di Vincenzo Ambrosino
“Il Mediterraneo è un lager e bisogna ancora dire chi è il carnefice di questo macello. Non è la storia del Mediterraneo questo accadimento come non sono la storia della Germania i lager nazisti.
Il Mediterraneo è anche la più bella culla che un popolo possa avere. Questo popolo è cresciuto attraverso questo intreccio di religioni, di pensieri, di amori, di cibi, di pane, di idee: questo è il Mediterraneo.”
E come si può salvare questo mediterraneo dai nuovi carnefici?
L’ultimo libro che il mio amico poeta ha scritto “è un primordiale pensiero di prima che il Mediterraneo diventasse il lager che oggi è”
Ecco, possiamo salvarlo attraverso la poesia mantenendo viva la memoria di quello che era questo grande mare chiuso da sponde, dalle quali sono sempre partite genti di colori diversi per incontrarsi, conoscersi e costruire una nuova coesistenza umana.
Cosa ha fatto fallire questo naturale progetto di convivenza: l’avidità di pochi uomini che oggi in giacca e cravatta si nascondano tra grattacieli di cristallo.
“Caro amico noi dobbiamo guardare il Mediterraneo poetando, cercando le giuste parole che possano degnamente descrivere questa grande cultura: questo cerca di fare la mia poesia. Ma non solo questo.
“Io ho bisogno di nutrirmi di parole che vanno alla ricerca di immagini, di ricordi, di sapori, odori pensieri, conosciuti, sognati. Parole che mi trasportano oltre la mia esistenza materiale, che mi fanno rivivere il mio bellissimo passato e se lo portano sempre dovunque io possa di nuovo approdare e come un relitto un giorno “stracquare” in rive sconosciute.”
E infatti non tutti si cibano di parole come fanno i poeti, non tutti sanno navigare oltre come fa la poesia di Antonio: “la poesia arriva dove il pensiero razionale non arriva perché un vero poeta è veggente.”
Il mio poeta Antonio continua a portare la sua poesia in giro per il mondo, e le sue parole stanno diventando sempre più lette, ascoltate, cantate, commentate e studiate.
Lui spesso mi dice: “Se non c’eravate voi io non sarei mai stato”. Io lo guardo, sorrido e quando sono solo, leggendo le sue poesie, mi commuovo.
Il Fato ha voluto che NAVIGARE LA ROTTA, seconda edizione in 6 mesi, la raccolta di poesie scritte lungo un viaggio mediterraneo, avesse la sua prima presentazione a Napoli, dopo quella della prima edizione, a luglio nell’isola di Ponza durante la rassegna “Ponza d’Autore”, condotta da Paolo Mieli e Gian Luigi Nuzzi [per la presentazione a Ponza, leggi qui – N.d.R.]. La Neapolis della sirena Partenope, la Neapolis virgiliana dove ho vissuto gli anni tra i più sereni e più belli della mia vita, quelli del Liceo.
E dove presentare un libro carico di quel paganesimo primordiale se non alla FONDAZIONE MORRA, al Museo Hermann Nitche. Un tempio pagano dove l’opera di Nitche è carica di quella sacralità dionisiaca e apollinea, che mai ha lasciato la mia religiosità primordiale. Una città, Napoli, simbolo del Mediterraneo, carica di ogni significato esistenziale ed estetico, del mio viaggiare tra città e lidi mediterranei.
Napoli città mediterranea, come Marsiglia, Barcellona, Atene, Tangeri, Istanbul, Palermo.
A. D.L. [Napoli 5 febbr. 2018]
Locandina dell’evento in formato .pdf (scaricabile): Navigare la rotta. Presentazione del 12 febbr. a Napoli
vincenzo
13 Febbraio 2018 at 10:21
Quando vi dicevo che il mio amico ora poeta sta crescendo a vista d’occhio, cioè che un ponzese di oggi potesse farsi ascoltare nel mondo della cultura, non era una mia solita “provocazione” la sua “parola scritta” lo sta portando lontano.
E’ stato un grandissimo successo; Mediaset ha fatto tutto il film e nel breve futuro ne faranno qualcosa. Le sue poesie sono studiate in alcuni licei scientifici e istituto d’arte. I presenti studiosi non solo hanno apprezzato la poesia di Antonio ma l’hanno commentata con analisi inimmaginabili. Canfora in quarta di copertina ha scritto che la poesia di Antonio è un inno alla Grecia. Mieli dopo averlo presentato a Ponza, l’ha continuato a seguire elogiandolo sempre con più entusiasmo. Potrei continuare ma sarà la sua “parola” a farsi comprendere anche fra l’indifferenza.
Intervento alla Fondazione Morra di Antonio al Nitsch
“La gratitudine a voi tutti per essere qua, a chi ci ha invitati e a chi ha voluto questo incontro, è un Ode fortemente che sta nel mio cuore, ma mi è difficile trovare le parole a significare la profondità e l’importanza che do ad essa. Ci vorrebbe forse un Ode di Pablo Neruda.
Il Fato ha voluto che NAVIGARE LA ROTTA, e noi tutti, approdiamo qui, in questo tempio pagano, il museo Nitsch che ci fa pensare l’Oltre, e ci mette davanti a quel Muro invisibile di Arthur Rimbaud. Non c’è luogo a Napoli più adatto ad accogliere questi versi. Come dopo un lungo viaggio una nave arriva nel porto a riposarsi, così Navigare la rotta chiede l’ormeggio all’opera di Hermann Nitsch, prima di riprendere il mare. Questo tutto molto mi emoziona, mi esalta e dà l’entusiasmo di un bambino. Tutta la mia poetica e la stessa vita si nutre di questo paganesimo primordiale. Questo tempio, queste opere, il pensiero di Hermann Nitsch mi ha spogliato in questi tempi, in questo lungo soggiorno napoletano. Mi ha tolto i panni di questa civiltà ufficiale di maniera della Napoli di oggi. Proprio come fece Fernando Pessoa quando viveva a Lisbona, la città che amo. Perché io sono uno che si innamora delle città, così come mi innamoro di una donna. E così nudo e trasparente a Napoli, col coraggio e la paura del viandante o del clandestino o del naufrago o di un innamorato, mi sono immerso nella città dove sono nato ma che purtroppo non amo. Questa Napoli ufficiale così come si presenta in questa brutale modernità io non la amo ( non era anche Francois Truffaut che dichiarò di non amava quella Francia ufficiale.). Ma io sento che ho bisogno di amare dove sono nato, dove ho vissuto anni importanti, la città forse pretende il mio amore. Allora come Borges a Buenos Aires, Pessoa a Lisbona, Izzo a Marsiglia, Pamuk a Istanbul, Calvino a Parigi e Bowles a Tangeri, per citarne solo alcuni dei maestri dell’Umanità, ho iniziato a camminare leggero e trasparente senza meta, solo per il volere degli Dei, o del caso, come meglio si vuole pensare. Come un flaneur di Baudelaire, lentamente, quasi da fermo, osservando attentamente uomini e donne, palazzi e bazar, mercati di ogni cosa, seguendo gli odori, i colori, i profumi, gli occhi delle donne, le voci, e le grida, la musica, le strade del caso mi hanno portato dove non immaginavo. Il mio corpo, la mia coscienza pagana, spoglia di ogni verità, era giunta nel Mediterraneo napoletano. Il Dionisio e l’ Apollo di Nitsch mi avevano condotto senza cognizione mia di causa, nelle strade ai margini della città . Ero arrivato in un luogo non luogo, e trovavo l’Africa atlantica, il Maghreb, il mondo arabo, quello ottomano, cinesi, etiopi e somali, ucraini e rumeni, tutti a guardarsi a parlare tra di loro. Napoli accoglie un andirivieni, senza sosta, di una umanità ecumenica nel bene e nel male. Sembrava di essere giunto nel quartiere di Noalle nella Marsiglia di Jean Claude Izzo, nella Istanbul di Orhan Pamuk, o in quell’ Algeri di Albert Camus, nella Mouraria di Lisbona, o ancora nella Trapani di oggi. Ero giunto così nei versi di Navigare la rotta. Quei versi partoriti lungo le rive di questo mare, tra questa gente. Ero giunto nel mio Mediterraneo. Allora ogni giorno torno in queste strade e chiedo a questa gente, dove sono nati i bambini che le madri portano in braccio o in una sacca intorno al collo.. E quelle donne di tante etnie, con occhi sazi di una felice malinconia mediterranea, mi dicevano orgogliosamente: sono napoletani. La mia vita non sta nel presente, sta perennemente nel passato e nel futuro. Ho bisogno di scavare, sognare o raccontare, illudermi. I poeti hanno un altro tempo da vivere. Allora una nuova Neapolis del futuro mi chiede di farsi amare. Quella città che un giorno sarà di tutti questi bambini, che si uniranno tra di loro in un flusso di sangue e di esistenze, di avventure, di sogni e di speranze. Una nuova città fatte di tanti Altri. Questa città a venire, visionaria, già chiede di farsi amare nella sua dimensione razionale. Questo è il Mediterraneo che mi nutre e mi fa vivere, mi dà da mangiare, e mi dà l’amore e il vino e gli Dei, il sogno e le illusioni, la libertà e l’utopia, le donne che amo, la povertà che nutre. Il Mediterraneo dei drammi e delle speranze, dei grandi amori. Il Mediterraneo dei filosofi e dei poeti, il nutrimento esistenziale dell’uomo omerico in perenne cammino.
Prof. Morra lei, con le sue opere che manifesta in questi spettacolari palazzi di un decadente 700, mi ha reso, qui a Napoli, la vita più bella e felice, ed ora il tutto mi porterò dentro lungo il mio vagare. Questi Dei, queste sirene, questi miti mi appartengono da tempo, da quella Napoli virgiliana che mi diede le prime conoscenze, i primi respiri. Anche io ero uno di quei bambini e mia madre e mio padre mi portavano in braccio per i porti mediterranei.
Voglio ricordare a noi tutti, nel finire di questi appunti, lo scrittore e amico prof. Predrag Matvejevic, scomparso un anno fa. Cantore e poeta della civiltà mediterranea.
Una inesplorata e devota gratitudine a tutti voi per questo incontro per me pieno di ogni valore estetico ed esistenziale.”