di Vincenzo Bonifacio
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Quando i romani conquistavano un nuovo territorio le prime opere che realizzavano erano le strade e gli acquedotti, Ponza divenne colonia di Roma nel 213 a.C. ed all’inizio fu dotata sicuramente di una portualità molto semplice forse a Santa Maria; per l’approvvigionamento idrico, in questa fase, si sfruttarono soluzioni semplici come pozzi, invasi a cielo aperto e sorgenti.
Solo durante il I secolo fu avviato un importante progetto che comportò la costruzione di un porto e numerose opere idriche tra le quali un lungo acquedotto ipogeo.
Questa grande opera di ingegneria intercettava le falde acquifere a Le Forna e giungeva fino a Santa Maria dove era posto un serbatoio che serviva le utenze delle strutture portuali.
Dopo la caduta dell’impero il condotto andò gradualmente in rovina ma è opinione che i monaci del monastero di Santa Maria ne usufruissero ancora fino alla loro fuga dall’isola alla fine del 1° millennio.
Nei secoli successivi e fino all’epoca moderna dalle fonti che scaturivano dai cunicoli di captazione a Cala dell’Acqua si rifornivano gli abitanti dell’isola ed i naviganti; in epoca moderna e fino a pochi anni fa da una cannella che captava l’acqua dell’antico condotto ancora fuoriusciva un rivolo d’acqua. Pochi metri più in basso rispetto alla fonte indicata, in fondo alla scalinata scavata nella roccia, oggi è situato l’approdo delle navi cisterna che scaricano il carico idrico nelle condotte moderne. Attualmente i cunicoli drenano un flusso modesto di acqua che si disperde in mare e che oltretutto è inquinato dalle infiltrazioni antropiche.
Il primo tratto dell’acquedotto attraversava trasversalmente l’isola fino a Cala Inferno e da qui iniziava il suo percorso all’interno del profilo della costa di levante fino al porto.
L’unica biforcazione o meglio l’unica condotta che lo intercettava trasversalmente era il cunicolo di Cala Inferno alto più di tre metri, privo di rivestimento in cocciopesto, e che a pochi metri dalla riva forniva le utenze locali. A Cala Inferno in epoca borbonica era sicuramente presente un serbatoio, così come risulta in un disegno del Mattei del 1855.
Non disponiamo una grande letteratura che tratti dell’antico acquedotto, il primo che ne abbia parlato è il Tricoli nella sua “Monografia” (1855). Interessante è la sua descrizione della “Sorgente di Le Forna”: “sulla Cavata di Vitiello, sovrapposta alla bianca lava, vi è la crosta tufaceo calcarea stratificata che, assorbendo le acque piovane, le trapela per istillicidio, e sulla detta calcaria è incavata la località per dar campo al sudatorio. Un formale lungo palmi 848 e largo once 15, per le viscere di quel colle forma il ramo centrale, da cui partono come raggi altri 14 consimili forami, svariati in direzione e lunghezza, e taluni fino a palmi 114, mentre quei del lato esterno rinnovavano l’aria con opportune aperture. In siffatti scolatoi distilla ottima acqua, che radunata nel tronco per due canali si scarica porzione in occidente, e l’altra precipita nel pozzo di palmi 20, e da quivi pel formale lungo palmi 3000, dirigesi al lato opposto Cala d’Inferno, avendo sul dorso tre pozzi cilindrici per rinnovare la corrente d’aria, altri due o trecento palmi…”.
Pochi anni dopo il viaggiatore ed artista Pasquale Mattei visita Ponza e descrive nelle sue “Memorie Storiche ed Artistiche” (1857) l’esperienza della visita all’acquedotto. “…disceso una breve collina… entrammo in quella grotta… le interne pareti condotte a pietre reticolate erano strette ma alte. Dalle frequenti crepacce delle mura pendevano cristallizzati stalattiti scintillanti… cristallizzato era similmente il bacino sottoposto in cui l’acqua si raccoglieva, formando una massa trasparente alta meno di un palmo”.
Nello stesso secolo (nel 1838) un grande geologo e studioso del tempo, H. Abich, aveva compilato una carta dell’isola e vi aveva annotato le sue osservazioni di carattere archeologico; tra queste è il tracciato dell’antico acquedotto (Wasserleitung) lungo la costa.
Molti anni dopo (1926) nella “Ricognizione archeologica nell’isola di Ponza” Amedeo Maiuri dedica una descrizione molto sommaria a quella che è “l’opera idraulica più ardua e degna di studio” delle antiche emergenze dell’isola e conclude che “un rilievo e lo studio d’insieme, necessario sotto ogni riguardo e non privo di immediata utilità per i bisogni dell’isola stessa, verrà a far meglio comprendere la cronologia e la natura di questa opera arditissima di ingegneria”.
G.M. De Rossi e C.M. Amici ne “Le isole pontine attraverso i tempi” (1986) fanno una descrizione di quest’opera annotandone il percorso ed i punti di repere lungo la falesia trascurando però le opere di presa a Le Forna.
L. Lombardi è il primo in epoca moderna ad interessarsi a tutte le opere idrauliche romane: numerose cisterne, l’acquedotto ed una diga da lui identificata a Giancos. Il suo lavoro è molto importante e finalmente anche l’acquedotto viene meglio indagato, anche se mancando un sopralluogo diretto di alcune zone impervie si è dovuto affidare a quanto veniva riferito.
In questi ultimi anni, incoraggiato dallo stesso Lombardi, durante i miei periodi di permanenza ho effettuato delle esplorazioni ed avviato un piccolo progetto di rilievo delle parti dell’acquedotto poco o mal conosciute, soprattutto per quello che riguarda la zona di Cala Fonte.
Per me è stato indispensabile l’aiuto offerto dai giovani locali e per quanto riguarda il rilievo delle strutture, la consulenza di mio figlio Silverio, che è geologo. Certamente per chi come me si diletta di speleologia, l’esplorazione delle cavità sotterranee è molto eccitante, ma quello che mi ha dato più soddisfazione è l’entusiasmo dei ragazzi che mi hanno accompagnato, in particolare Giuseppe Cristo che si muove con destrezza anche negli spazi più angusti; anche l’entusiasmo degli altri giovani che ho coinvolto e condotto nelle strutture più accessibili non è stato da meno ed è stato bellissimo constatare che hanno tutta la volontà ed il piacere di riappropriarsi della storia dell’isola.
Tutto questo mi fa pensare che ogni progetto che si proponga a Ponza non può non tener conto di un coinvolgimento dei giovani locali; in effetti il futuro dell’isola appartiene a coloro che vivono a diretto contatto col territorio ed ogni beneficio deve ricadere su chi vive questa realtà.
Il mio rendiconto delle strutture di captazione dell’acquedotto di Le Forna non ha la presunzione di uno studio professionale, ma può rappresentare la base su cui elaborare dei modelli archeologici più precisi.
Per completarlo sarà necessario esplorare zone ancora interdette, attuare verifiche, misurare le quote, effettuare rilievi tecnici, studiare gli speleotemi, effettuare sondaggi.
In primavera è previsto l’arrivo degli speleologi dell’Associazione A.S.S.O.(Archeologia Subacquea Speleologia Organizzazione) con i quali collaboreremo e sono fiducioso che faremo grandi passi in avanti non solo per la conoscenza dell’acquedotto ma anche per altre strutture che il territorio ancora custodisce o nasconde; sicuramente queste cavità saranno inserite nella realizzazione del catasto dei luoghi ipogei del Lazio. Il progetto lanciato da “Ipogea” sta coinvolgendo molte associazioni di speleologia che si stanno dedicando con passione all’esplorazione del territorio laziale. In programma sono previsti una serie di conferenze ed incontri con i giovani dai quali in seguito ci aspettiamo coinvolgimento e collaborazione sul campo.
[Acquedotto a Cala dell’Acqua (1) – Continua]