di Franco Zecca
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Credo che ormai chi legge i miei post su Ponzaracconta avrà capito che la maggior parte di essi scaturiscono da ricordi che inevitabilmente toccano episodi della mia vita, ambientati sull’amata isola. Così anche questo che sto per scrivere.
L’input mi è venuto dalla “canzone della domenica” del 4 agosto scorso, dove si citano Battisti e l’Equipe 84 (leggi qui).
Mi sono trovato a canticchiare sotto la doccia, sorprendendomi io stesso, il brano “29 settembre” e poi ne ho scritto il mio personale ricordo.
Il testo a molti è sembrato essere la cronistoria di un tradimento, con i conseguenti sensi di colpa e il successivo pentimento; per altri invece è la narrazione di un sogno da parte di un uomo innamorato che sta per raggiungere la propria amata.
E così l’ho sentita io, questa canzone, quel 20 giugno 1971, giorno in cui lasciavo definitivamente Ponza per raggiungere il mio amore e sposarla. L’evento sarebbe poi avvenuto il 4 ottobre.
Mentre sull’isola c’erano i festeggiamenti per il Santo Patrono, io mi imbarcavo sulla “Freccia del Sud” verso il continente e con me avevo una radio portatile, una vecchia “Dumont” a transistor con involucro in cuoio, da cui usciva, proprio nel momento del distacco dal molo, la canzone di cui parlavo prima. Che, date le circostanze, mi si è infissa nella memoria.
Nel risentirla dopo tanti anni, non ho potuto fare a meno di ricordare che nel gruppo di amici che si dilettavano a canticchiare nelle sere d’estate, io ero quello che accennava il pezzo in falsetto o anche in controcanto.
La canzone, ora, sottoposta alle mie considerazioni ed agganciata al ricordo, mi fa opportunamente pensare che andar via da Ponza avrebbe cambiato il mio futuro; avrebbe coronato il mio sogno di formare una famiglia e mi avrebbe fatto abbandonare quella vita fatta di spensieratezza ed allegria con il gruppo di amici, la cui frequentazione si sarebbe rallentata per far posto ad un’altra vita.
Una vita che è passata velocemente.
Ecco: “29 settembre” per me è stato come un ponte per il passaggio da una vita all’altra.
Il pezzo musicale è ritenuto una composizione del genere definito “rock psichedelico” a differenza del lato “B” del 45 giri che riproduceva un brano pop-melodico “E’ dall’amore che nasce l’uomo” – più impegnativa – in linea però con le nuove tendenze della musica internazionale, molto meno conosciuta, ma comunque bella e significativa.
Mi fa piacere ricordarle entrambe, per gli affezionati lettori/ascoltatori di questa rubrica della domenica:
Qui da YouTube, 29 settembre (1966; Mogol – Battisti):
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Equipe 84 – È dall’amore che nasce l’uomo (1967; M. Vandelli)
Le nubi che sono nel cielo
sono le stesse nubi di una volta.
i fiori che sono nei prati
da quando esiste il mondo sono nati
e gli occhi tuoi,
che ora mi guardano
sono profondi grandi occhi di bimba
che vuol saper cos’è la vita,
che vuol sapere cos’è questo mondo.
È dall’amore che nasce l’uomo
e dalla terra matura il grano,
non c’è altro tra le mie mani
il nostro tempo che è nato ieri
è già lontano sull’orizzonte
e non tornerà,
e non tornerà
e non tornerà, e non tornerà.
La pioggia che bagna il tuo viso
bagna da secoli la nostra terra.
il sole che è nel tuo sorriso
splendeva già quando nasceva il mondo
e gli occhi tuoi che ora mi guardano
sono gli stessi grandi occhi di bimba
che vuol sapere cos’è la vita,
che vuol sapere cos’è questo mondo.
È dall’amore che nasce l’uomo
e dalla terra matura il grano,
non c’è altro tra le mie mani
il nostro tempo che è nato ieri
è già lontano sull’orizzonte
e non tornerà,
e non tornerà
e non tornerà, e non tornerà.
E’ dall’amore che nasce l’uomo
e dalla terra matura il grano,
non c’è altro tra le mie mani
il nostro tempo che è nato ieri
è già lontano sull’orizzonte
e non tornerà,
e non tornerà.
e non tornerà,
e non tornerà.
Equipe 84: una copertina