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Prima che la neve bloccasse il paese, un momento straordinario si viveva quando si ammazzava il maiale, per rifornire le famiglie di carne e lardo da conservare per il lungo inverno: la neve cadeva per giorni e giorni arrivando anche a tre metri e più d’altezza e isolava Castiglione rispetto al resto del mondo (Castiglione Messer Marino (CH) – leggi qui). La cittadina più vicina era Agnone, parecchio più grande di Castiglione, distante circa 15 km, dove c’erano gli spazzaneve e dove la famiglia Marinelli fabbricava le campane note in tutto il mondo.
Il mio paese era piccolo per precisi motivi: stava su cocuzzolo di montagna e, per giunta, era collocato in mezzo a montagne più alte da tutti i lati.
Papà ad Agnone ci andava abbastanza spesso per motivi di lavoro, a piedi o con il mulo, ma quando era inverno si rischiava di morire per strada in caso di neve, e quasi accadde.
Quel giorno di buon mattino papà doveva andarci per prendere dei soldi per un lavoro fatto e forse averne un altro. Il tempo era brutto ma siccome aveva buone gambe pensava di arrivare e tornare prima che nevicasse. Conosceva a memoria ogni angolo, ogni albero della via nazionale che portava ad Agnone, e soprattutto sapeva dove stavano due fattorie di contadini e pastori nel tratto scosceso della montagna, dopo il tratto col burrone: conosceva le persone che ci abitavano perché ogni tanto venivano a ferrare i loro muli a Castiglione da lui, anche se non si poteva considerarli amici, e acquistava da loro anche del formaggio.
All’andata il tempo si mantenne brutto con vento forte che tagliava il viso e le mani, poco protette senza guanti, e faceva freddo, un freddo da neve. Era tutto intabarrato in un vecchio pastrano ancora buono, anche se aveva già i suoi anni; il cappello calato sugli occhi a malapena consentiva di vedere la strada. Era partito verso le sei, di mattino presto, e dopo cinque sei ore papà arrivò ad Agnone dai suoi clienti. Dopo essersi riscaldato con un buon bicchiere di vino cotto, offerto dal conoscente, aveva mangiato una bella fetta di pane con il formaggio di pecora che si era portato da casa e poi, su una sedia, aveva riposato una oretta: si svegliò di botto come se avessero suonato le campane, si alzò in piedi strofinandosi le mani e il viso e, salutato il cliente e riposti i denari che aveva ricevuto, si mise in cammino per tornare a casa.
Guardò l’orologio che teneva al taschino e accelerò il passo; s’era fatto mezzogiorno e mezzo, forse perché la memoria può ingannare, era tardi, doveva quasi correre per arrivare a casa verso le cinque o sei del pomeriggio, sperando poi che non nevicasse e che ci si vedesse. S’incamminò per la strada libera dalla neve ma il tempo era brutto e l’aria era proprio di neve, e il freddo spezzava le gambe. Mentre camminava la mente era rivolta a Linda e ai suoi ragazzi che stavano crescendo e pensava che battere la mazza non faceva per lui: voleva andare a Roma dove sicuramente avrebbe trovato lavoro; voleva comprare una casa per far venire con lui la famiglia. Intanto che pensava, il tempo peggiorava velocemente e in breve si ritrovò in mezzo ad una nevicata tremenda, una vera e propria bufera di neve, da non vederci ad un palmo di naso e a malapena capiva, non vedeva, dove stavano i suoi piedi.
Dopo un paio d’ore di cammino in quelle condizioni comprese di non potercela fare: affondava già nelle neve di circa 10-15 cm e allora cominciò a guardarsi attorno alla ricerca delle fattorie che conosceva; dall’alto della strada non si vedeva niente tanta era la neve che cadeva, per cui continuò a camminare vicino al bordo stradale per cercare il viottolo che portava verso la fattoria; continuava a cercare la pietra miliare che era il riferimento, dato che il viottolo stava a pochi metri, ma non vide nulla. Gli usci una bestemmia e continuò a camminare mentre la neve già aveva raggiunto più di una quindicina di cm di altezza.
Dopo pochi minuti dalla sua sfuriata sentì miracolosamente l’odore di fumo, e una fioca luce si intuiva ad una diecina di metri; contemporaneamente vide la pietra miliare e subito dopo il viottolo in discesa e pieno di pietre: per fortuna che c’era un appoggio di legno altrimenti sarebbe sicuramente caduto; camminò svelto svelto, per quello che consentivano le sue forze e la neve e, dopo un tempo che gli sembrò una eternità, si trovò davanti una casa bassa, una tipica fattoria di pastore con l’odore di pecore e di formaggio, grande e calda, a giudicare il fumo che usciva dal camino.
Bussò alla porta con forza e subito una sedia smossa segnalò la presenza di vita e il pastore aprì la porta. Papà, a testa bassa, prima di entrare batté i piedi scrollandosi di dosso la neve dalle scarpe chiodate e dal pastrano e subito dopo entrò sbuffando; senza dire una parola si avvicinò al fuoco del camino: riscaldava e illuminava la stanza mentre una lampadina tremula cercava di collaborare a dare luce e calore:
– Grazie, grazie – furono le prime parole di papà – So’ Giuseppe Fiore de Castiglione, Giuseppe de Carlucce, lu fabbre, ce canosceme.
Il pastore si chiamava Michele e subito diede a papà un bicchiere di latte caldo e un pezzo di pane.
“Giuseppe magna e pui reposete, ca tande nevica accusci forte ca nun pui turna’ a la chesa. T’addurmi ecche, sopra a lu fiene e dumene vedeme com’è lu tempe.”
Papà raccontò a Michele come era che stava lì e subito dopo, con le ossa rotte per la fatica e per il freddo che aveva sopportato, seguì il pastore nella stanza piena di fieno, ben calda perché il camino stava su una sua parete e si buttò nel punto più caldo dopo aver preparato il giaciglio: con un paio di pellicce di pecora sul petto, dategli dal pastore, in pochi secondi cadde addormentato.
La mattina dopo il tempo era nuvoloso e freddo ma non nevicava. Attorno alla fattoria la neve per fortuna si era fermata ad una quarantina di cm: poteva ripartire sapendo che da Castiglione qualcuno gli stava venendo incontro. E così Giuseppe riprese la strada di casa, dopo aver dato una occhiata alla via nazionale e ai vari riferimenti che gli consentivano di poter partire: dopo parecchio tempo, giunto a più di metà strada, quando la fatica e il freddo già lo avevano riempito di dolori, dentro i muscoli e per le ossa, vide il fratello Felice che con due muli gli era venuto incontro.
– Giuse’ – disse Felice – menu mele ca’ se seme ’ncontrete!
Giuseppe neanche rispose per la stanchezza, e salì sul mulo aiutato da zio Felice. Sul secondo mulo si accomodò zio e assieme, piano piano, tornarono a casa: non so quanto tempo ci misero per arrivare al calduccio del camino…
La sopravvivenza, in un paese di montagna come Castiglione, era garantita dall’esperienza secolare di quella vita, dalla legna, dalle patate e dal maiale…
[Vita di paese. La nevicata e il maiale (1) – Continua]
Rinaldo Fiore
26 Febbraio 2018 at 18:32
Quando anni fa son ritornato a Castiglione Messer Marino (CH), dopo anni che mancavo, ho potuto vedere un obbrobrio: le pale eoliche avevano modificato il profilo delle montagne d’intorno cambiando integralmente il panorama e il sentimento d’amore per la mia terra come era!
Ricordo quando 30-40 anni fa si parlava di grandi investimenti a Gela, altro monumento nazionale all’incapacità e alla devastazione della bellezza! Credo che il nostro Paese, l’Italia, dovrebbe essere pagato dagli altri Paesi del mondo perché noi insegniamo loro “come non fare le cose”!