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Di storielle e aneddoti il sito Ponzaracconta ne ha presentati tanti, ma altrettanti ne potrebbe ricordare se ci si mettesse con un registratore giù alla banchina Di Fazio, in quello spazietto dotato di una panca, a fianco della pescheria d’u Iscaiuolo. Ci stazionano sempre, e dico sempre, persone, per lo più in età, che straparlano su tutto.
Mi ci sono avvicinato per caso mentre la Guardia comunale cercava di dare ordine al caotico ed eccessivo arrivo di furgoni, furgoncini, macchine, taxi e moto, per l’attracco della nave.
Potrei dilungarmi sul parapiglia che succede ad ogni arrivo di nave, lì che è un luogo cruciale. Ed è lì che fioriscono e si intrecciano battute, motti, maledizioni e preghiere.
– Siete stati bravi – mi ferma Biagino Pagano – nel presentare il libro di Silverio Mazzella: Ponzesi, gente di mare (leggi qui), ma una cosa non l’avete detta.
Biagino si ferma ed io dispongo l’animo e il viso ad accogliere col dovuto garbo quello che mi viene detto da un Ponzese che tanto ha dato alla marineria di Ponza. Adesso è pensionato stabile ma il cuore sta sempre là, al suo mestiere di uomo che col mare e dal mare ha vissuto.
Lo accontento: – Dimmi tutto.
– Quello che avete detto dei Ponzesi, eroici nell’affrontare i disagi del lavoro sul mare soltanto per riuscire a campare, riguarda i Ponzesi di allora, le qualità che esprimevano allora. Non oggi. I Ponzesi di oggi quelle qualità non le hanno e non le manifestano. Brontolii, direte voi, di vecchi insoddisfatti sempre del presente.
In parte è vero: i vecchi non sono mai paghi. Però è vero che nei compaesani non si coltivano il sacrificio, l’impegno, la parola data. Se così fosse non avverrebbe che non si trovino ponzesi per lavorare la terra o chi faccia lavori manuali. Tutti aspirano e si atteggiano a manager, a imprenditori. E poi ci sono gli extracomunitari che eseguono i lavori pesanti.
– E allora?
– Noi Ponzesi abbiamo perso le virtù che ci rendevano lavoratori cocciuti e ostinati.
Accennavo col capo il mio consenso e Gaetano ’u Iscaiuolo mi apostrofa: – Stai zennecchianno…
– Che? Cosa hai detto? Che parola è questa ?”
Non l’ avessi mai detto. Gaetano mi riempie di rimproveri perché io sarei quello che scrive in dialetto e non sa il termine zennecchia’.
– Ti giuro – mi giustifico – non l’ho mai sentito, mai.
– E allora consulta i libri di Ernesto” (Prudente) – mi rimbrotta.
Zennecchia’, scrive Ernesto nel suo “Alfabeta”, vuol dire fare il gesto con l’occhio per ammiccare, e dunque vale anche come gesto di approvazione.
Bene, c’è sempre da imparare, ma ora come faccio a dire a Gaetano che ha ragione? Quello si lega al dito ogni cosa. Se gli do ragione me lo rinfaccerà chi sa quante volte. Ma è un amico… e da lui prendo tutto, anche i cazziatoni.