di Enzo Di Fazio
L’affidamento della “canzone della domenica” a persone diverse ha il pregio di proporre panorami musicali quanto mai eterogenei, ma sempre con la denotazione, da parte dell’Autore di turno, di grande coinvolgimento emotivo e capacità attrattiva, per il lettore. Come per questa immersione nel mondo della cosiddetta “musica folkloristica” – che può essere anche “intimista” -questa settimana.
S. R.
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Ho avuto sempre un debole per i canti popolari, intendo quelli provenienti dal popolo, così come per i gruppi che li propongono.
E’ probabile che la passione mi sia nata per aver vissuto a Napoli alcuni anni dell’infanzia in una zona non molto lontana da Forcella che ricordo sempre festosa, chiassosa, canterina. Abitavo da quelli parti e a volte, tornando a casa dopo la scuola, se avevo tempo vi passavo.
Frequentavo le medie in un Istituto dei Padri Scolopi, il Calasanzio di Largo Donnaregina, una traversa di Via Duomo e il quartiere di Forcella si trova proprio a ridosso di Via Duomo tra Spaccanapoli e Corso Umberto I (‘u Rettefile), che era ed è un po’ ancora oggi il cuore della città.
Forcella
Di quel quartiere ricordo le grida dei mercanti ambulanti che vendevano la merce accompagnandola con i canti; ricordo anche le frequenti incursioni di gruppi folkloristici con tamburelli, triccheballacche e scetavajasse e Pulcinella in testa a vivacizzare le giornate.
Quartiere difficile, famoso per il contrabbando di sigarette ma anche d’altro. Teatro non di rado di episodi criminosi e di camorra.
Ma anche il quartiere utilizzato come set del primo episodio di Ieri, oggi e domani di Vittorio De Sica, in cui Adelina (Sophia Loren) per evitare la prigione per spaccio di sigarette di contrabbando continua a farsi mettere incinta dal marito (Marcello Mastroianni).
Una scena del 1° episodio di ‘Ieri, oggi e domani’ girato a Forcella
I canti di quella strada, quando tornavo a casa, mi rimanevano in testa e provavo a replicarli mentre salivo al quinto piano di un palazzo senza ascensore. Crescendo sono rimasto sempre attratto da quei gruppi che intonavano miscugli di parole dotate di grande ritmo seppure spesso incomprensibili perché declamate in dialetto primordiale.
E’ così che ho coltivato nel tempo la passione per la musica popolare che trovo spontanea, anonima ed espressione di intere comunità, legata al tempo e ai luoghi che l’hanno originata.
Stessa attrazione ho per i gruppi folkloristici che propongono villanelle, tammurriate, pizziche e tarantelle e i canti delle tradizioni locali. Aggiungo che trovo sempre molto interessanti le voci stridenti che ricordano le grida delle popolane, della gente dei vicoli, dei lavoratori dei campi, degli scugnizzi, suoni grezzi non addolciti dall’educazione musicale. Suoni e canti aggreganti che uniscono e mediano le differenze tra genti e generazioni diverse.
Ambrogio Sparagna e il suo gruppo
Grande interprete di questa capacità di riproporre la musica nel suo stile originale, arricchita di rielaborazioni di grandissima qualità, fu, alla fine degli anni ’60, la Nuova Compagnia di Canto Popolare di cui per parecchio tempo ho seguito l’evoluzione attraverso le ricerche e l’impegno del suo mentore Roberto De Simone.
La Nuova Compagnia di Canto Popolare alla fine degli anni ’60
L’incontro con alcuni gruppi a volte è avvenuto assistendo a dei festival folkloristici di cui il nostro entroterra ciociaro è un bacino ispiratore vivo e attivo; altre volte in maniera casuale, come è capitato con i Tazenda, un gruppo sardo, visti per la prima volta al Festival di Sanremo del 1991 allorché proposero la versione italiana della loro Disamparados, assieme a Pierangelo Bertoli che ne curò la riscrittura intitolandola Spunta la luna dal monte.
Sanremo 1991 – l’esibizione dei Tazenda e Pierangelo Bertoli
Rimasi nell’occasione incantato, oso dire affascinato, dalla voce penetrante di Andrea Parodi e dai suoni di alcuni strumenti della tradizione sarda mai visti prima come le launeddas, i tenores, e le fisarmoniche diatoniche, che accompagnavano l’esecuzione.
L’antico strumento sardo a fiato launeddas
Era, come dicevo, il 1991 e da lì in avanti ho cominciato a seguire Andrea Parodi, ad informarmi delle sue origini, della sua vita, delle sue esperienze musicali. Cultore oltre che esecutore dei canti della tradizione sarda collabora con Maria Carta, Fabrizio De André e Noa.
Di padre ligure e madre sarda, si distingue per essere un attivo ricercatore tra le espressioni più tipiche della nostra tradizione etnofonica.
Andrea Parodi
Andrea Parodi scompare, a 51 anni, il 17 ottobre 2006 perché malato di cancro. Si consuma nel giro di pochi mesi. E rimane storico il suo ultimo concerto di appena un mese prima. Era il 22 settembre e quel concerto rappresenta un inno all’amore per la vita e per la sua donna, Valentina, a cui dedica con una interpretazione intensa un’antica canzone sarda No potho reposare, una delle più belle e pure poesie d’amore esistenti. Con questa canzone Andrea chiude il concerto.
Andrea è consumato dal male, ma la sua voce è sempre la stessa. L’interpretazione è commovente e quando si congeda dal pubblico lo fa dicendo “arrivederci, magari con un prossimo figlio”.
Gli era nata una bambina da qualche mese, con la nuova compagna Valentina.
Andrea Parodi e Valentina al concerto del 22 settembre 2006
Quella canzone non l’ho più dimenticata e a volte ancora oggi mi capita di andare a cercarla per risentirla. Non in quella versione, troppo struggente, bensì in una versione di qualche anno prima eseguita magistralmente assieme ad Anna Oxa. Ed è in questa versione, ove traspare la grande complicità e partecipazione dei due esecutori, che mi piace proporla come canzone per questa domenica.
Nell’esecuzione ci sono due degli inseparabili amici del gruppo dei Tazenda che per un certo periodo Andrea aveva lasciato per proporsi come solista. Uno suona le famose launeddas, l’ antichissimo strumento usato dai pastori sardi costruito con diversi tipi di canne. Lo si nota agli inizi del video.
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Qualche nota sulla canzone e il testo.
No potho reposare (testo originale A Diosa) è stata scritta nel 1920 dal compositore Giuseppe Rachel sulle parole della omonima poesia, scritta nel 1915, dall’avvocato sarulese Salvatore Sini.
Ecco il testo originale:
No potho reposare
Non potho reposare amore ‘e coro
Pensende a tie so donzi momentu
No istes in tristura, prenda ‘e oro.
Ne in dispiachere o pensamentu
T’assicuro ch’ a tie solu bramo
Ca t’amo forte t’amo, t’amo, t’amo.
Si m’essere possibile d’anghelu
S’ispiritu invisibile piccabo.
Sas formas e furabo dae chelu
Su sole e sos isteddos e formabo.
Unu mundu bellissimu pro tene
Pro poder dispensare cada bene.
Unu mundu bellissimu pro tene
Pro poder dispensare cada bene.
T’assicuro ch’a tie solu bramo
Ca t’amo forte t’amo, t’amo, t’amo.
T’assicuro ch’a tie solu bramo
Ca t’amo forte t’amo, t’amo, t’amo
e la traduzione in italiano:
Non posso riposare
Non riesco a riposare amore del cuore
Sto pensando a te ogni momento
Non essere triste gioiello d’oro
Nè addolorata o preoccupata.
Ti assicuro che desidero solo te
Perché ti amo forte, ti amo e ti amo.
Se mi fosse possibile prenderei
Lo spirito invisibile dell’angelo
Ti assicuro che desidero solo te
Perché ti amo forte, ti amo e ti amo.
Le forme ruberei dal cielo, il sole e le stelle
E creerei un mondo bellissimo per te
Per poterti regalare ogni bene
Un mondo bellissimo per te
Per poterti regalare ogni bene.
Non riesco a riposare amore del cuore
Sto pensando a te ogni momento
Ti assicuro che desidero solo te
Perché ti amo forte, ti amo e ti amo
Ti assicuro che desidero solo te
Perché ti amo forte, ti amo e ti amo
Sarule – Murales che rappresenta Salvatore Sini ed alcuni versi del poema
Di No potho reposare ci sono numerose versioni essendo stata interpretata da musicisti popolari e d’ambito colto, cori polifonici, rockers, cantanti d’opera e jazzisti. Versioni tutte diverse tra loro e tutte ricche di fascino.
Ancora oggi è il canto d’amore per eccellenza dell’intera Sardegna.