di Guy (Gaetano) Migliaccio Sr.
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Premessa
Sono veramente grato alla Redazione che mi ha invitato a tradurre questa memoria, assai toccante, del nostro concittadino d’America, Gaetano Migliaccio, il quale rievoca l’espatrio della sua famiglia e il relativo distacco traumatico da Ponza. Gaetano è il cugino di Catello (Lino) Pagano, i cui scritti sono stati pubblicati su questo sito.
Ricordo molto bene sua zia Antonietta (madre di Lino): eravamo vicini di casa, quando abitavo a Chiaia di Luna. Guy è un mio “parente alla lontana” perché il nonno di mia moglie, Luigi Migliaccio (1888 – 1982) era fratello di Adelina, la nonna di Gaetano.
L’episodio che Guy ci racconta è comune ai milioni di italiani del nostro meridione (e non solo), che nel secolo scorso lasciarono la patria nella prospettiva di un avvenire migliore.
Silverio Lamonica
Di mattina presto alle quattro, nel dicembre del 1955, la mia famiglia ed io finalmente ci imbarcammo per un’avventura che ci avrebbe cambiato la vita. Per quattro membri della nostra famiglia era finalmente arrivato il giorno di lasciare l’isola di Ponza.
Era giunto il momento per mia madre, mio padre, mio fratello Giovanni ed io di intraprendere un lungo viaggio alla volta degli Stati Uniti.
Dopo anni e mesi di preparazione, inclusi molti viaggi al Consolato Americano di Napoli, visita medica, documenti, ancora visite mediche e tanti altri documenti ancora: un pacco in aggiunta ai nostri calzoncini e borse che rappresentavano tutti i nostri beni di questa terra, eravamo finalmente pronti a lasciare la nostra bella isola natia. A sette anni appena quella confusione per me non aveva senso, poiché non avevo idea di cosa significasse allontanarsi per sempre.
Nel prepararci per il viaggio avemmo l’occasione di scoprire cose nuove… e vecchie.
Fu il momento in cui i miei genitori scoprirono finalmente che, diversamente da quel che pensavano, il nome anagrafico che mi avevano dato non era Franco ma Gaetano. Lo scoprirono quando si recarono al Comune di Ponza perché era necessario un mio certificato di nascita per l’espatrio dall’Italia. L’Ufficiale di Stato Civile non riuscì a trovare nessuno col nome “Francesco Migliaccio” nella data in cui ero nato, ma trovarono un Gaetano Migliaccio! Ero io!
Evidentemente all’insaputa di tutti, mia nonna dovette recarsi al Comune a cambiare il nome da Francesco a Gaetano. Scoprimmo questo dettaglio solo in quell’occasione, dal momento che ognuno in famiglia – fino ad oggi – mi conosce come Franco.
La mia cara, dolce nonna Adelina lo fece perché suo marito – il padre di mio padre e quindi mio nonno – fu ucciso nella Grande Guerra del 1914. Credeva che il nome Francesco fosse di cattivo augurio e non voleva che mi capitasse una sfortuna simile, così si recò al Comune a cambiarlo senza dire niente a nessuno.
Mia madre si dedicò per mesi a preparare questa partenza, confezionando pantaloni lunghi per me e mio fratello (si pensava che in America facesse molto freddo) cucendo camicie e abiti, sferruzzando maglioni, comprando scarpe (chi le calzava?). Era eccitante l’idea di indossare pantaloni lunghi proprio come un adulto. Stavo andando in America.
Le borse e i bauli erano pieni di guanciali di lana, materassi, lenzuola, pentole, tegami e – come no – tutto ciò che possedevamo su questa terra.
La sera prima ci congedammo mentre i miei genitori effettuavano il controllo finale su tutto ciò che dovevamo portare, la mia cara nonna Adelina mi prese da parte, mi sollevò in grembo (avevo appena sette anni) mi abbracciò stringendomi a sé e con le lacrime agli occhi mi disse che, arrivato in America, avrei dovuto cercare un grande masso che mi aspettava, avrei dovuto guardare sotto di esso e lì avrei trovato il mio futuro e la mia fortuna. Non capii, comunque annuii.
Finalmente la mattina successiva, di buon’ora, giunse il momento di partire. Ci scambiammo i saluti con le lacrime agli occhi. Mio padre, con l’aiuto dei nostri vicini, “‘i Russielle” portò i bauli e le varie borse caricandole sull’asino “Carmenielle”. Con calma scendemmo per il sentiero sinuoso lungo la collina dirigendoci al porto, dov’erano ormeggiate le barche da pesca e infine al molo, per imbarcarci sul Falerno.
Dopo aver caricato a bordo della nave le nostre cose e salutato gli amici, voltammo le spalle al passato e guardammo al futuro che era incerto al massimo, ma pieno di promesse.
Mentre il Falerno si staccava dal molo, ebbi subito la consapevolezza che non avrei più visto la mia cara nonna Adelina. Dimenandomi tra le braccia di mio padre nel tentativo di liberarmi, cominciai a piangere e a piangere con tutta la mia forza “Nonna, nonna, nonna … “
Nel chiarore dell’alba guardai su per la collina dov’era la nostra casa di Chiaia di Luna. La tenue luce che avvolgeva la nostra casa apparve più intensa nell’oscurità che precedeva l’alba. Da quella luce, nella quiete del mattino, potevo sentire mia nonna che mi chiamava: “Franco, Franco…”
Rimasi bruscamente turbato nel vedere la banchina allontanarsi mentre il cane di mio padre “Ricchezza” avanzava correndo veloce. Mentre la gente si sbracciava a salutare, quel cane meraviglioso non si fermò, ma balzò in aria cercando di afferrare la nave che partiva; finì nell’acqua gelida. Il povero cane nuotò verso la nave ma dopo un po’ vidi la sua testa voltarsi per tornare verso il molo.
Nel frattempo piangevo chiamando mia nonna. Non l’ho più vista. Morì pochi anni dopo la nostra partenza. Ancora oggi conservo la sua immagine nel mio cuore.
Il Falerno ci portò a Napoli dove, pochi giorni dopo, ci saremmo imbarcati sul gigantesco transatlantico americano S.S. Constitution che ci avrebbe condotto verso una nuova terra e un nuovo domani, dove avrei trovato il mio futuro e la mia fortuna.
Traduzione di Silverio Lamonica
Le immagini dei dipinti che illustrano l’articolo sono tratte da opere dell’età matura di Guy, alcune viste durante qualcuna delle sue periodiche mostre tenute a Ponza
Per altri articoli di Guy Migliaccio sul sito (a partire dal 15 luglio 2011), digita – Migliaccio Guy – nell’indice per Autori
Anche Gaetano Migliaccio jr., figlio di Gaetano, ha affidato un suo racconto in 4 puntate al sito (cerca sempre nell’indice per Autori)
Biagio Vitiello
30 Ottobre 2016 at 15:00
Nel bel racconto commovente e malinconico di Guy Migliaccio ci dev’essere un piccolo errore del ricordo.
Non è possibile che sia partito da Ponza nel 1955 con la nave “Falerno”, in quanto essa è stata varata nel 1964 nei cantieri Pellegrino di Napoli, ed entrò in servizio il 1965. Né potrebbe essere la MN “Isola di Ponza”, quella con cui partì, in quanto quest’altra nave entrò in linea il 09-05-1956. Secondo me, potrebbe essere stata l’Equa o il Margellina.
Sandro Russo
2 Novembre 2016 at 09:19
Ho conosciuto Guy Migliaccio e la sua bella famiglia qualche anno fa, in occasione di una sua mostra a Ponza. Ne scrissi anche, in quell’occasione, ricordando a me stesso, a lui e ai lettori del sito la vicenda di un pittore italiano, tal Franco Magnani, protagonista di un racconto di Oliver Sacks, il neurologo scrittore americano da poco scomparso (leggi qui).
In quell’occasione ci scambiammo anche delle impressioni sulle modalità di innesco e realizzazione delle sue raffigurazioni pittoriche di Ponza. Non era per nessun verso un caso simile a quello riportato da Sacks.
I numerosi accessi riportati dal pezzo di Guy dimostrano che il tema della memoria è particolarmente sentito tra i nostri lettori e mi hanno riportato a quella storia e a quei discorsi.
Ciao Guy, continua a raccontarci della tua avventura e del tuo nuovo inizio in terra americana…