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La vera opulenza è non aver bisogno di nulla
G. Snyder
Il mio maestro non mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire come nella canzone di Battiato (*).
Uno dei miei “maestri” preferiti mi insegnò a guardare alla natura con nuovi occhi e lo fece portandomi per boschi. Boschi ancora verdi sul finire dell’estate; boschi gialli, bruni, rossi nel pieno dell’autunno; boschi bianchi e soffici d’inverno…
Colonna sonora di quei giorni il bramire dei cervi in amore, le foglie spazzate dal vento, il silenzio della neve.
Piccoli riti di riscoperta, notti in tenda, lunghe passeggiate nel verde intenso, scrosciare di acque delicate, e le pagine di Snyder a casa, di fronte al camino.
L’odore di quei giorni: lavanda; conservata nei libri, bruciata in candele fatte a mano, stesa d’olio profumato preparato con cura e sapienza.
Iperico rosso nell’olio da tenere in casa, un sasso da tenere in tasca.
Sulla pietra il simbolo di Kokopelli, una divinità preistorica della tribù indiana Navajo.
Secondo la leggenda, Kokopelli camminava di villaggio in villaggio suonando il flauto; davanti al suo incedere il sole appariva nel cielo, la neve si scioglieva, l’erba si colorava di verde, gli uccelli intonavano canti e tutte le creature viventi si riunivano per ascoltare il divino cantastorie.
Fogli e foglie che restano tangibili ricordi, navicelle per viaggiare indietro nel tempo e sorridere con gratitudine.
Per i cacciatori e per i pastori i sentieri non erano sempre particolarmente utili.
I raccoglitori non camminavano mai su un sentiero per lungo tempo.
Le erbe selvatiche, i bulbi commestibili, le quaglie, le tinture vegetali si trovano lontano dal sentiero. L’intera gamma delle cose che soddisfano i nostri bisogni è là fuori.
Dobbiamo percorrere il terreno in tutti i sensi per conoscerlo e memorizzarlo – tondeggiante, increspato, eroso, percorso da burroni e creste (come il cervello) – per imprimercene la mappa nella mente.
[La pratica del Selvatico, Gary Snyder, Fiori Gialli Edizioni]
La grana delle cose
leoni marini e uccelli
il sole attraverso la nebbia
a intermittenza pulsa e ciondola,
dritto negli occhi, abbagliante,
foschia solare;
una lunga nave cisterna lentamente galleggia alta e leggera.
la linea nitida e discontinua del mare frangente –
interfaccia dei flussi delle maree –
gabbiani si posano sul punto d’incontro
per il pasto;
scivoliamo accanto a scogliere imbiancate.
la grana delle cose
sciaborda e sospira,
scivola via.
[L’isola della tartaruga, Gary Snyder, Stampa Alternativa]
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera
Gary Snyder (San Francisco, 8 maggio 1930) è un poeta, ambientalista, saggista e conferenziere statunitense. Spesso associato alla Beat Generation, viene descritto come il “poeta dell’ecologia profonda” ed è uno dei precursori dell’eco-poesia. Dagli anni cinquanta in poi ha pubblicato diari di viaggio e alcuni saggi in cui si riflette la sua immersione sia nella spiritualità buddhista che nella natura.
«Come poeta coltivo i valori più arcaici che ci siano. Risalgono al tardo Paleolitico: la fertilità della terra, la magia degli animali, la visione di potere nella solitudine, l’iniziazione terrificante e la rinascita, l’amore e l’estasi della danza, il lavoro comune della tribù»
Oltre al Premio Pulitzer, Snyder è stato insignito del Premio Levinson dal giornale Poetry, l’American Poetry Society Shelley Memorial Award (1986), è stato introdotto alla American Academy of Arts and Letters (1987). Ha vinto nel 1997 il Premio Bolligen per la Poesia e, lo stesso anno, il John Award per i suoi scritti ambientalisti.
Note
– Le foto sono tutte dell’Autrice
(*) – Prospettiva Nevski, di F. Battiato si può ascoltare sul sito in un articolo di Rinaldo Fiore: “Vita di paese (5). L’inverno era duro da passare“