Ambiente e Natura

Dopo la Festa

di Francesco De Luca

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Alle nove del mattino la sagoma della nave con la strana, rossa, scritta Toremar sulla fiancata, lascia le acque del porto, dopo un mesto saluto di sirena. Ritorna all’Elba dove riporta i ponzesi lì residenti, venuti per la festività del Santo.

Scivola sul mare calmo fra le sonnolente sagome dei panfili. Bianchi come enormi gabbiani in sosta.

Una campanella rompe la quiete. Il suono flebile della cisterna, ormeggiando, avvisa il capitano della lunghezza della catena gettata a mare.

Nessun gabbiano si lascia portare dal leggero soffio del ponente, profumato di mortella.

Pochi gli uomini in movimento. Sono gli addetti alla pulizia del Corso Pisacane e delle Banchine. Dopo il tripudio della folla alle canzoni dei Nomadi e dopo lo sfolgorìo dei fuochi pirotecnici il Porto cerca la calma del suo scorrere quotidiano. Con la cricca di “Maurino”, sotto al Mamozio, a beffeggiare ogni passante, e alla Punta Bianca Silverio a riproporre il suo banchetto.

Il consueto andare del Porto, scalzato dalla frenesia della Festa, tenta di riaffermarsi.

L’estate, formalmente iniziata, ripropone le sue cadenze ovattate, le movenze accennate, i profumi. Dai bar fuoriesce l’olezzo dei cornetti sfornati, e dai tricicli vengono forniti del pane i negozi.

Soltanto ieri l’assordante, petulante scoppio dei mortai e il suono delle navi a sottolineare il giorno di Festa, e oggi una sparuta barchetta frigge l’aria col suo fuoribordo. Nessuna nave viene, nessun aliscafo parte.

Scendono la gradinata della chiesa donne anziane, traballanti sulle gambe ma ferme nella loro devozione al Santo. “Per noi molto far puoi, in ogni evento”. Si portano dentro la sicurezza della Protezione. E l’orologio del Municipio scandisce i passi sul ciottolato di basalto.

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