proposto da Giuseppe Mazzella di Rurillo
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A distanza di 38 anni da un evento sismico tra i più drammatici che hanno colpito il nostro paese, ospitiamo un articolo del vulcanologo Giuseppe Luongo che ha partecipato attivamente allo studio e all’approfondimento dei fenomeni relativi al recente terremoto di Ischia del 21 agosto 2017
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Oggi sarebbe stato utile e giusto discutere del futuro della difesa dai terremoti, lanciando un messaggio del cambiamento profondo nella ricerca per la difesa dai terremoti
(G. Luongo)
Immagini del terremoto di Ischia (Casamicciola) del 21 agosto 2017
Terremoto 23 novembre 1980. Non dimenticare la vulnerabilità dei nostri territori
di Giuseppe Luongo (*)
Oggi si ricorda il terremoto del 23 novembre del 1980 come un episodio drammatico della storia naturale e civile della nostra Penisola, ormai lontano nel tempo, con la descrizione degli episodi che più hanno colpito la nostra memoria.
C’è un modo di rappresentare quei momenti drammatici alle nuove generazioni che vivono nelle aree sismiche e a noi stessi anziani, protagonisti di quel dramma, come prodotti di una conoscenza inadeguata del fenomeno e di una mancanza di strutture efficaci per la mitigazione del rischio.
In contrapposizione a tale stato oggi abbiamo una rete di monitoraggio dei sismi tra le più avanzate al mondo e un sistema di Protezione Civile capillare e ben organizzato. A tutto ciò si aggiunga la crescita e il potenziamento delle strutture di ricerca (Enti ed Università) che operano nel settore sismico.
Tutto vero, ma in tale narrazione manca qualcosa che non bisognerebbe sottovalutare, quali l’elevata vulnerabilità del territorio e degli insediamenti, come hanno dimostrato i più recenti sismi del 2016 nell’Appennino Centrale e del 2017 a Ischia.
L’Italia è tra i paesi sismici economicamente più avanzati che ha il patrimonio edilizio tra i più vulnerabili. A ciò si aggiunga la diffusione e densità dei centri storici di alto valore culturale.
In tali condizioni tutti i nostri insediamenti in Appennino possono risultare epicentri di terremoti.
Quindi è compito dei decisori politici operare per la difesa del territorio come aree sismiche epicentrali. Una tale scelta mostrerebbe che le attuali norme tecniche non sono adeguate per un tale obiettivo.
È compito della comunità scientifica avviare una rivoluzione nella conoscenza del terremoto o meglio di come si sviluppa il fenomeno sismico nell’epicentro dove i processi di propagazione delle onde sono più complessi e difficili da modellare.
In buona sostanza quella parte della comunità scientifica che studia la sorgente sismica deve operare al fine di superare le attuali semplificazioni adottate nelle loro modellazioni per fornire a quanti operano nella progettazione delle strutture “antisismiche”, modelli di sorgenti più aderenti al meccanismo reale. Solo in tal modo le scelte strutturali in area epicentrale potranno essere più efficaci.
Al momento manca una rappresentazione quantitativa robusta del fenomeno per l’area epicentrale a causa di oggettive difficoltà nella rappresentazione analitica di un fenomeno estremamente complesso.
In queste condizioni la crescita della conoscenza si ottiene monitorando caso per caso le vibrazioni del suolo e degli edifici prodotti dai terremoti, ottenendo leggi empiriche sulle caratteristiche di tali vibrazioni.
Questo è un obiettivo di transizione e non finale, ma fornirebbe elementi per una maggiore sicurezza.
Oggi sarebbe stato utile e giusto discutere del futuro della difesa dai terremoti, lanciando un messaggio del cambiamento profondo nella ricerca per la difesa dai terremoti.
(*) – Giuseppe Luongo, vulcanologo
Napoli, 23 novembre 2018
Diffusione – Agenzia stampa “Il Continente”
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