Libertà va cercando, ch’è si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
(U. Foscolo)
Altra lettera, altro tipo di amore
Questa volta il tema centrale è la Patria, riscoperta nelle parole di uno scrittore nato nell’isola greca di Zante (Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar da cui vergine nacque Venere), cui rimase sentimentalmente ancorato, considerandola la sua terra ideale.
Un sentire isolano che non ci richiede sforzi di comprensione.
Gli scritti di Ugo Foscolo al secolo Niccolò (come quelli di altri delusi dal tradimento di Napoleone, il tiranno) sono caratterizzati da pagine intrise di ideali di patriottici, cristiani e umanitari (siamo alle soglie del romanticismo) tipici del Risorgimento.
Ho ricordi vividi della nostra aula di Santa Maria alle cui pareti erano esposti, nei ritratti a matita del nostro maestro, i volti degli eroi risorgimentali.
E ancora oggi, decenni dopo, saprei intonare a memoria un frammento di Addio mia bella addio un canto risorgimentale, scritto nel 1848 da Carlo Alberto Bosi.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis è considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana.
Il giovane Ortis inviò fogli e fogli all’amico Lorenzo, lettere che – dopo il suicidio del giovane Jacopo – avrebbe date alla stampe.
La trama pare sia ispirata ad un fatto reale (e al tentato suicidio del Foscolo).
L’Opera venne pubblicata integralmente nel 1799, all’insaputa dello stesso autore, arruolato nella Guardia Nazionale di Bologna.
Da’ colli Euganei, 11 Ottobre 1797
Il sacrificio della patria è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri.
Mi è impossibile non evidenziare un passaggio:
“noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani”
Immagine di copertina: il corbezzolo, simbolo patrio
Per le lettere precedenti:
L’amore ai tempi della scrittura (1): leggi qui
L’amore ai tempi della scrittura (2). Per la madre: leggi qui