di Sandro Russo
Sul sito ci siamo imbattuti nella reggia (borbonica) di Carditello in almeno due occasioni, tra l’altro tra loro connesse.
Quando nella competizione per “i Luoghi del Cuore” del FAI ce la siamo trovata per un bel pezzo davanti, nella nostra battaglia per il Faro della Guardia, come altro luogo indicato come meritevole di conservazione e protezione dal degrado.
Di qui la curiosità che ha stimolato appena possibile un viaggio più globale, nei luoghi e tra le realizzazioni dei Borbone; fatto poi nell’estate scorsa (leggi qui).
Naturalmente a quel tempo avevamo già visto e apprezzato il film di Pietro Marcello che appunto alla reggia è dedicato, e a un personaggio simbolo di quel luogo, Tommaso Cestrone, “l’angelo di Carditello”.
Il terzo incrocio è stato l’altro ieri, una serata romana dedicata al regista Pietro Marcello dalla Scuola di Cinema “Sentieri Selvaggi”.
La serata del 14 dicembre a Sentieri Selvaggi. Massimo Causo con Pietro Marcello
Ci ha parlato, il giovane regista – quarantenne, originario proprio di quei luoghi – dell’amore per la sua terra, del dolore per averla vista sotto i suoi occhi diventare discarica e “terra dei fuochi”, quella Campania felix capace di dare anche tre raccolti l’anno!
E ci parla della sua predilezione per il documentario, arte dell’imprevisto, con piccoli spot relativi a suoi tre lungometraggi:
– “Il passaggio della linea”, del 2007, sui pendolari dei treni di notte, tra il Sud e il Nord d’Italia;
– “La bocca del lupo”, del 2009: tra il film e il documentario, sui quartieri dell’angiporto di Genova e l’umanità ‘di frontiera’ che ci vive;
– infine questo “Bella e perduta” del 2015.
C’è un Pulcinella intermediario tra il regno dei vivi e quello dei morti, c’è un bufalotto (Sarchiapone) che fa da voce narrante, alcuni incontri che ruotano intorno alla reggia “bella e perduta” come la terra in cui è stata edificata.
E Tommaso Cestrone, il pastore che per tutta la sua (breve) vita, volontariamente e senza compenso, ha difeso da vandali e camorristi la Reggia di Carditello.
Tommaso è morto per infarto, a 48 anni, il 24 dicembre 2013 durante le riprese del docu-film di Pietro Marcello, e l’opera – nelle parole del regista – ha preso un’altra direzione…
Tommaso Cestrone
Racconta Tommaso nel film: “Una macchina si è fermata e il tizio che la conduceva mi ha chiesto: “Chi ti ha dato questo appalto?” Io stavo lavorando con la pala meccanica e gli ho risposto: “Sono un volontario”. Mi hanno preso in giro. Dopo due giorni mi hanno messo una bomba carta, mi hanno avvelenato le capre, bruciato una roulotte, quattro copertoni della macchina tagliati con il coltello. Non voglio andare avanti perché tocchiamo un tasto pericoloso”.
“Due settimane dopo la morte di Tommaso lo Stato, negli anni assente, ha deciso di investire nel Real Sito. Il 9 gennaio 2014 Massimo Bray, l’allora ministro della Cultura che mesi prima aveva visitato la reggia e incontrato il pastore volontario, ha acquistato Carditello. Un impegno di due milioni e 250 mila euro, capitalizzato dalla San Paolo, ex Banco di Napoli, la stessa banca che aveva provato a vendere la tenuta con undici aste andate a vuoto.
Ora i lavori di pulizia e recupero sono iniziati lentamente, mentre sulla facciata principale sventolano il tricolore italiano e la bandiera dell’Unione Europea” [Da L’Espresso del 16 nov. 2015].
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Nella serata con Pietro Marcello non se n’è parlato, ma una caratteristica di rilievo nelle sue opere è l’impiego del found-footage, una tecnica di montaggio che utilizza materiale preesistente, girato con tecniche diverse e per altre finalità, successivamente riassemblato in un nuovo contesto, in un tutt’uno fluido (nei film di Marcello questi inserti sono opera di Sara Fgaier).
Nota – Il dvd del film è in uscita per gennaio 2017
Enzo Di Fazio
16 Dicembre 2016 at 13:43
Quello che ha fatto Tommaso Cestrone, “l’angelo di Carditello”, è una bellissima azione di civiltà.
Un esempio di amore e di rispetto verso l’ambiente e le cose belle che l’uomo realizza; un modo semplice e spontaneo per anteporre, senza annunci e senza clamore, l’interesse della collettivà a quello individuale. Leggendo l’articolo di Sandro il pensiero è andato automaticamente al faro della Guardia preda, da quando è rimasto senza guardiani, di delinquenti con intrusioni, furti e violenze di ogni genere. Mi è venuta così in mente anche la figura di un turista tedesco da anni frequentatore di Ponza con dimora estiva sugli Scotti, conosciuto casualmente diverse estati fa. Questa persona, parlando di Ponza e del suo amore per l’isola, mi raccontava che utilizzava le mattinate dei primi giorni di vacanza per pulire dai rovi e dalle sterpaglie il sentiero che porta al faro della Guardia. Non si chiedeva perché farlo o perché non lo facessero anche gli altri. Semplice: lo riteneva doveroso affinché non tutto fosse dimenticato e si sapesse che quella strada conduceva al faro.