di Pasquale Scarpati
Continuazione dalla puntata precedente (5) (leggi qui)
La sollevazione
Mentre parlavo strappò un filo d’erba e con quello si mise a giochicchiare nervosamente, annuiva. A me, però, sembrava già assorto in altri pensieri; così non appena io ebbi terminato:
– Teramo – proseguì – fu la prima città del regno dove venne innalzato l’albero della libertà (*) e fu la prima a subire le requisizioni e le violenze di una rapace e feroce soldatesca; ma fu anche la prima città a ritornare sotto l’autorità regia per le masse insorgenti guidate negli Abruzzi da Giuseppe Costantini detto Sciabolone e da Giuseppe Pronio.
Nota della Redazione – A scrivere dell’Albero della Libertà sul sito è stato Franco De Luca: leggi qui e qui
Analogamente dal Circeo la scintilla si propagò a Terracina e quindi nella Terra di Lavoro dove al posto dell’albero della libertà fu innalzata la Croce.
Ma poiché gli insorti avevano scarsa propensione ad allontanarsi dal proprio paese furono facilmente repressi. Un dispaccio, tra l’altro, diceva: “Chi osa impugnare le armi in difesa del proprio paese è un brigante e come tale non merita il perdono”.
Hai capito bene!? Diviene brigante chi difende il proprio Paese!
Diverrebbe pertanto “eroe” chi si sottomette ed accetta passivamente tutto ciò che “viene calato dall’alto”.
– Come si può definire chi non difende la propria Patria? – chiesi.
Sussurriamo all’unisono: – “Felloni!” – Sorridiamo.
– In questo contesto Fra’ Diavolo superato il trauma della sorpresa del forte S. Andrea e della caduta di Gaeta, decise di agire pur essendo rimasto con soli 24 uomini.
Il 7 gennaio del 1799, grazie alla partecipazione popolare, il Pezza sferrò un attacco alla guarnigione di Itri, liberandola e riuscendo a catturare un generale ed un colonnello che inviò a Napoli. Ma il generale Pignatelli li liberò. I francesi, però, non agiranno allo stesso modo con lui… – sospirò.
– Intanto i francesi del generale Rey passarono alla controffensiva e le popolazioni di Sessa, Castellonorato, Fondi, Castelforte furono passate per le armi. Il 16 gennaio anche Itri venne di nuovo messa a ferro e a fuoco e tra gli altri fu ucciso anche il padre di Fra’ Diavolo: Francesco Pezza. Il suo corpo fu recuperato e sepolto degnamente. Fra’ Diavolo fu costretto alla fuga.
Negli ultimi giorni di febbraio del 1799 e nei primi giorni di marzo Fra’ Diavolo riuscì a radunare ben 1700 uomini facendo leva sul proclama del Re. La sua autorità derivava pertanto direttamente dal Re e dall’investitura popolare. A suo favore giocava inoltre la chiave strategica della difesa del confine, così come aveva intuito il re Carlo III.
Fra’ Diavolo tagliò il ponte sul Garigliano (non esisteva ancora quello in ferro fatto costruire da re Ferdinando II – NdA) ed occupò Traetto (Minturno), ma venne cacciato. A fine aprile si attestò a Castelforte, invano attaccata dai francesi.
Vedendo che questi si erano indeboliti decise di attaccare con due colonne: la prima marciò su Itri e Gaeta, la seconda su Traetto al comando dell’ex fuciliere di montagna Antonio Guisa. Ma questi ultimi furono sconfitti: ebbero 60 morti e tra loro anche il Guisa”.
L’uomo degli inglesi e l’assedio di Gaeta del 1799
“Fra’ Diavolo continuava a dare fastidio alle comunicazioni degli occupanti (brigante o partigiano?). Il generale Macdonald che aveva sostituito Championnet si lamentava della precaria situazione delle comunicazioni con Roma, frequentemente interrotte.
– Occorrono – scriveva – spesso numerose scorte ed anche dei cannoni per passare da Mola di Gaeta, Fondi fino a Terracina.
Così la legione polacca, rinforzata da due mezze brigate francesi era sempre in movimento nella zona, impegnata da ogni parte ed era soprattutto obbligata a mantenere forti guarnigioni a Capua e a Gaeta.
Intanto gli inglesi approdarono a Procida. Il Pezza si presentò all’ammiraglio Thomas Trowbridge comandante della squadra navale inglese che lo accolse con deferenza sulla nave Culloden.
Il capomassa chiese ed ottenne due cannoni e munizioni, per cui si ritirò a Maranola dove stabilì il suo quartier generale. Colà aveva ben mille uomini a disposizione ed altrettanti erano a difesa di Itri e dei confini. – Ahò! Ma che razza ’i brigante era? Iss’ tenev’ chiu’ ggent’ d’i surdate che stevene là.
Riuscì a catturare numerosi convogli militari ed a fermare diversi corrieri che portavano lettere di interesse militare che il capomassa spediva con solerzia al commodoro inglese, e di conseguenza a Palermo dove si era rifugiato il re. Per tali servigi l’ammiraglio inglese soleva dire: – Questo Diavolo è un grande Angelo per noi.
Tutta la popolazione lo appoggiava ed anche la regina Maria Carolina lo definiva “un’anima onesta e brava”.
Nei primi di luglio dell’anno 1799 si pose l’assedio di Gaeta e Fra’ Diavolo ne fu riconosciuto comandante e la sua Massa fu considerata un corpo di truppe regolari.
– ’Nu’ “brigante” che cumman’ ’i trupp’ regolare!? Cos’ ’e pazz!
Il generale Macdonald il 29 fiorile (18 maggio) aveva compiuto un’ispezione alla Fortezza ed aveva notato che la guarnigione era molto debole. Per questo fece entrare nella Piazza due battaglioni della settima mezza brigata di fanteria leggera, un battaglione dell’ottava mezza brigata leggera ed altri pochi elementi ( 40 cannonieri, una compagnia di zappatori). Per questo la forza nominale della guarnigione salì a 1.909 uomini. Ma la forza effettiva non superava il 1.500 uomini. Il generale comandò di dotare la Piazza di ogni mezzo; difettavano, però: carne, vino, scarpe, abiti ed il legno per gli affusti. Si volevano abbattere le case del borgo e furono requisiti generi alimentari ai danni della popolazione civile di Mola e Castellone.
Intanto gli inglesi si avvicinavano sottocosta, tagliando le comunicazioni marittime con Napoli. I “briganti- regolari” tagliarono il ponte sul Garigliano interrompendo le comunicazioni con Capua. Si voleva prendere Gaeta per fame.
La sera del 15 giugno giunse una barca da Napoli ed i marinai annunciarono che la città era caduta in mano alle truppe reali ma gli stessi furono arrestati e fu loro vietato di comunicare tale evento. Ma il 20 la stessa notizia fu riportata dei pescatori del Borgo.
Il 26 giugno gli insorgenti con a capo Fra’ Diavolo ebbero l’ordine da parte degli inglesi di attaccare.
Così il 27 all’alba, al suono dei tamburi, gli insorgenti si stabilirono a due miglia da Gaeta, occuparono una torre, piazzarono due pezzi di artiglieria e costruirono un trinceramento: – Guaglio’ chill’ sì che era ’nu schieramento! Tuttuquante se devene ’a fa’!
Nel pomeriggio un parlamentare britannico chiese la resa della Piazzaforte ma fu respinta. Anzi il giorno dopo (il 28) vi fu una sortita da parte dei francesi e gli insorgenti ebbero gravi perdite così anche il 29 dello stesso mese mentre una barca da Napoli scaricava i rifornimenti.
Giorno 30 giunsero a Mola di Gaeta due galere con la bandiera reale borbonica. Sbarcarono altre truppe regolari e “camiciotti” siciliani.
Il 2 luglio, però, il ruolo indiscusso di Fra’ Diavolo come comandante dell’assedio fu messo in discussione da una lettera del cardinale Ruffo che gli ordinava di dipendere dal comandante della flottiglia: Emanuele Lettieri.
Il 4 luglio giunsero 21 bastimenti, tra cui 8 barche cannoniere e 2 mezze galere. Il 5 luglio cominciò il bombardamento navale che recò danno anche alle abitazioni civili.
La mattina del 6 luglio un parlamentare borbonico fu inviato affinché la Piazza si arrendesse.
Si rispose che la Piazza si sarebbe difesa fino all’ultimo uomo. La lotta si riaccese e gli insorgenti, avanzando ulteriormente, si disposero davanti ai bastioni.
– I tamburre battevene ’u tiemp’. A Piazza però era terribile e sparava cannunate. Ma nui non ce muvettene ’a ’llà.
Il 28 di luglio il generale francese Girardon che era capitolato a Capua rifiutò la resa di Gaeta. Due giorni più tardi (30 luglio), grazie alla negoziazione diretta con Nelson ed Acton, Girardon ottenne che:
a) la guarnigione di Gaeta capitolasse senza essere fatta prigioniera;
b) venisse condotta, libera, in Francia nientemeno che dalle stesse navi britanniche (un bel gesto cavalleresco). Il comando della Piazza fu affidato al colonnello siciliano Bernardo Beccadelli Bologna dei marchesi della Sambuca.
In tutto questo, però, a Fra’ Diavolo fu proibito dal cardinale Ruffo di avere l’onore né di ricevere la resa di Gaeta né di entrarvi. Ferdinando, temendo che il Pezza potesse sovrapporsi alle autorità costituite, approvò pienamente l’operato del cardinale.
A Roma
Ma lo stesso Re non si fece scrupolo di chiamare Fra’ Diavolo a Napoli per dargli il comando di una parte dell’esercito allorché si era in procinto di marciare su Roma.
In tale occasione dal 3 al 9 agosto 1799 abitò nientemeno che nel palazzo di Acton, il favorito della regina.
Il 9 di agosto gli fu dato l’ordine di marciare su Roma alla testa di 1500 uomini e gli furono dati 4000 ducati.
Il 14 dello stesso mese Fra’ Diavolo sposò una ragazza napoletana: Fortunata Rachele De Franco. Ben presto, di nuovo, sorsero attriti con il cardinale Ruffo che non avrebbe voluto lasciarlo andare. Comunque Fra’ Diavolo partì lo stesso ed il 9 settembre si insediò a Velletri dove emanò un proclama in cui tra l’altro ordinava di deporre le armi e di presentarsi a lui. Si firmava come: D. Michele Pezza, comandante generale del Regno, della Regia Divisione che forma l’ala sinistra dell’Esercito di S.M. che marcia verso Roma.
Il suo arrivo a Velletri fu provvidenziale perché il generale napoletano Rodio che marciava da Sora fu sconfitto dalle truppe del generale Pietro Teulié e costretto a fuggire verso Liri. Ma Fra’ Diavolo rintuzzò gli attacchi francesi e marciò verso Marino, ponendo il suo quartier generale ad Albano. Qui trovò un anello recante le cifre della regina Maria Carolina. Più tardi, ricevuto l’incarico dal generale Burckhardt, si portò in difesa di porta San Paolo a Roma. Anche qui gli fu proibito di entrare in città. Alla richiesta del generale di consegnargli l’anello, Fra’ Diavolo rifiutò.
Il 24 di ottobre re Ferdinando, nonostante le lagnanze del generale Naselli, concesse al Pezza il grado di Colonnello di fanteria per i segnalati servigi alla Real Corona. Ma ugualmente fu imprigionato in Castel Sant’Angelo da dove fuggi di notte durante un violento nubifragio. Si rifugiò a Itri, dove visse tranquillamente.
Alla corte del re
Ma già alla fine di dicembre si imbarcava da Napoli per Palermo per essere ricevuto dai sovrani. Sbarcò in quella città la sera del 4 gennaio del 1800.
La mattina del giorno seguente fu ricevuto con “grande applauso e festa” dagli “amabilissimi sovrani” e da Acton. Il momento culminante dell’udienza fu costituito dalla consegna nelle mani di Maria Carolina del famoso anello recuperato ad Albano. La regina glielo donò “ in memoria della vittoria contro i Francesi”. In quello stesso giorno Fra’ Diavolo ebbe l’onore di essere ospite alla tavola di Nelson.
Stette in quella città per due mesi per: regolare il proprio status giuridico-militare, inserire nei ruoli regolari i quadri della sua massa, ricompensare gli elementi più validi e soprattutto sistemare le gravose pendenze finanziarie che aveva contratto in seguito alle due campagne dell’assedio di Gaeta e della spedizione su Roma.
Il re gli condonò anche la fuga da Castel Sant’Angelo, e gli diede molti premi e gratificazioni anche se non molto generose. Il Colonnello riuscì ad ottenere anche alcuni gradi per vari membri della Massa: primo maggiore a don Giuseppe Pezza, di secondo maggiore a don Vincenzo Pezza, capitani a don Nicola Pezza, don Casimiro Mancini, don Francesco Sepe, don Casimiro Lubrano, don Michele Sferra, don Carlo De Bellis, don Mariano Face, don Loreto Calcagno, don Giuseppe Cappetta, don Alessandro Abbruzzese.
Nominato Colonnello del reale esercito borbonico con decreto firmato a Palermo ebbe “in assegno trasmissibile agli eredi e legittimi successori l’annua rendita di 2500 ducati”.
[Il mondo di Fra’ Diavolo (6) – Continua]