di Mario Rizzi (*)
Pubblichiamo un estratto della prolusione tenuta da Mario Rizzi durante la “Quarta giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali” organizzata dall’UNPLI – Unione Nazionale delle Pro Loco d’Italia – (leggi qui)
Il mio libro Alla riscoperta delle radici linguistiche e culturali di Minturno e sulla civiltà contadina è stato una ricerca attenta ed oculata che, mentre consegna alla memoria storica un patrimonio le cui caratteristiche dialettali rischiavano l’occultamento sotto la concrezione dei secoli, costituisce una sollecitazione a rivisitare un mondo arcaico che oggi, in modo particolare ai giovani, può sembrare più lontano di quanto in realtà esso sia.
La perdita del contatto col retaggio dialettale, culturale o colturale, etnografico e storico della nostra Traétto (Minturno dal 13-7-1879), delinea un pericolo di depauperamento dei cui risultati non sempre si ha piena consapevolezza. Con piacere, sottolineo lo sviluppo, in questi ultimi anni, di un interesse culturale ed etnografico di carattere generale come questo organizzato dall’UNPLI nazionale, e ricerche scrupolose come questa mia fanno sì che la civiltà popolare di un popolo traspaia in tutta la sua selvatica fragranza, in tutta la sua freschezza e vivacità. Riscoprire e rivalutare il dialetto della civiltà contadina, attraverso la ricerca e lo studio del vernacolo è stato il leit-motiv del mio libro. Si tratta di un lavoro condotto con passione e meticolosità, indirizzato a coloro che vogliono tornare alle proprie radici ed approfondire il rapporto con la loro terra.
Non casuale si rivela il paragrafo intitolato I dialetti sono come un albero genealogico, dove, simbolicamente, io ipotizzo una pianta con tanti rami piccoli e fitti per indicare tutto il vernacolo attuale, alcuni rami più grandi e rari per quelli antichi ed un unico tronco per la protolingua, cioè di una fase linguistica unitaria non attestata, ipotetica e ricostruita sulla base della comparazione, che sta all’origine di un gruppo di lingue affini ed attestate in epoca storica.
A volo d’uccello, parlerò dei dialetti antichi che potrebbero risalire, secondo alcuni insigni studiosi, a circa 12mila–15mila anni addietro. Il giudice inglese Williams Jones (**) che lavorava in India, fu il primo, alla fine del 1700, a credere che il linguaggio dialettale di tutta l’umanità avesse una matrice comune. Desideroso d’imparare il sanscrito (lingua in cui sono scritti molti testi antichi), scoprì che il vocabolario e le forme grammaticali del sanscrito assomigliassero al greco ed al latino: Nacque così la teoria della lingua madre comune a tutti i popoli: la protolingua in cui molti studiosi, ancora oggi, credono al mito della biblica Torre di Babilonia, dove i popoli parlavano la stessa lingua fino a quando non decisero di costruire, nel 587 a. C., la “Torre di Babele” (Genesi) per avvicinarsi a Dio. L’Onnipotente castigò la presunzione degli uomini confondendo le lingue, in modo che i popoli non potessero più intendersi.
Il mero passaggio dal latino all’italiano volgare lo troviamo scritto, per la prima volta, nel Placito o Giudicato di Capua del 960 conosciuto anche come “Il ritmo cassinese” che recita: Sao Ko Kelle terre per Kelle fini que ki kontene trenta anni le possette parte sancti benedicti. Questa formula fu pronunciata da alcuni testimoni anche nel 953 a Sessa e due volte a Teano e nel 1014 sulla torre di Monte d’Argento (l’attuale Marina di Minturno), per dirimere una diàtriba fra il conte di Aquino e Dauferio conte di Traètto, che in assenza dei frati benedettini s’impossessarono delle terre di san Germano, l’attuale Monte Cassino.
Altre forme del dialetto le troviamo in De Vulgari Eloquentia di Dante Alighieri all’inizio del 1300 fino ad arrivare alla metà del 1400 a Leon Battista Alberti, al quale è intitolato questo Liceo Scientifico, ed all’umanista traettése Antonio Sebastiani detto Il Minturno alla metà del 1500. Le più lontane origini dello studio dei dialetti e della dialettologia si possono ritrovare nei tentativi, che risalgono, appunto, al 1500 di darsi ragione di quella sensazione di barbaro che le lingue romanze suscitavano allorché venivano confrontate con il latino.
Fu però in età romantica che l’interesse per i dialetti venne decisamente incoraggiato, grazie alla convinzione che solo nelle parlate popolari si potesse ritrovare quell’autentica e naturale manifestazione letteraria che le lingue di cultura, rielaborate nei secoli e artefatte, avevano perduto.
(*) Informazioni sull’autore – Mario Rizzi – Nato a Minturno nel 1943, ha esordito con una raccolta di poesie, “Momenti” – Caruso, Napoli – 1979; poi si è dedicato alla ricerca storico-letteraria, e alla ricostruzione biografica, nonché all’analisi filologica nell’ambito della dialettologia, con numerose pubblicazioni.
(**) – Sir William Jones (1746 –1794) è stato un filologo anglo-gallese e giudice in Bengala; ammiratore e studioso dell’antica India; noto per la sua intuizione dell’esistenza di una relazione tra i linguaggi europei e indiani, che sarebbero stati successivamente denominati linguaggi indo-europei.
[I dialetti sono come un albero genealogico (1) – Continua]