di Enzo Di Fazio
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Anni ’70. Stavo cercando, a fatica, di venir fuori da una sofferta storia d’amore.
Vivevo in una città dove non conoscevo nessuno, se non i colleghi di lavoro. Anni ancora di contestazione che si succedevano come un’onda lunga alle vicende del sessantotto.
C’era un baratro tra la classe operaia, cui si era associata anche quella impiegatizia cui io appartenevo, e la classe dirigente.
Nell’autunno del 1972, in occasione del rinnovo del contratto di lavoro, venne adottato anche dai bancari lo sciopero a gatto selvaggio che da qualche anno rappresentava la protesta più estrema del mondo operaio con interruzioni improvvise della linea di produzione ed abbandono del posto di lavoro. Lo scopo era quello di provocare il maggior danno alla produzione e il maggior disagio all’utenza. Sembrava che volessimo cambiare il mondo, ma sappiamo come poi è andata a finire…
Il lavoro, la passione sindacale, la voglia di giustizia sociale mi tenevano impegnato e un po’ lontano dagli affari di cuore.
Dividevo una stanza con un collega di Sorrento, grande latin lover che vantava una grossa esperienza in storie d’amore al punto da tenere un album con la raccolta per anno delle foto delle ragazze, soprattutto straniere, conquistate lungo la costiera amalfitana. A lui qualcosa avevo raccontato e quando mi vedeva pensieroso me lo trovavo lì pronto subito a darmi consigli su come superare il momento.
“Viciè – mi diceva – segui il mio consiglio, tu stai ‘u spurtiellle e venene nu sacche ‘i belle piccerelle per conto delle aziende a purtà i versamenti, a piglia’ i distinte… possibile ca nun ci sta nisciuna ca ti piace?”
Siente a mme – tu ddice une ca tene esperienza – facnce ‘nu surrise ‘i cchiu e poi trove u mode ‘i entra’ in confidenza… oggi ci chiede ‘na cosa, dimane n’ata e vire ca chianu chiane ‘a criature se scioglie e si ce fai n’ invito a asci’ ‘na sera pe ‘na pizza, vire ca chella accetta.”
L’amico era convincente e devo dire che riusciva a tenermi su. Fatto sta che, seguendo il suo consiglio, in più di un’occasione cercai di mettere in pratica quello che mi andava dicendo; ma, a onor del vero, timido com’ero non sono mai riuscito a calarmi nel ruolo. Non ero affatto tagliato per fare il latin lover.
Comunque c’era una ragazza che in particolar modo mi piaceva. Viso dolce, mora con occhi chiari, lavorava presso una concessionaria di macchine agricole e veniva spesso in banca, almeno tre volte la settimana.
Con lei si creò una certa simpatia. Ci vedemmo anche due/tre di volte… una pizza, una passeggiata sul lungomare, una serata al cinema… niente di più.
Fini lì. La mente, ahimè, era sempre rapita dal vecchio amore.
Passarono diversi mesi e un giorno la vedemmo entrare nel palazzo di fronte al nostro e affacciarsi alla finestra del terzo piano che dava sulla piazza. Forse c’era qualche parente o qualche amica. Non è che mi importasse più di tanto. La storia, se di storia si può parlare, me la ero lasciata alle spalle. Capitava che alcune volte (in genere il lunedì) salisse con il suo ragazzo e che insieme si affacciassero a quella finestra senza fare mistero nel lasciarsi andare in qualche tenerezza.
Anni 70 dicevo, andavano di moda i gruppi musicali dopo il boom dei Beatles e i Rolling Stones. In Italia se ne erano formati parecchi.
La mattina mentre ci si sbarbava tenevamo accesa la radio e ne sentivamo di canzoni, Il mio amico era un patito di Fred Bongusto (Una rotonda sul mare, canzone degli anni 60 tipicamente da balera, spopolava ancora) ma seguiva anche qualche gruppo emergente come Gli Alunni del Sole originario di Napoli. Doveva essere il loro momento poiché spesso si sentivano per radio. Gradevoli le canzoni, melodiose con belle parole ma di loro non sapevo nulla di più.
Una mattina una loro canzone cosi iniziava:
Quella tua veste corta quando te la toglievi, io non scorderò mai le cose che provavo, e capitava sempre di lunedì di fronte alla tua stanza dalla mia ti spiavo la sera…
L’amico di Sorrento dopo un po’ mi disse Vicie’, siente… pare scritta apposta per il viso dolce dagli occhi chiari e poi aggiunse, proprio bravo questo Paolo Morelli.
Paolo Morelli? Mi diceva qualcosa.
Chiesi: ma è di Napoli?
Si si, tène più o meno l’età nostra, ha messo su qualche anno fa questo gruppo con il fratello Bruno. Lui è la voce solista, compone e suona il piano e le tastiere, il fratello la chitarra…
Napoli, l’età nostra, Paolo Morelli… Doveva essere proprio lui, il compagno delle medie con cui avevo condiviso i tre anni delle scuole medie seguiti al Calasanzio di Napoli.
Da approfondimenti fatti nei giorni successivi ne ebbi la conferma. Si trattava proprio dell’amico delle medie.
Ed è proprio la canzone di quel mattino che intendo proporre come canzone per la domenica.
Il titolo è I ritornelli infantili, l’esecuzione è quella classica di lancio. La propongo accompagnata da un video con belle immagini in bianco e nero.
I ritornelli infantili (Paolo Morelli, 1973)
Quella tua veste corta quando te la toglievi
io non scorderò mai le cose che provavo
capitava sempre il lunedì
Di fronte alla tua stanza dalla mia
ti spiavo la sera
Tu cantavi e inventavi per lui ritornelli infantili
poi ti lasciavi cadere
e con un gesto sempre più affettuoso
col volto contro il suo
svelavi a lui innocente sensazioni forti
chiuse nella mente
Na, na na na na na na
Na, na na na na na na
La tenda scivolava nelle sere d’estate
un po’ di vento ed era un velo
sulla tua pelle bianca
e lentamente per te la vita mia
senza esperienze grandi si avvelenava
in un gioco segreto
Tu cantavi e inventavi per lui ritornelli infantili
poi ti lasciavi cadere ed io restavo muto e affascinato
a fissare il tuo splendore
nel momento dolce e intenso dell’amore
Na, na na na na na na
Na, na na na na na na
E le tue calze di sera sparse un poco dovunque
il giorno dopo le bagnavi
e quando c’era si asciugavano al sole
e tu più bella ogni volta ti mostravi così
con una nuova innocenza dalla tua stanza
di fronte alla mia
Tu cantavi e inventavi per lui ritornelli infantili
poi ti lasciavi cadere
Na, na na na na na na
Na, na na na na na na
Na, na na na na na na
Na, na na na na na na
Questa canzone l’ho sempre riascoltata con piacere sia perché legata a quel particolare momento della mia vita sia perché mi ha consentito di recuperare i ricordi di un amico di scuola.
Paolo stava seduto dietro di me e già alle medie scriveva bene. Figlio di musicisti era un ragazzo molto sensibile e aveva una grande vena artistica che, all’epoca, esprimeva attraverso la pittura, soprattutto quella ad acquerelli. Dovrei avere ancora da qualche parte un disegno di cui mi fece dono in cambio di una conchiglia.
Ho seguito il gruppo per diverso tempo e alla fine degli anni 90 mi ero messo in testa di portarlo a Ponza per la festa di san Silverio.
Ma ho avuto sempre difficoltà nello stabilire un contatto, o forse non mi sono mai impegnato abbastanza.
Peccato, poteva essere l’occasione per rivederci e ricordare i tre anni vissuti dai Padri Scolopi di largo Donnaregina, educatori severissimi. E non si potrà più fare perché Paolo Morelli, ahimè, è scomparso il 9 ottobre 2013, stroncato da un infarto.