di Nino Baglio
Nel mare di Ponza sta avvenendo qualcosa di assolutamente anomalo: è la moria di organismi marini che si nutrono filtrando l’acqua del mare.
Le prime ad essere colpite, diversi anni fa, furono le ostriche. Ve ne erano a migliaia, popolavano l’intera isola ma nell’arco di due anni sono letteralmente scomparse e non si sono più riprodotte. Ora se ne trova solo qualche sporadico esemplare, ma comunque sempre di piccole dimensioni.
Il fatto destò qualche scalpore, più che altro tra i numerosi sub che restavano colpiti nel vedere i fondali pieni di gusci vuoti. Si pensò che la causa fosse da attribuire ad un evento naturale, a qualche batterio, visto che le ostriche furono le uniche ad esserne colpite.
Purtroppo, dopo pochi anni, parlo di quattro anni fa, il “fenomeno” si è ripresentato. Questa volta ha colpito un animale, del genere tunicato, il Microcosmus sulcatus, meglio noto col nome di “limone di mare”. Anch’esso è letteralmente scomparso dai nostri fondali. Non se ne è parlato molto, perché in pochi sapevano della sua esistenza.
Lo scorso anno il “fenomeno” ha colpito ancora. Lo ha fatto in modo particolare a Ponza isola, risparmiando Palmarola. Ha quasi completamente distrutto l’Arca di Noè, nota da noi come sfunnoli. Il fondale si presentava letteralmente coperto di gusci vuoti. Alla base degli scogli, prima che le mareggiate li disperdessero, vi era un tappeto formato da centinaia di gusci di questo bivalve (leggi qui l’articolo relativo del luglio 2016).
Arca Noae o sfunnolo
La moria non è passata inosservata, stavolta. Io stesso ho segnalato la cosa alla Capitaneria di Porto di Ponza, ma per quanto mi consta, nulla si è mosso. Si è mosso, invece, un amico di Ponza, il prof. Adriano Madonna, noto biologo marino, il quale a titolo del tutto gratuito, preoccupato del fenomeno, è venuto in acqua predisponendo una documentazione fotografica ed effettuando prelievi per gli esami di laboratorio.
Purtroppo, per varie difficoltà operative, i risultati non ci hanno aiutato a chiarire il mistero.
E siamo ai nostri giorni. Il mollusco che sta soffrendo e che in alcuni tratti di mare (vedi zona il Fortino, il Core ed altre) sta scomparendo, è la Pinna nobilis; ben nota a Ponza col nome di lanaperla; il suo guscio caratteristico è presente in molte case di ponzesi:
Due lanaperle morte adagiate sul fondo (foto dell’Autore)
Nuotare sulle zone più colpite e notare fra la poseidonia i gusci privi oramai di vita, è una sofferenza indescrivibile.
Ancora una volta, il prof. Madonna ci viene in aiuto. Ha a disposizione dei campioni da analizzare. Ma siamo sempre in ambito di volontariato.
A questo punto, viste le dimensioni che ha assunto il fenomeno, diventa indispensabile l’intervento delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente per uno studio di ampio raggio. Dobbiamo capire per poter intervenire.
Se non si interviene e se la causa delle morie, come qualcuno paventa, fosse di natura chimica, il mare di Ponza, una volta ricco di vita, servirà solo per il raffreddamento dei motori marini…
Aggiornamento
Recentissimo lavoro scientifico – pubblicato su Frontiers in Marine Science del 17 luglio 2017 – segnalato dal sig. Macali (che ringraziamo vivamente) in Commenti del 3/09:
Pinna nobilis. A Mass Mortality Event…pdf
La Redazione
29 Agosto 2017 at 05:58
Solo un’eco dell’allarme lanciato su queste pagine da Nino Baglio riguardo le lanaperle di Ponza si ritrova a pag. 32 dell’edizione odierna di Latina Oggi (v. in Rassegna Stampa 94) dove Erminio Di Nora della Fondazione Angelo Vassallo segnala nel Golfo di Gaeta la “Drastica riduzione di oloturie e ricci di mare”, attribuendone però la causa alla pesca indiscriminata (per le oloturie il commercio con la Cina dove gli echinodermi sono un cibo prelibato) e ipotizzando un ruolo per l’aumento di temperatura del mare.
Silverio Guarino
30 Agosto 2017 at 08:19
Non mi piace usare termini “anglofili” per la mia acquisita “anglofonopatia”, ma, mai come adesso è necessario considerare che: “Time is over”
Armando Macali
3 Settembre 2017 at 21:46
In realtà il fenomeno è già noto. La causa di queste morie è da imputare ad un piccolo parassita unicellulare molto aggressivo che sta colpendo molte popolazioni del Mediterraneo. Lungo la costa mediterranea della Spagna in alcune località ha causato la morte di quasi tutti gli individui. Per chi avesse voglia di approfondire lascio qui il link di un recente lavoro scientifico sull’argomento.
https://pdfs.semanticscholar.org/cfb7/fdc40872ea192aeb4899d4f9ffe0f7b5303b.pdf
Purtroppo è in lingua inglese e anche un po tecnico, ma molto esaustivo
La Redazione
3 Settembre 2017 at 23:02
Ringraziamo il sig. Macali per la preziosa segnalazione e riportiamo per i lettori la traduzione del sommario dell’articolo scientifico indicato, riportato in file .pdf in fondo all’articolo di base.
Una mortalità di massa sta interessando il bivalve Pinna nobilis su una larga area geografica del mar Mediterraneo spagnolo (Mediterraneo occidentale) dai primi mesi dell’autunno 2016. Le investigazioni sottomarine sono state condotte in diverse località separate da centinaia di chilometri lungo le coste mediterranee spagnole e hanno rivelato una preoccupante alta incidenza di mortalità, fino al 100% al centro e sulle coste più a sud della penisola iberica, incluse le isole Baleari. Le popolazioni delle coste più a nord del mar Mediterraneo spagnolo sembrano non interessate (regioni della Catalogna).
L’esame istologico degli individui affetti ha rivelato la presenza di un parassita simil-aplosporidio – [Aplosporidi: Protozoi della classe Sporozoi, parassiti dei tessuti di Anellidi, Crostacei, Molluschi e Pesci – NdR] – all’interno delle ghiandole digestive come il probabile agente patogeno causa della mortalità.
Il presente evento di mortalità di massa si è diffuso rapidamente, causando una altissima mortalità nelle popolazioni affette. Tenendo conto del grado di impatto, l’estensione geografica e l’alta probabilità che l’infezione sia ancora in una fase di espansione, questo si può considerare il più grave evento di mortalità di massa mai registrato per la Pinna nobilis finora, esponendo questo caratteristico bivalve ad uno stato critico di sopravvivenza per centinaia di chilometri di coste.