di Rita Bosso
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Esce tra qualche giorno Tore ’e Crescienzo, il primo camorrista edito da Ali Ribelli.
L’Autore… è un amico (sennò il racconto non avrei potuto leggerlo in anteprima?).
Chi è Salvatore De Crescenzo detto Tore ’e Crescienzo: un delinquente incallito, capo della camorra; oppure un traditore del popolo che, al soldo dei Savoia, determina la sconfitta dei Borbone; oppure una pedina che i Savoia giocano con scaltrezza e spregiudicatezza?
L’Autore usa Tore come una torcia; la dirige su angoli bui della storia patria, sui vicoli di Napoli percorsi all’alba, sulle bettole abbasciebbanchine di Ponza, dentro le grotte e le cisterne romane, sulle carni sode e prosperose di una brava moglie ponzese. Tore è uomo di poche parole, come si addice al suo rango, ma la sua presenza illumina, il suo passaggio suscita domande.
Il romanzo Il resto di niente di Enzo Striano ci ha fatto conoscere una Napoli visceralmente monarchica, borbonica, antifrancese; sessant’anni dopo Garibaldi entra trionfalmente in città e, dal balcone di Palazzo Doria D’Angri, proclama l’annessione al regno sabaudo; nel frattempo l’ultimo re Borbone fugge verso Gaeta. In sessant’anni è tutto cambiato? Oppure, gattopardescamente, tutto sta cambiando affinché nulla cambi?
Il Risorgimento è l’atto di nascita della nazione; nel quadro ufficiale i colori sono miscelati con effetti di grande suggestione, la colonna sonora è di prim’ordine, abbondano patriottismo, uniformi fiammanti, frasi ispirate e gesta eroiche. Ma, in mezzo alla folla che accompagna Garibaldi, ecco spuntare Tore, torcia inopportuna e abbagliante. Perché sta lì, sul palco, a fianco del ministro Liborio Romano? Perché resta lì, in posizione d’onore, fino a quando il potere sabaudo non si è stabilizzato? Perché, successivamente, viene imprigionato e mandato al soggiorno obbligato in un’isola lontana?
Qualche tempo dopo, a Ponza, mentre il calar della sera sta per recare un’oscurità opportuna e complice, ecco che rispunta Tore-la-torcia e va ad illuminare un crocchio di pie donne intente a recitare il rosario. Giuditta è devota e pia quanto le altre, fino a quando la torcia non la illumina; cosa accadrà dopo?
L’Autore deve essersi divertito non poco a tessere la tela della narrazione; maneggia con piena padronanza le vicende storiche e, da cultore della materia, tralascia i dettagli pignoli per dedicarsi a costruire caratteri ed atmosfere.
Ancor più si divertirà quando il libro susciterà polemiche: protesteranno i borbonici e gli anti-borbonici e lui, sornione: “Puvchè se ne pavli…”
Ci sono pagine di grande bellezza in questo racconto; hanno un’intensità rara, ad esempio, quelle che descrivono la partenza da Napoli, i suoni e gli odori dell’alba, la speranza vana di scorgere un certo volto. E c’è Ponza, uno scoglio dove la Storia viene a trascorrere qualche giorno quando ha bisogno di lavorare in segretezza.