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“La forma piatta e allungata dell’isola di Ventotene, proseguiva il profilo della costa da Napoli all’arcipelago delle isole di Ponza e si delineava contro una tonalità più chiara rispetto al resto del cielo, quasi rosa nel pieno del paesaggio notturno e marino. A questa vista fui preso da un gran desiderio di visitare queste isole…”
E’ questo l’approccio che John Peter – Italie inconnue / Alle isole di Ponza – viaggiatore di fine ottocento, ha con le nostre isole, la spinta emozionale che lo porterà, un paio di anni dopo (nel 1885), a visitare l’arcipelago.
E’ una pregevole ri/scoperta quella che propone Silverio Mazzella nella sua bottega-laboratorio Il Brigantino, attraverso la traduzione e riedizione di opere dimenticate come quella di John Peter; pregevole ed interessante non solo per una curiosità intellettuale, ma anche per un confronto costruttivo con l’attualità, spesso schizoide e senza memoria.
Quali erano le sensazioni che provavano i pochi viaggiatori di oltre 130 anni fa, turisti ante litteram, ben lontani dal consumismo e dalla frenesia del turismo di massa con le sue degenerazioni sociali e culturali?
Ponza doveva apparire un mondo altro, una sorta di apparizione dalle nebbie dell’orizzonte.
Con tutte le contraddizioni che ancora oggi fanno parte del nostro bagaglio genetico, affinato da quasi tre secoli di colonizzazione.
La bellezza, certo:
“Ponza si presenta nel modo più piacevole, le sue linee accidentate disegnano elegantemente la massa compatta sul cielo azzurro. Nulla è più affascinante da visitare.”
Ma anche il senso di inquietitudine, di precarietà, già testimoniato da Pasquale Mattej oltre quarant’anni prima nel suo L’Arcipelago Ponziano a proposito di Palmarola, e che Peter descrive così:
“…un formidabile esercito di rocce difende gli approdi dell’isola che ha una circonferenza di sei miglia. Le rocce, a picco sul mare, sono scavate dall’acqua; grotte spaventose, accessibili soltanto ai rettili e agli uccelli sulle quali volteggiano incessantemente i gabbiani. La gente di Ponza crede che queste grotte sono infestate dagli spiriti; le grida di uccelli marini, il mare furioso, il suono delle rocce che si sgretolano rumorosamente nei crolli, sono certamente l’origine di questa superstizione.”
Altri tempi, altre visioni:
“ritengo che la parte più bella dell’isola è la grande valle che l’attraversa conducendo alla piccola baia chiamata Chiaia di Luna. Nulla è più piacevole di questo grande giardino ombreggiato da centinaia di alberi da frutto, protetti dai venti da una successione di colline ricoperte di splendidi vigneti.”
Evidentemente descrive una zona di Ponza molto cambiata, quella “Padura” che collegava Sant’Antonio fino a Chiaia di Luna, che nessuno oggi immaginerebbe come la parte più bella dell’isola.
Del resto, erano tempi in cui l’agricoltura dettava i tempi dell’economia; le opere di canalizzazione, le parracine, i sentieri, insomma il controllo del territorio, rendevano l’isola un giardino coltivato e non un’ammasso informe di rovi e cespugli come purtroppo spesso osserviamo oggi:
“L‘agricoltura è la risorsa principale dell’isola; grano, olive, uva, alberi da frutto danno ottimi raccolti. Il pesce, abbondante e vario, è molto ricercato sui mercati di Gaeta e Napoli. Grandi quantità di quaglie e beccacce si catturano in primavera e autunno durante il passo…”
Fin qui i fatti. Ma, non meno interessanti, ci sono poi le opinioni, che Peter manifesta in particolare nel sintetizzare il carattere degli isolani. E su questo punto, escono fuori delle considerazioni che potranno sorprendere, a distanza di tanto tempo… o forse no?
“…dopo qualche settimana ho lasciato ben lontano dietro di me l’arcipelago di Ponza; conservo un buon ricordo dei loro abitanti. Le persone, che sanno vivere di poco, semplici di costume, ospitali, discrete, felici delle loro condizioni, sempre gentili con me; questi sono gli abitanti di queste isole, sconosciuti a molti.”
E’ una opinione che personalmente mi sento di condividere. In effetti il ponzese doc, era così. E sconosciuto a molti questo carattere originale lo è tuttora, nonostante Ponza abbia conosciuto il turismo di massa, anzi, forse proprio per questo!
Quanto resta di questo imprinting, di questa fusione con l’ambiente che ha consentito per secoli un equilibrio tale da rendere possibile la residenzialità a Ponza e Ventotene?
C’è un’altra impressione che l’autore ricava dalla visita all’arcipelago ponziano, e questa è ancora più specifica, anzi, illuminante.
Beninteso: è appunto opinione, non verità assoluta.
Epperò… essendo vecchia di oltre un secolo, quando cioè il carattere ponzese non era stato ancora contaminato dalla globalizzazione, potrebbe avere una valenza, se non scientifica, almeno di costume; come in un viaggio nel tempo, un ritorno all’infanzia che coglie aspetti che da adulti non si riesce più a mettere a fuoco:
“…a Ventotene la gente del paese è più allegra di quella di Ponza. La vita di questi isolani è tranquilla, occupati e ciò che accade altrove l’interessa poco… la gentilezza è perfetta, come se nulla sembrasse più rilassante e piacevole che trascorrere del tempo con loro.”
Sic..!