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I giovani scrivono
“Essere consapevoli che la somma degli egoismi non può determinare una società di donne e uomini liberi. Di donne e uomini capaci di prendersi cura del proprio corpo: condizione essenziale per prendersi cura del corpo sociale e dell’ambiente.”
Questa la frase di Lucia proposta quale tema del Premio “Lucia Mastrodomenico” Sezione Letteraria 2019.
I testi dei vincitori del primo premio: dopo aver presentato lo scritto di Marina Russo, del liceo Mazzini (leggi qui), ecco quello di Pier Luigi Minale, del liceo Vico.
Egoismi
Con il termine “egoismo” si intende la subordinazione costante delle altrui esigenze alle proprie, l’esclusione del prossimo dal godimento dei propri beni e, in definitiva, la cura esclusiva dell’interesse personale.
Carlo Emilio Gadda riteneva vi fosse un’inscindibile correlazione tra i due concetti di “consumo del prossimo” ed “egoismo”. Egli riconduceva la ricerca spasmodica del proprio tornaconto al bisogno primordiale di procurarsi la maggiore quantità possibile di cibo, ritenendo si trattasse pertanto di un “impulso istintivo” e di uno “stato biopsichico consueto e diffuso”. Diverso, e sicuramente più benevolo, è il significato di “amor proprio”, cioè, in senso lato, cura di sé. Questa espressione, infatti, si traduce essenzialmente nel rispetto della condizione umana, nella protezione e rivendicazione della propria dignità. In assenza di tali presupposti, l’uomo ritorna allo stato primordiale. Da qui il celebre interrogativo di Primo Levi: “È questo un uomo?”, riferito agli internati del campo di concentramento di Auschwitz.
Già Aristotele aveva elaborato una distinzione tra due categorie di egoismo.
La prima, che rispecchia l’accezione negativa del termine che oggi conosciamo, riguarda l’amore per ciò che è terreno. In particolare, il filosofo considerava questo atteggiamento biasimevole e proprio del volgo, attirato unicamente dalla prospettiva di accumulo dei beni materiali.
Il tema dell’affezione morbosa verso i propri averi è ripreso più recentemente da Giovanni Verga nella novella “La roba”, laddove il bracciante Mazzarò, in fin di vita, non riesce ad accettare che, morendo, dovrà abbandonare definitivamente ciò che gli appartiene. Emblematica ed inquietante è la frase da questi pronunciata: “Roba mia, vienitene con me!”.
La presenza di siffatti egoismi non può che rivelarsi deleteria per qualsiasi comunità. Nel momento in cui un individuo opera incondizionatamente ed esclusivamente in nome del proprio solo guadagno, le conseguenze sono disastrose. Si pensi a tal proposito alla piaga della “Terra dei Fuochi”, agli interessi sottostanti allo smaltimento illegale dei rifiuti e, in questo contesto, al perseguimento becero e miope di un disegno criminale che ha portato all’avvelenamento della stessa terra in cui vive colui che ha lucrato senza riserve sulla salute della popolazione locale ed ha finito per arrecare danni immediati ed irreversibili finanche alla sua discendenza.
Tornando ad Aristotele, la seconda categoria di egoismo individuata caratterizza gli uomini saggi e nobili (di spirito) ed è attribuibile ad essa l’accezione positiva appartenente al concetto di “amor proprio”.
Il filosofo greco considerava inesatto non annoverare tra gli egoisti anche coloro che si dedicano al perfezionamento individuale ed alla ricerca della “virtù”. Tuttavia, nella sua visione, l’uomo virtuoso è intriso dei più alti valori di giustizia e solidarietà. Il suo comportamento, quindi, illuminato dalla ragione, favorisce il progresso dell’intera società.
D’altronde, il fallimento storico dell’ideale socialista, in cui l’interesse del singolo è azzerato al cospetto dell’interesse collettivo, dimostra nei fatti come in assenza di ambizione personale il bene sociale sia irrealizzabile.
Nella realtà odierna, però, la tesi aristotelica che, opportunamente attualizzata, potrebbe spiegare come il perseguimento ambizioso di un miglioramento individuale possa promuovere lo sviluppo sociale, non trova sempre un riscontro effettivo, in quanto l’egoismo “negativo” tende spesso a prevalere.
Inoltre, l’avvento della globalizzazione, unitamente allo sviluppo ed alla diffusione delle moderne tecnologie, ha determinato una modifica sostanziale delle relazioni interpersonali ed un loro conseguente impoverimento a livello qualitativo.
A tal proposito, il sociologo polacco Zygmunt Bauman ha teorizzato il concetto di “società liquida”: una dimensione nella quale l’individuo si è allontanato da una comunità che lo rassicuri. In assenza di partecipazione alla vita sociale, qualsiasi atteggiamento individuale, seppur “virtuoso”, poco potrà contribuire al bene collettivo.
La perdita di certezze derivante dall’isolamento conduce, inoltre, gli uomini a cercare possibili alternative e a rifugiarsi, in definitiva, nel più sfrenato consumismo e tale atteggiamento delle masse risulta dannoso per l’ambiente. Infatti, il consumo bulimico del non necessario immette in natura una gran quantità di scorie inquinanti.
Obiettivo comune delle nuove generazioni dovrà, quindi, essere la conciliazione tra ciò che scaturisce dall’applicazione delle tecnologie sempre più innovative e dalla globalizzazione con il rafforzamento di una comunità capace di integrare le iniziative individuali in una prospettiva collettiva.
Pier Luigi Minale