di Rita Bosso
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Sino alla metà del secolo scorso, il viaggiatore colto non poteva sottrarsi al gioco di associare l’isola che stava visitando a uno dei lidi su cui era sbarcato Odisseo; la natura ancora selvaggia evocava, la memoria restituiva versi che a suo tempo erano stati letti, studiati, tradotti, detestati, rimossi.
I viaggiatori colti ma pedanti si spingevano alla ricerca di conferme puntuali, chiedevano ai versi omerici riferimenti topografici, etimi… Così, Philippe Champault provò a dimostrare che Scherìa coincideva con Ischia (Phéniciens et Grecs en Italie d’après l’Odyssée, pubblicato a Parigi nel 1906). Recentemente, pagine e pagine sono state scritte per dimostrare che i giganti ed antropofagi Lestrigoni sarebbero da collocare in Corsica perché il loro nome deriverebbe dal toponimo L’Ostricono.
Per alcuni Ponza è Eea, l’isola di Circe, terra di perdizione per il forestiero e di regressione allo stato di bestia, a meno che non sia dotato della furbizia di Odisseo.
Per Luigi Silvestro Camerini, confinato dal 1942 al 1943, Ponza è indubbiamente l’isola delle Sirene; ha scorto le foche (monache) uscire dal mare di notte, distendersi sulla spiaggia di Chiaia di Luna, gridare e lanciare sassi e tanto basta, non ha bisogno delle coordinate geografiche per affermare, estasiato: “È certo questa l’omerica isola delle Sirene” (lettera alla cugina Lucilla). Chiunque abbia la fortuna di assistere a una simile magia dirà, a ragione, di trovarsi nell’isola delle Sirene… è una fortuna che potrebbe capitare a tanti di noi, ora che la spiaggia di Chiaia di Luna è tornata deserta ed accessibile alle sole creature marine.
Il Mito vuole epifanie, non dettagli rivelatori; ricorre alla narrazione, non alla spiegazione o alla dimostrazione.
Per Enzo Striano, Ponza è Scheria, l’isola dei Feaci “maestri di navi”, la terra del ben vivere, dell’abbondanza e dell’ospitalità.
Lo scrittore napoletano arriva a Ponza nel 1957, ospite della famiglia della fidanzata Mimma Martinelli.
L’isola, ancora selvaggia, lo affascina e gli ispira il racconto Odisseo e Nausicaa, tuttora inedito; pubblichiamo oggi il primo di due stralci per gentile concessione della signora Mimma e della figlia Apollonia.
Ora, di fronte a lui, s’apriva un viottolo, battuto nella terra e orlato di rozze pietre bianche.
E s’alzava una roccia.
Tonda, brulla, come una schiena d’animale: vi crescevano unicamente delle piante ignote, che Odisseo guardò a lungo.
Verdi foglie dure e spesse, simili a spatole o focacce, s’innestavano l’una all’altra, tempestate di spine.
Reggevano frutti non più grossi d’un pugno: protuberanze gialle, rosse, viola, irte esse pure di punte acuminate.
Il viottolo girava intorno alla roccia, e spariva.
Sulla sinistra, tra i rami di due ulivi contorti, Odisseo vide spalancarsi un baratro e restò affascinato.
Si scorgeva in basso aprirsi l’altro versante dell’isola, e spalancarsi [p. 10] enorme e dolcissima una baia.
Foto di copertina: Enzo Striano con i figli Daniele e Apollonia a Giancos (archivio famiglia Striano)