di Dante Taddia
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Il master in strategia aziendale e la sua esperienza in prima linea di corrispondente certamente giovarono a Sara per la buona riuscita dell’attacco. Con una sapiente manovra, effettuata quando chi la precedeva aveva terminato la propria operazione e si apprestava ad uscire, Sara era riuscita a sfilarsi e farsi superare. Ora si trovava quasi accanto al Professore. Insomma aveva perso il suo posto nella fila.
Era sicurissima di quanto sarebbe accaduto. E cioè niente. Nessuno avrebbe detto niente. E così fu. Il solito furbetto del momento infatti aveva approfittato per passarle avanti. Il vecchio professore intervenne: – Ehilà signore, – rivolto a quello che al momento aveva approfittato della distrazione di Sara usurpandole il posto, – ehilà, non è il suo turno, c’era prima questa signorinetta.
Sara non dimostrava affatto l’età che aveva e sembrava sempre un’adolescente, un’acerba signorinetta. Forse guardandola con più attenzione e da vicino le si potevano dare una ventina d’anni, circa. Ne aveva già compiuti trenta. Alle ‘spallucce’ di quel prepotente che l’aveva superata Sara rispose al professore: – Grazie, ma forse quel signore… – accentuando un poco ironicamente la parola – quel signore era prima di me. – No, signorina, niente affatto –, rinforzò il professore – C’era prima lei. Del resto nel principio della dinamica le particelle che sono a contatto con le pareti di un tubo quando esso si restringe, come nel tubo Venturi, si muovono meno velocemente e restano… Mi scusi. Volevo solo dire che lei era avanti a quel… a quel signore.
– Non fa niente, mi creda, non fa niente, non ci metterà molto sono sicura e io, io ho un solo pacchettino da spedire. In una situazione del genere bisogna essere sportivi!
– E che c’entra essere sportivi? E da quando è che lo sport e la maleducazione vanno a braccetto? Oggi non sanno neanche cosa sia il codice d’onore sportivo, e fosse solo quello che non sanno! Per carità.
– Beh forse ha ragione – riprese Sara -, ma io dicevo così, per dire, per essere comprensiva.
– Lo si dice ora troppo spesso per indicare però una specie di rassegnazione al sopruso, per indorarsi così una piccola o media sconfitta, una delusione.
– Ci tenevo tanto ad averlo per tempo – incalzò Sara per non fare slittare il discorso su un altro soggetto – e invece ecco… – indicando il pacchetto -, mi trovo costretta a rinviare al mittente la spedizione, perché, perché si sono sbagliati! Avevo chiesto per gli anni d’oro dell’atletica un libro. Sa, dalle Olimpiadi del 1936 a Berlino; un lavoro di ricerca che sto facendo per una pubblicazione, e loro cosa mi mandano? Quelle del 1996! Un piccolo errore mi dicono al telefono. E cosa ci faccio con quel libro? Sono costretta a spedirlo indietro e chiedere la sostituzione. Ma ormai il tempo perso è perso e la mia ricerca andrà a farsi benedire. E io cosa farò? Chiedo il risarcimento danni perché qualcuno ha letto 1996 invece di 1936? Pazienza. Bisogna essere sportivi! E non è solo un gioco di parole dato che si sta parlando di sport.
Il vecchio professore aveva taciuto. Come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco. Sara era sicura dell’effetto di quanto aveva detto e per quello aveva puntato tutto su quella sua carta per ‘attaccare’ col professore. Ad un’osservazione più attenta si sarebbe potuto vedere un certo biancore accentuarsi sulle mani dell’uomo che aveva serrato a pugno, ma anche una smorfia, come di dolore, sul viso scavato. Tutt’intorno sembrò fermarsi, il tempo e i suoni.
Un silenzio pieno d’attesa era calato quasi improvvisamente su tutto e tutti. Forse per reazione alla piccola discussione, tutti aspettavano qualcos’altro da sentire. Magari, che so, voci grosse, alterchi, epiteti, ingiurie. Niente. Invece niente. Niente di niente. Solo una reazione di disappunto da parte di una vocina flebile ma decisa allo stesso tempo, di chi non aveva ricevuto quello che aveva domandato e che era costretta a richiedere nuovamente perdendo del tempo forse a lei prezioso. Disservizio nella spedizione.
– Anche io, sapesse… – fece una voce della fila.
– E perché, cosa crede sia venuto a fare, mia bella signorina? – fece eco un’altra voce . – Pensi che avevo richiesto al… – stava dicendo un omone grosso, diversi posti più indietro.
Sono voci di persone che intervengono per dare almeno il loro appoggio alla ragazza, e soprattutto per compensare la delusione per la mancata partecipazione alla discussione sul posto in fila.
Ma in quel silenzio si udì la voce del vecchio professore: – Io ho partecipato come atleta alle Olimpiadi del 1936. Se vuole, signorina posso esserle utile. Conservo ancora un po’ di documentazione.
– Lei, lei ha fatto cosa? Credo di non aver bene capito – fece Sara.
– Ho partecipato come atleta alle Olimpiadi del 1936 – fece quasi scandendo le parole il professore con la stessa intonazione della prima volta, e aggiunse a completare la frase – e ho vinto una medaglia, d’oro.
Queste ultime parole le sussurrò, quasi se ne vergognasse.
Lasciò in sospeso per un attimo la voce e completò.. – …che però… non possiedo più. Non aggiunse altro.
Il silenzio regnò nuovamente tra gli astanti. Strana la reazione da parte di tutti. Ammirazione? Stupore? O forse niente di tutto questo e semplice indifferenza o peggio ancora ignoranza. O forse perché si aspettavano altro da parte del vecchio. Le parole, quasi sussurrate del vecchio a proposito di… Olimpiadi, forse… una reazione. Sì, forse.
Qualcuno di quelli che erano in fila dice: – Ehi, signorina, perché non ha reagito subito alle parole del vecchio? Cosa le ha detto quasi sussurrando? Mi è sembrato di aver sentito medaglia… cosa c’era d’altro? Ma noi, noi… non abbiamo sentito quanto le ha sussurrato. Lui ha partecipato alle Olimpiadi?
– Ha vinto! Sì, ma purtroppo non possiede più la sua medaglia d’oro. Sicuramente gliel’hanno rubata.
– Qualcosa, solo qualcosa abbiamo capito. Non abbiamo sentito il resto però… Vogliamo sapere il resto. La curiosità è troppo forte.
– Davvero? – fece Sara – Una medaglia d’oro? E come mai?
– Sì, tanto tempo fa. Durante la guerra.
I Giochi della XI Olimpiade (Spiele der XI. Olympiade) si svolsero a Berlino, in Germania, dal 1º al 16 agosto 1936
Forse il vecchio professore stava facendo un po’ di confusione… il ’36 la guerra?
E quasi avesse letto nei pensieri di Sara:
– Oh no, le Olimpiadi sono del 1936, dicevo è durante la guerra che la mia medaglia mi è stata… sottr… ehm… si è persa.
– Ah! fece Sara. Il commento di Sara: solo ah. Nessun’altra domanda per stimolare l’avvio del racconto.
Il vecchio con voce quasi monotona: “Se le posso essere utile per la sua ricerca ho ancora qualche documento a casa, forse l’ho già detto, lo faccio con piacere… bisogna essere sportivi… ridacchiò, e io lo sono… stato, uno sportivo”.
– Grazie – fece Sara – grazie, molto gentile ma non vorrei.
– No nessun disturbo… anzi!
– Sì, sì, certo Milano, Milano Certosa. Pacchetto ordinario… libri, un libro… lo rispedisco al mittente… un disguido… – fece di rimando all’impiegata dello sportello.
– Approfitterò allora della sua cortesia – riprese Sara.
– No, non ho le cinquecento lire, mi spiace.
– Se non sono di disturbo.
– Grazie, sì questa è la mia ricevuta? Ah, grazie va bene.
E al signore anziano: – Grazie, della sua cortese disponibilità.
– Deve conservarla, non si sa mai…
– No, no nessun disturbo – aggiunse il vecchio.
– Ecco, finisca anche lei la sua operazione – fece Sara – L’aspetto.
La Memoria non dura un giorno. L’intervista di Sara (2) – Continua