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Debito pubblico, questo sconosciuto (1)

di Enzo Di Fazio 

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Vincenzo Ambrosino mi invita, attraverso il suo commento all’Epicrisi di Sandro Vitiello (leggi qui), a parlare del debito pubblico, di come si è formato, di cosa fare per eliminarlo, di come proteggere il nostro risparmio.

Beh, se avessi la soluzione ai problemi del nostro debito pubblico e al resto non starei qui a disquisire sul sito ma avrei già bussato al portone di Via XX Settembre per avere un colloquio con il ministro Tria e il Ragioniere Capo dello Stato.
Posso solo fornire qualche contributo alla disamina dei problemi sperando di migliorare le conoscenze di chi ci legge e stimolarne l’approfondimento.
Di debito pubblico vive ogni Stato. Nasce nel momento in cui le spese di uno Stato sono maggiori delle entrate che sono essenzialmente di natura fiscale. Non potendovi intervenire stampando moneta (sistema praticato in passato e dimostratosi fallimentare) si ricorre all’emissione di titoli offerti ad un certo tasso d’interesse attraverso delle aste.
In questo modo lo Stato diventa debitore.
Il debito pubblico viene sempre rapportato al Pil (Prodotto Interno Lordo) poiché è l’entità della ricchezza che produce il paese a farci capire quali sono le potenzialità di recupero.
L’Italia ha avuto sempre un suo debito pubblico fin dai tempi dell’Unità (tanto per avere un’idea nel 1897 il debito arrivò ad essere il 117% del Pil, coincidendo tale dato con la grande depressione di fine secolo). Volerne analizzare l’andamento negli anni a partire da quel periodo richiederebbe tempo e pagine di scrittura. Ai fini della nostra disamina è sufficiente soffermarsi sugli anni 60 noti per essere associati al miracolo economico e sugli anni 80 e successivi per essere caratterizzati da periodi di elevata inflazione e di debito pubblico esplosivo.

Precedentemente, fatta eccezione degli anni delle due guerre mondiali durante i quali il debito pubblico superò i livelli di guardia, tra il 1952 ed il 1971 il rapporto debito/Pil non superò mai il 42%.

Negli anni del boom economico assistiamo ad una crescita sia della produzione industriale che dei salari; Il Pil cresce ad un ritmo del 5% all’anno e l’inflazione sembra essere sotto controllo.
E’ la favorevole congiuntura internazionale assieme alla fine del tradizionale protezionismo italiano a sostenere la nostra ripresa economica. Entriamo massicciamente nei rapporti con il mondo.
Ma i cicli economici favorevoli non durano all’infinito e se l’intervento dello Stato non è legato ad una politica di programmazione ma segue solo l’emergenza quando arriva l’inflazione sono guai.
E’ ciò che è accaduto a partire dagli anni 70.
Colpa la crisi energetica del 1973 (il brusco aumento del greggio e dei suoi derivati) l’indice dei prezzi al consumo si impennò in tutto il mondo. In Italia, nel giro di due anni, l’inflazione passò dal 5,2% al 19% toccando nel 1980 la punta massima del 21,14%.

Sono anche anni questi di grandi elargizioni pubbliche.
Basta ricordare la legge con cui nascono le “baby-pensioni”. Reca la data del 29 dicembre 1973 il decreto che consente ai dipendenti pubblici che avessero lavorato per 14 anni, sei mesi e un giorno, se donne sposate e con figli, 20 anni per gli altri statali, di andare in pensione.
Quell’esodo così anticipato ci costa ancora oggi, secondo alcune stime, lo 0,4% del PIL (7,2 miliardi all’anno).
In Italia in quel periodo si spende in maniera facile (esempi: risorse verso opere pubbliche mai portate a termine, aste soggette a continue revisione prezzi, malfunzionamento di Istituti come la Cassa per il Mezzogiorno e l’Isveimer, ecc.)ma non si fa ricerca e il nostro sistema produttivo perde competitività.
E’ uno Stato benefattore che si indebita sempre più mentre il suo popolo sempre più si arricchisce grazie anche ad un’evasione che è pari al 17% del PIL
Non a caso a fronte di un debito pubblico di oltre 2330 miliardi la ricchezza privata degli italiani, anche se non equamente distribuita, supera tra ricchezza finanziaria e ricchezza immobiliare i 10.000 miliardi.

Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani:
Se l’evasione fiscale dal 1980 fosse stata anche solo di un ottavo inferiore a quella effettiva e si fosse destinato al risparmio queste maggiori entrate, il debito pubblico italiano sarebbe attualmente non più alto del 70 per cento del Pil, 60 punti percentuali più in basso del valore stimato per il 2017 (131,6 per cento) e non molto più alto di quello della Germania.

E’ nel decennio 1980-1990 che il debito pubblico va fuori controllo e raggiunge nel 1994 il 122% del PIL.
Ci sono stati successivamente anni più virtuosi ma il peso degli interessi (nel 1995 sono arrivati a costare l’11,1%! del PIL) ha vanificato spesso i buoni intendimenti.
Negli anni 60 la nostra crescita è stata mediamente superiore a quella degli altri paesi dell’area euro (noi al 5,7%, la media al 5,3%); negli anni 80 più o meno agli stessi livelli; ma negli ultimi venti anni è risultata sempre inferiore.
La crisi finanziaria del 2008, nata dal fallimento della Banca Lehman Brothers e dal crollo dei mutui subprime negli Stati Uniti, ha sicuramente contribuito a rendere più difficile la situazione essendo il paese caduto in recessione.
Ma anche il migliore risultato degli ultimi sette anni, il +1,5% del 2017 è stato inferiore alla media europea che è stata del 2,5%, tendenza confermata nel secondo trimestre di quest’anno. A conferma del ristagno della nostra economia.

Fatta questa breve analisi sulla storia del nostro debito, lacunosa per aver tralasciato sicuramente tante altre situazioni importanti come la separazione tra Tesoro e Banca d’Italia voluta nel 1975 dall’allora ministro Andreatta con non poche incidenze sulla politica di acquisto dei titoli di stato, c’è da chiedersi se ci sono strade da percorrere per ricondurlo entro limiti fisiologici.

Per saperlo seguitemi nella seconda parte.

[Debito pubblico, questo sconosciuto (1) – Continua]

2 Comments

2 Comments

  1. vincenzo

    9 Novembre 2018 at 09:31

    Innanzitutto ringrazio – non l’alunno – ma il redattore, il cittadino, l’amico, il ponzese Enzo Di Fazio che avendo delle competenze le vuole mettere a disposizione.

    Il debito pubblico è il problema dei problemi, è un macigno che se non affrontato di “petto” impedirà qualsiasi sviluppo e nessun governo potrà mai scegliere di fare una sua politica per i suoi cittadini!

    Siccome Enzo ci ha annunciato di volere illustrare “strade percorribili” per riportare il debito in limiti fisiologici, mi riservo alla fine eventualmente di fare altre considerazioni.

    Una cosa mi preme approfondire perché secondo me non è assolutamente una cosa secondaria nella crescita del debito pubblico: LA SEPARAZIONE TRA TESORO E BANCA D’ITALIA. Andreatta è stato il maestro delle privatizzazioni!

    “Questa separazione è stata decisa con due lettere. Il governatore ha scritto al Ministro del tesoro dicendo: “cosa ne pensi se da domani la Banca d’Italia diventa indipendente?” il Ministro del tesoro ha risposto: “benissimo da domani la banca di Italia diventa indipendente!” Non c’è stata neanche un ratifica del Parlamento di un atto che ha modificato sostanzialmente la conduzione dell’economia del nostro paese.
    Perché questo atto ha modificato profondamente l’economia del paese? Perché fino ad allora quando lo Stato emetteva dei titoli per potersi finanziare la Banca d’Italia faceva da paracadute. Lo Stato emetteva 100 titoli la Banca d’Italia diceva: “quelli che non vendi te li compro io ad un tasso d’Interesse basso”. Quindi il tesoro poteva emettere tassi a basso interesse perché anche se nessuno li comprava la Banca centrale li incamerava lei. Dal giorno dopo dell’indipendenza la Banca non fa più da paracadute e quindi lo Stato italiano quando emette 100 titoli deve piazzarli tutti e per renderli allettanti deve alzare il tasso dì interesse. Da quel momento lo stato ha emesso titoli con tassi fino al 20% per cui è cresciuto il debito pubblico.
    Quello è stato il meccanismo che ha fatto esplodere il nostro debito pubblico rispetto al quale tutte le narrazioni che ci hanno fatto fino ad oggi sono menzogne che servono per soggiogare la popolazione.”

    Buon proseguimento Enzo

  2. Rinaldo Fiore

    9 Novembre 2018 at 17:09

    Ho letto con attenzione l’analisi di Enzo Di Fazio sul nostro debito pubblico ma la trovo, troppo asettica, troppo neutrale… evidentemente Di Fazio ha voluto rappresentare l’aspetto storico e tecnico, senza impantanarsi in giudizi di altro genere. Io che non sono tecnico racconto qualcosa di personale.
    Nel 1975 o 1976 mi recai alla Banca Commerciale per chiedere un mutuo, un primo approccio e, con mia grande sorpresa e dolore, mi dissero che i mutui stavano al 26 %! Di fronte ad un interesse così elevato tutte le mie aspirazioni crollarono.
    Pochi anni più tardi approfittando della legge voluta da Andreotti sulle baby pensioni, in famiglia avemmo una baby-pensionata, senza averne alcuna colpa.
    Intanto intorno al 1975 già c’erano i condoni edilizi, in assenza di una capacità politica e tecnica di incidere sull’urbanistica del paese, e non fu la sola assenza!
    Intorno al 1986 la Corte Costituzionale rigettò, con molte risposte non chiarissime, il ricorso dei medici, che valeva 14000 o 1400 milioni di lire (non ricordo la cifra precisa) contro il pagamento della Tassa sulla Salute. Circa nello stesso periodo andò in vigore un nuovo contratto di ferrovieri e magistrati, stratosferico, che fece da parametro per ogni successivo contratto.
    Per carità di patria e di memoria mi fermo qui riservandomi di estrarre dal pozzo dei miei ricordi le motivazioni mie personali del nostro debito pubblico…
    Dimenticavo che nei vuoti che intercorrono tra le varie annate il sindacato ha espresso il meglio di sé nell’acquisire potere e prebende straordinarie lasciando come macerie attuali l’ATAC e l’AMA… ma nessuno ne parla, si sono tutti mimetizzati… (1)

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