di Enzo Di Fazio
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E’ ricorrente che molti dei mali di cui soffriamo in Italia vengano imputati all’appartenere all’Europa e all’avere come moneta l’euro. Politicamente ci vediamo succubi di Germania e Francia, economicamente disastrati dall’introduzione dell’euro. Questa è purtroppo anche l’idea che sembra scaturire dalle considerazioni di Emilio Iodice ai margini del suo saggio su Mussolini.
Dimentichiamo, in certe analisi frettolose, le politiche malsane interne che hanno caratterizzato la storia del nostro paese e quanto poco è stato fatto, prima e dopo l’introduzione della moneta unica, per combattere la corruzione, frenare l’evasione, riformare la giustizia e semplificare la pubblica amministrazione.
Dimentichiamo poi la scarsa attenzione degli ultimi vent’anni verso le politiche giovanili e la ricerca, settore cui l’Italia destina solo l’1,3% del PIL (un quarto di quanto fa la Germania), cosa che ci colloca al 12° posto nell’Europa dei 28 dopo la Repubblica Ceca e la Slovenia.
Dimentichiamo ancora lo scarso utilizzo dei fondi strutturali che ci vengono assegnati. Secondi per fondi ricevuti siamo tra gli ultimi paesi ad impegnare ed utilizzare tali risorse.
Certo l’adozione dell’euro, non avendo posto in essere adeguati controlli ha determinato quasi in maniera generalizzata il raddoppio dei prezzi. E’ stato fin troppo facile arrotondare tutte le cifre come se un euro valesse mille lire.
E’ mancata una vigilanza attenta e responsabile sull’evoluzione dei prezzi e questa è una colpa gravissima dei governi che si sono succeduti dopo l’introduzione dell’euro.
Ma non si possono disconoscere i vantaggi che ne sono derivati, quali tassi d’interesse stabili ed inflazione sotto controllo. Prima dell’adozione dell’euro la lira tendeva continuamente a svalutarsi rispetto alle principali valute provocando inflazione e perdita di valore del potere d’acquisto dei redditi fissi.
Negli ultimi 70 anni, gli anni in cui l’Italia è cresciuta di più sono quelli, tra il 1950 ed il 1970, del cosiddetto “miracolo economico”. Non avendo investito, negli anni successivi, in riforme strutturali e ricerca, l’Italia ha perso competitività e l’economia ha trovato sostegno solo nell’esplosione della spesa pubblica, fenomeno che fece lievitare il debito del paese dal 40 a oltre il 100% del PIL.
In quegli anni – non va dimenticato – abbiamo avuto un’inflazione spesso a doppia cifra, toccando il picco del 20% nel 1981. Alta inflazione vuol dire alti tassi d’interesse e, di conseguenza, incremento del debito pubblico per effetto dei maggiori oneri finanziari e minore possibilità di destinare risorse agli investimenti produttivi.
Come non dobbiamo dimenticare quando nel 1992 (al governo c’era Amato) la lira finì sotto attacco speculativo e uscì fuori dallo SME (che le consentiva una fluttuazione controllata rispetto alle altre monete) con il rischio di consolidamento del debito rappresentato dai titoli pubblici. Furono adottate tutta una serie di misure restrittive tra cui il famoso prelievo forzoso, nella notte tra il 9 e il 10 luglio, del 6 per mille su tutti i depositi bancari.
Essere in Europa significa avere una moneta forte, concorrenziale al dollaro sia come valuta di regolamento nelle transazioni commerciali e finanziarie, sia come moneta di riserva delle Banche centrali.
Essere in Europa significa far parte di una delle maggiori potenze commerciali al mondo, con un prodotto interno lordo di 15.326 miliardi di euro (dato 2017), superiore a quello statunitense.
Oltre il 64% degli scambi commerciali dei paesi dell’UE avviene con altri paesi dell’Unione in maniera libera, veloce, senza dazi e senza dogane. E non dimentichiamo la libera circolazione delle persone.
Tutto ciò si pregiudicherebbe se seguissimo la ventata della sovranità, dell’isolazionismo e del protezionismo che partita dall’America di Trump e, affascinando sempre più larghe fasce sociali, sta decretando l’inizio di una nuova era di nazionalismo.
E sarebbe ingenuo sottovalutare la convenienza sia di Trump, che non perde occasione di manifestare il suo pensiero distruttivo nei confronti dell’Europa, sia di Putin, che non fa mistero di mostrare simpatia per i movimenti nazionalisti, di avere a che fare con un vecchio continente disintegrato e conflittuale.
Certo, le cose non vanno bene e i pericoli di una deriva “dittatoriale” ci sono tutti. L’unione monetaria probabilmente è avvenuta in maniera prematura rispetto a quella politica. Così osservava Piero Ottone (1924-2017) in un suo corsivo su Repubblica qualche anno fa:
L’adozione prematura dell’euro è stata figlia dell’idealismo, l’idealismo di chi insegue un antico sogno, un’Europa federale in grado di competere con le potenze economiche generate dalla globalizzazione. A Occidente gli Americani, del Nord e del Sud, che fino a un certo punto hanno imparato a collaborare tra loro; a Oriente i cinesi, gli indiani, i giapponesi con i loro satelliti; solo facendo causa comune gli europei sarebbero stati in grado di fronteggiare gli uni e gli altri. Per questo si mise in atto l’unione doganale che ha portato tanti benefici. E si è pensato che l’unione monetaria avrebbe completato l’opera. Così è nato l’euro prima del tempo: non per malizia, non in seguito a losche manovre, ma per le false speranze di chi sogna un’Europa federale. Ci si è illusi che la moneta unica avrebbe accelerato l’unificazione del Continente.
L’Europa che avevano in mente Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni non si è ancora realizzata ma se crediamo tuttora in quel sogno dobbiamo contrastare certe posizioni semplicistiche così come le promesse diffuse, le chiacchiere e le difese nazionalistiche. Le elezioni europee sono alle porte e non c’è tempo da perdere. Soprattutto non dovrebbero perderlo a Bruxelles, come a Berlino e a Parigi, nel chiedersi quale strategia unitaria adottare in questo nuovo scenario fortemente alterato rispetto a quello di qualche anno fa. Dovrebbero riflettere seriamente su una Italia secessionista dall’euro che trova sempre più consensi da parte dei movimenti nazional-populisti come quelli della La Pen in Francia, Wilders in Olanda, Orban in Ungheria e espliciti sostegni dal Cremlino.
Cosa possiamo fare noi se crediamo ancora nell’Europa come Unione di Stati Federali? Alla propaganda antieuropeista e sovranista possiamo solo rispondere propagandando il nostro pensiero e facendo sentire la nostra voce. Ricordare, ad esempio, che tra i valori dell’UE ci sono l’inclusione, la tolleranza, la solidarietà e non la discriminazione.; tenere memoria degli errori nostri, intendo quelli tutti italiani, fatti indipendentemente dall’Europa e dall’euro e mai dimenticare che l’Unione ha aiutato a trasformare la gran parte d’Europa da un continente di guerra in un continente di pace.
P.S. – Trovo quanto mai opportuno riproporre nella circostanza la lunga analisi che lo scrittore spagnolo Javier Cercas ha dedicato al “vecchio Continente” in occasione del giorno dell’Europa –nel maggio scorso – e da noi pubblicato sul sito in due puntate:
– 9 maggio. Il giorno dell’Europa (prima parte)
– 9 maggio. Il giorno dell’Europa (seconda parte)
Emilio Iodice
10 Settembre 2018 at 11:53
La mia preoccupazione non è distruggere l’UE ma salvarla e aiutarla a crescere.
Credo negli Stati Uniti d’Europa (SUE). Io, i miei figli e i miei nipoti viviamo qui e ci impegniamo per il suo successo. Tuttavia, siamo lontani dal sogno dei suoi fondatori perché la meravigliosa Unione che era la loro visione è stata indebolita dall’inefficienza, dalla cattiva gestione, dall’indifferenza e dalla mancanza di una leadership etica e forte per dare ai cittadini europei una visione del futuro.
Se è vero che l’UE ha contribuito a mantenere la pace dalla fine della seconda guerra mondiale, non dovremmo mai dimenticare che la NATO ha fornito uno scudo e una polizza assicurativa che è stata alla fine quella che ha protetto l’Europa dalle minacce interne ed esterne. Certo, la minaccia di un’altra guerra europea non dovrebbe essere la ragione chiave per un SUE.
Vedo l’SUE come un mosaico di valori. Come indicato sul sito dell’UE, tali principi sono: rispetto della dignità umana e dei diritti umani, libertà, democrazia, uguaglianza e stato di diritto. Vorrei aggiungere: uniti, forti, che promuovono, giustizia, libera impresa, integrità politica ed è fiscalmente efficiente e rispetta la diversità.
Sfortunatamente, al mosaico mancano molti di questi pezzi. La mia speranza è che verranno aggiunti in futuro. Ma la speranza non è un piano e l’UE non ha progetti di riforma che siano stati resi pubblici.
Se non cambiamo l’Unione europea, saremo di nuovo soggetti alla volontà dei tiranni che promettono soluzioni facili ai nostri problemi, compresa la fine di questo magnifico esperimento che è stato il sogno di Spinelli, Rossi e Colorni.
Le bombe a orologeria sono ticchettanti create dai burocrati e dai politici dell’UE. Prendi, solo un esempio: il costo annuale delle pensioni dell’UE. Oggi sono circa 50 miliardi di euro per i dipendenti pubblici in pensione e i membri del parlamento. (Sembra essere un elemento fuori bilancio, dal momento che non riuscivo a trovarlo nel bilancio annuale di 150 miliardi di euro indicato).
Cresce oltre il 7% all’anno. Il 10 settembre 2018, il Daily Telegraph riportò:
Secondo l’ultimo gruppo di cifre del 2012, la pensione media annuale intascata dai funzionari europei in pensione che beneficiava del regime era di oltre £ 40.000. (Euro 37.000)
I funzionari più alti possono aspettarsi una pensione di £ 85.000 (80.000 euro). L’età media di pensionamento di tutti i funzionari che si sono ritirati nel 2013 era 61 anni.
In netto contrasto, il reddito medio di un pensionato britannico era di £ 11.600 (€ 9.000) nel 2012.
(https://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/eu/11315197/Taxpayers-face-bill-for-36bn-EU-pensions-time-bomb.html)
Questa potrebbe essere la punta dell’iceberg e altre bombe a tempo si profilano. Non c’è da meravigliarsi che la maggior parte degli elettori britannici abbia scelto Brexit.
Sono ancora convinto che possiamo salvare l’Unione europea se ci muoviamo con forza per fare le riforme richieste dai cittadini europei prima che sia troppo tardi.
Emilio Iodice