglia
vederti o non vederti tutta nuda
era un fatto di clima e non di voglia
Ma la nostalgia è anche per l’amore verso la sua compagna che sta scappando via tra le dita come fosse sabbia.
Questo amore che aveva portato lei, bella, elegante e con qualche soldo in tasca ad innamorarsi di lui che possedeva solo un eskimo e niente soldi, manco per vedere un film.
…perché mi amavi non l’ho mai capito, così diverso da quei tuoi cliché
perché fra i tanti, bella, che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me.
Guccini ci racconta la malinconia nell’andare al ricordo di quegli anni della sua giovinezza e pensa soprattutto all’incoscienza dei venti anni.
A quell’età in cui tutto è possibile perché in testa non c’è ancora granché, ed è meglio così.
Ma lui rivendica con orgoglio quelle scelte di gioventù perché ci era arrivato
…per scelta e non per contrarietà.
Tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent’anni fa…
E poi finisce prendendo atto che il tempo passato è passato e quell’amore ormai si è perso insieme agli anni della gioventù
Ed io ti canterò questa canzone
uguale a tante che già ti cantai
ignorala come hai ignorato le altre
e poi saran le ultime oramai
Comunque rimane una gran bella canzone.
Perché Guccini è bravo a mettere in fila le parole, è bravo a cercare quegli angoli dell’anima dove si conservano emozioni che ad alcuni sembrano vita passata ma che invece ce le portiamo dietro tutta la vita come un prezioso bagaglio da cui non possiamo separarci.
Quelle che possono sembrare debolezze, quei momenti che ti sembrano lontani, appartenuti ad altra epoca, sono tutti mattoncini che tengono in piedi la tua vita oggi.
Perché il nostro passato ci appartiene e questa canzone ce lo ricorda.
Nota della Redazione
Segnaliamo altre canzoni di Francesco Guccini proposte sul sito:
Ultima Thule, da Sandro Russo (2013)
Vorrei, da Vincenzo Ambrosino (2015)
Sandro Russo
22 Settembre 2019 at 23:08
Grazie a Sandro Vitiello per questa sua proposta che ci riporta a guardare diversi decenni nel passato. Ma anche e soprattutto grande Guccini efficace nel “rievocare” quel tempo, con i suoi versi fluidi che naturalmente si sposano ad un ritornello semplice, ripetitivo
Sembra parlare a tutti questa canzone, della gioventù e dei primi amori, degli ideali confusi ma irruenti dei vent’anni.
Ma è una composizione del 1978, e anche se genericamente sembra un ricordo degli anni intorno al ’68 (con quel che ha significato questa data nell’immaginario generazionale) rievoca gli anni giovanili di Guccini (che è nato nel 1940).
Ricordi di vent’anni o giù di lì, quindi si arriva al ’58, -’60, quando lui aveva diciotto, vent’anni.
Da questo a farla diventare il ricordo di tutti, quasi di una generazione, è una magia che a pochi riesce.
Proviamo a riascoltarla allora con queste coordinate temporali in mente e la troveremo ancora più geniale.
A cosa ci riporta? In 14 quartine (56 righe) dice tutto di noi (o ciascuno ci ritroverà un poco di quel che era), con tenerezza e una nostalgia lieve.
È la caratteristica secondo me più affascinante di Guccini che senza essere un cantautore “politico” è di solito tanto aderente al tempo in cui vive da registrarne umori e atmosfere. In questa canzone – molto centrata sugli amori e sul sesso – “ci protegge” peraltro dai ricordi più brutti di quel periodo (le morti, il terrorismo: quelli che vennero chiamati “gli anni di piombo”) e neanche registra l’inizio di quella piaga che distrusse “la meglio gioventù” del tempo: l’immmissione (forse pilotata) dell’eroina sul mercato delle droghe.