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L’amore, prima che diventasse una questione da “baciperugina”, era una cosa da far tremare le vene ai polsi. Ispirava lettere e poesie…
Proponiamo una sequenza di quattro scritti di Silveria Aroma sul tema. Questo è il primo.
La Redazione
Il Generale Inverno ci ha invasi tardivamente, riuscendo – da bravo stratega – a gelare piante e fiori sbadati, costringendoci in casa; implementando così la nostra sensazione di rammarico a fronte di una silente disgregazione.
Ma è d’altro che voglio scrivere.
Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Bertolt Brecht
Quando ero bambina – e vivevo coi nonni – mi capitava sovente di incontrare sull’uscio di casa gigantesche (per me piccina) sagome con lo sguardo impacciato; chiedevano di nonno Silverio per farsi aiutare nel redigere una lettera o spiegare un qualche documento.
Le lettere unite ai pacchi erano il collante che teneva unite quelle famiglie ponzesi che si erano ritrovate sparse per il Mondo. Mio nonno, il maestro di Frontone, fu l’unico dei suoi a rimanere sull’isola; gli altri fratelli partirono per l’Argentina o la Sardegna.
L’epistola rasenta ormai il dimenticatoio. I social imperversano rendendo tutti i contatti più immediati, il che contiene anche una nota di affettuosa bellezza; una virtuale vicinanza.
Presto che è tardi, non ci fermiamo più neanche a pensare ad una bella lettera.
Collezioniamo like senza dover curare troppo i contenuti, virando pericolosamente verso una lingua sempre più pregna di codici non fiscali. Temo i vari qlcs, ke, x, nn, cmq (i centimetri quadrati della mia memoria scolastica) renderanno la nostra attuale una lingua morta, sotto una pioggia incessante di puntini di sospensione, e tanti saluti. Mondo era, mondo è, mondo sarà.
Allora ripensiamo alla lettera, a quelle parole scritte con cura, sforzando la mano nel tentativo di rendere la grafia calligrafia… a quelle parole su carta che non scriviamo più e che, per fortuna, la letteratura ci rammenta di tanto in tanto.
San Valentino è già nell’aria, ma non voglio occuparmi di cioccolatini o fiori, né di santi dei quali mi piace leggere ma non scrivere. Preferisco parlare dell’amore in termini epistolari, anzi, degli amori che rendono significativa la nostra esistenza, partendo dagli innamorati.
La lettera d’amore è un’opera apparsa la prima volta negli Stati Uniti nel 1995, anno in cui – al di qua dell’Oceano – nasceva il mio secondogenito.
L’intero romanzo ruota sul rinvenimento casuale di questa epistola; soltanto alla fine del libro, e con sorpresa anche del lettore più accorto, si conosceranno mittente e destinatario.
Cara Capra,
come ci si innamora? Si casca? Si inciampa, si perde l’equilibrio e si cade sul marciapiedi, sbucciandosi un ginocchio, sbucciandosi il cuore? Ci si schianta per terra, sui sassi? O è come rimanere sospesi oltre l’orlo di un precipizio, per sempre?
So che ti amo quando ti vedo, lo so quando ho voglia di vederti. Non un muscolo si è mosso. Nessuna brezza agita le foglie. L’aria è ferma. Ho cominciato ad amarti senza fare un solo passo. Senza neanche un battito di ciglia. Non so neppure quando è successo.
Sto bruciando. E’ troppo banale per te? No, e lo sai.
Vedrai. E’ quello che capita, è quello che importa.
Sto bruciando.
Non mangio più, mi dimentico di mangiare, mi sembra una cosa sciocca, che non c’entra. Se ci bado. Ma non bado a niente. I miei pensieri straripano furiosi, una casa piena di fratelli, legati dal sangue che si dilaniano in una faida:
“Mi sto innamorando”
“Tipica scelta stupida”
“Eppure… l’amore mi tormenta come fosse dolore”
“Sì, continua così, manda a puttane la tua vita. E’ tutto sbagliato e lo sai. Svegliati. Guarda le cose in faccia”.
“C’è una faccia sola, l’unica che vedo, quando dormo e quando non dormo”.
Stanotte ho buttato il libro dalla finestra. Ho provato a dimenticare.
Tu non vai bene per me, lo so, ma quello che penso non mi interessa più, a meno che non pensi a te.
Quando sono accanto a te, davanti a te, sento i tuoi capelli che mi sfiorano la guancia anche se non è vero. Qualche volta guardo altrove. Poi ti guardo di nuovo.
Quando mi allaccio le scarpe, quando sbuccio un’arancia, quando guido la macchina, quando vado a dormire ogni notte senza di te, io resto come sempre
Montone
[L’amore ai tempi della scrittura (1) – Continua]