Usciti da Guilin, continua su binari meno avventurosi il nostro viaggio nella Cina delle minoranze etniche, seguendo per grandi linee (ma le distanze sono sempre enormi) la direzione per Shangai, tappa finale in Cina (popolare) e punto di partenza per Taipei (Taiwan).
Nell’interno montuoso e boscoso della regione del Fujian – vedi cartina della divisione amministrativa del paese in: Cina (parte prima) – vivono gli Hakka, popolazione contadina emigrata nel III-IV secolo dal nord della Cina che parla un cinese arcaico; popolo colto, solidale e comunitario.
Vivono nei tolou, abitazioni collettive fortificate circolari anticamente concepite per proteggersi da nemici, briganti e animali, costruite in fango, bambù e pietre con muri spessi due metri, resistenti anche ai terremoti; sono abitazioni calde in inverno e fresche d’estate.
Nel Fujian esistono migliaia di tolou (ci hanno detto circa 20mila), alcuni trasformati in musei, la gran parte ancora abitati; i più belli sono protetti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Un tipico tolou: una sola porta fortificata e finestre soltanto ai piani alti, merli e torrette. Nel cortile centrale trovano posto il pozzo, il forno, le latrine e i recinti per gli animali; al primo piano magazzini e granai, mentre nei tre successivi abitano centinaia di persone
Altro incontro molto interessante – a distanza di anni l’avrei ricordato per un motivo spiegato più avanti -, è stato quello con l’etnia Hmong (conosciuti anche come Miáo o Mèo).
Abita la regione povera e montagnosa del Guizhou – è stata la prima tappa dopo Guilin – ed è una comunità molto variegata, composta di numerose sotto-raggruppamenti: erano in origine una popolazione sparsa tra le regioni montagnose di Laos, Vietnam, Birmania e Cina. Hanno in comune una religione animista e possiedono loro proprie tradizioni e manifestazioni artistiche, che si manifestano in occasioni di festival e occasioni rituali (nascite, morti e altre ricorrenze).
Gli abiti tradizionali sono molto sfarzosi: le donne sfoggiano eleganti vestiti ricamati, ed elaborate acconciature dei capelli raccolti a chignon, decorati da copricapi e da un numero infinito di gioielli d’argento. Per i Miao infatti l’argento, oltre che segno di ricchezza, è in grado di scacciare il male e portare fortuna e felicità.
Dove li avremmo ancora ritrovati (con sorpresa) i Miao, conosciuti attraverso questo viaggio?
Questa popolazione ha avuto una immigrazione facilitata negli Stati Uniti negli anni successivi alla guerra del Vietnam, per aver fornito un sostanziale aiuto agli americani contro l’esercito nord-vietnamita. In America, pur con una buona integrazione, hanno cercato di mantenere per quanto possibile i loro costumi.
Si parla dei Hmong (o Miao), nel film di e con Clint Eastwood Gran Torino, (2008), uno dei film più belli della sua pur pregevole filmografia.
Walt Kowalski, il suo personaggio nel film, “americano al 100%”, “alla Clint Eastwood”, si trova ad averli come vicini, rumorosi, invadenti… ‘e anche ladri’ – pensa Walt, quando il ragazzo della famiglia prova a rubare la sua amata automobile, una Ford ‘Gran Torino’ del 1972 (che dà il titolo al film). Walt (reduce della Guerra di Corea) è burbero e molto duro con quelli che continua a chiamare ‘i musi gialli’, ma dall’interazione, passo dopo passo, nasce qualche tipo di comunicazione. E ad una delle loro feste cui l’attonito Walt si trova ad essere invitato – suo malgrado, per aver difeso una giovane della famiglia dalle aggressioni di alcuni teppisti -, deve riconoscere che trova più affinità e calore con loro che con la sua stessa famiglia.
Lo sviluppo è tutto da godere, ma è stata una sorpresa ritrovare i Hmong o Miao in un film americano un paio di decenni dopo la prima esperienza con questo popolo, sconosciuto ai più.
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Il viaggio prosegue verso Shangai, situata sul fiume Huangpu presso il delta del Chang Jiang che anche l’unica megalopoli cinese visitata: la citta più popolosa della Cina (e del mondo! …stime aggiornate la danno attualmente sui 45 milioni di abitanti!).
Shangai. Città immensa, irta di grattacieli, costruiti – ci dicono – in tempi record da imprese soprattutto giapponesi (l’antico nemico storico vinto dalla supremazia economica).
Si è girato prevalentemente in taxi, essendo la città inconoscibile altrimenti, nei pochi giorni del soggiorno.
Nelle strade c’erano ancora relativamente poche macchine (venticinque anni fa!) ma agli incroci assembramenti di biciclette che facevano corona a qualcuno che stava facendo a pugni per questioni di traffico (ci sono sembrati tutti piuttosto litigiosi!):
Grande città Shangai, con molti giardini ben curati, il Bund (la strada dei grandi negozi), un porto maestoso.
Shangai. La ‘Casa del the’, su palafitte
Ed una città giardino (quasi satellite, a relativamente breve distanza): Suzhou, ricca di giardini storici:
Il Giardino dell’Umile Amministratore, costruito nel 1509 durante la Dinastia Ming, si trova nella città di Suzhou
Il Bund di notte, a Shangai
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Un altro volo da Shangai a Taipei (capitale della terza Cina) ci porta alla destinazione finale, sede del Congresso di Tossicologia che era stato l’occasionale pretesto per il viaggio.
A Taipei un museo che da solo merita il viaggio è il Museo Nazionale che raccoglie un’enormità di reperti trafugati da Pechino al momento della precipitosa fuga (cfr. nella prima puntata del report)…
Taipei. National Palace Museum
Taipei Grand Hotel. La sede del Congresso
Una grande città, ancora più occidentalizzata delle città cinesi (della Cina Popolare)
Le sedi congressuali sono sontuose, l’ospitalità raffinata l’organizzazione del Congresso ineccepibile.
Ai congressi abitualmente si fanno conoscenze, si tessono contatti: è al Congresso di Tossicologia di Taiwan che incontro il professore di Tossicologia dell’Università di Colombo (Sri-Lanka) che meno di un anno dopo mi ospita nel suo Dipartimento. Una frequenza di tre mesi all’inizio, che poi si trasforma in altro…
Ricordo l’ultima serata con grande cena di addio. I nostri ospiti avevano fatto le cose in grande; avevano chiesto a ciascuno dei gruppi nazionali partecipanti di presentare il proprio Paese con una scenetta, una piccola esibizione. Vengo arruolato nel gruppo degli italiani per cantare “O sole mio” di cui sembra sia l’unico che conosce le parole (!).
Ricordo anche una strabiliante esibizione di una ricercatrice americana che canta un’aria cinese (alla maniera cinese) senza conoscere nemmeno una parola della lingua; e anche lo spettacolino di un cuoco cinese che mostra dal vivo la preparazione degli spaghetti cinesi (i loro famosi noodles). Tanto per avere un’idea, l’ho ritrovata in varie versioni su YouTube:
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Che mi è restato di quel viaggio a distanza di così tanti anni? – abbiamo detto che è ormai lontano di circa 25 anni e sono un tempo enorme, per i passi che la Cina ha compiuto nel frattempo, fino a diventare tra le prime potenze mondiali.
Come può dire chiunque abbia visitato un grande paese (per esempio l’America, o la Russia…) restano impressioni indefinite, la sensazione di aver scalfito soltanto la superficie di un mondo che rimane in gran parte sconosciuto.
Si è fatta l’esperienza di prima mano con la diversità vera, con l’incomunicabilità totale. Perché la diversità esiste e come! Checché ne pensassimo noi proto-hippie degli anni ’70.
Qualcuno mi ha chiesto qualcosa della spiritualità cinese: la mia risposta – per esperienza e confronto con altri Paesi (l’India per esempio, dove la spiritualità è pervasiva – è che non esiste! Diciamo che io non l’ho vista. Quello cinese mi è sembrato uno dei popoli più concreti e utilitaristi che abbia conosciuto… Suppliscono con una sterminata, capillare superstizione, che permea pressoché ogni aspetto della loro vita [Isidoro Feola in un suo commento citava il libro di Tiziano Terzani (1938 – 2004) “Un indovino mi disse”]; Terzani, per aver molto viaggiato e vissuto in Asia (“In Asia” è anche il titolo di un suo libro; 1998) è un buon esegeta di quelle terre e quelle culture, che sono composite e multiformi.
Potrei dire che successivamente a quel viaggio ho sempre cercato di evitare i ristoranti cinesi; soprattutto non ci mangerei mai piatti di carne!
Potrei anche dire che le mie impressioni non coincidono con quelle di molti viaggiatori che ne hanno fatto un ritratto idilliaco e appassionato.
Per esempio su queste pagine ne ha scritto con ben altri accenti Adriano Madonna, [due racconti estratti dal suo libro: “Appunti di viaggio, momenti di vita in giro per il mondo”]:
Nel tempio di Kun Iam;
Il viaggio.
Dei miei cugini hanno fatto in viaggio in Cina non troppi anni fa e ne sono rimasti affascinati; ci ritornerebbero in qualunque momento…
Io proprio no..!
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[Viaggi. (9). Aiuto… Mi sono perso in Cina! (parte quarta) – Fine]
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